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"Tria dice cose molto condivisibili". Intervista a Padoan

Luciano Capone

“Molto condivisibile”. L’ex ministro dell'Economia ci spiega perché il suo successore è la persona giusta per garantire sana continuità

Roma. La nuova vita da parlamentare di fatto non è ancora iniziata, pertanto la veste di Pier Carlo Padoan è quella di ex ministro dell’Economia più che di neo deputato. E nella recente intervista rilasciata al Corriere di Giovanni Tria, suo successore in Via XX Settembre, sembrava quasi di risentire le sue parole sulle linee di fondo della politica economica. Non è così? “Come ho detto anche al ministro Tria, ho trovato l’intervista molto condivisibile”, dice al Foglio Padoan. Dite le stesse cose: “Ovviamente l’intervista è stata elaborata in piena indipendenza, ci siamo trovati su una lunghezza d’onda molto simile”. Non è che, vista la turbolenza dei mercati, l’avete concordata? “Assolutamente no, non c’è stata alcuna coordinazione, diciamo cose simili ma nel più assoluto rispetto delle funzioni di governo e opposizione. E questo vorrei sottolinearlo in modo chiaro”. Pare che ci sia una certa continuità anche nei ruoli chiave del Mef, come ad esempio la conferma del capo di gabinetto e del portavoce. “Di questo non ho conoscenza diretta, mi pare di capire che alcuni ruoli chiave siano stati confermati ma, questo va solo a onore della grande professionalità del personale del Mef, che è una macchina complicata e richiede un lavoro di squadra importante”.

  

La posizione del ministro Tria sull’euro, sull’equilibrio dei conti e sui rischi delle politiche di bilancio avventurose mostrano che il “sentiero stretto” più che una scelta politica di Padoan è in realtà un sentiero obbligato? “E’ un sentiero obbligato che, visti i vincoli dell’Italia, richiede pazienza ma che sta dando qualche frutto. Mi auguro che quello che i governi precedenti hanno costruito possa essere mantenuto, rafforzato ed essere la base per ulteriori progressi”.

 

Le parole del suo successore l’hanno sorpresa? “Il professor Tria lo conosco da molto tempo, perché siamo stati colleghi come docenti universitari, abbiamo frequentato gli stessi convegni, oltre ad avere un rapporto personale molto buono. Diciamo, che il filone culturale è comune”. E’ coerente con ciò che sosteneva prima di diventare ministro? “Non voglio fare l’esegesi del suo pensiero, ma contestualizziamo la sua intervista. E’ stato un segnale molto forte e molto importante all’inizio della vita di un governo i cui componenti hanno lanciato messaggi incoerenti e incompatibili. Sto dicendo una banalità, perché lo ha detto più chiaramente il mercato quando ha reagito negativamente agli annunci su varie misure di politica economica e di fronte all’assenza di una leadership di governo, mentre ha reagito positivamente quando il professor Tria ha indicato una continuità ma anche una consapevolezza dei problemi e delle compatibilità di bilancio”.

  

Il Foglio ieri ha sollevato l’assenza completa dal programma di governo del tema della produttività, che è ciò che fa crescere l’economia e i salari. “L’ho notato, la produttività e la competitività sono fondamentali. I governi precedenti hanno messo al centro il sostengo alle imprese con i progetti ‘Finanza per la crescita’ e Industria 4.0, perché non basta avere la finanza pubblica sotto controllo, che è una condizione necessaria, ma ci vuole anche un’economia che cresce e l’Italia deve recuperare un gap di produttività che si porta appresso da prima della crisi finanziaria. Mi auguro che questo tema venga posto con forza”. L’opposizione che ruolo avrà? Matteo Renzi ha scritto che vigilerà sulla realizzazione del programma di governo. Il Pd dovrebbe quindi spingere la maggioranza a realizzare le sue promesse o invece incalzarla su ciò che manca in quel programma, come la produttività? “In primo luogo l’opposizione deve mettere in evidenza non solo l’impraticabilità di certe misure, ma anche i pericoli che comportano”.

 

“Il rischio che ci siano misure che producano immediati danni al paese è concreto – dice Padoan – lo abbiamo visto con la perdita di ricchezza finanziaria quando i mercati hanno reagito male di fronte a quello che veniva percepito come un programma inconsistente. E’ questo il primo dovere dell’opposizione, difendere ciò che è stato fatto negli anni passati e segnalare i rischi, ma anche poi fare delle proposte concrete e realistiche”.

  

Di fronte a certi programmi ci sono i vincoli reali, l’opposizione la fa la realtà. Il Pd può limitarsi a segnalare i pericoli e a indicare lo spread? E’ efficace? “Non c’è dubbio che bisogna fare di più, anche perché lo spread non ha bisogno del Pd per farsi sentire, agisce da solo. Quello che il Foglio ha evidenziato sulla produttività è apprezzabile, bisogna evidenziare ciò che manca per una strategia sostenibile. Il paese può e deve crescere di più. Oltre alla produttività che richiede investimenti, una scuola, un’università e un mercato del lavoro diversi, c’è la necessità di far funzionare meglio la macchina pubblica. Gli investimenti pubblici in ritardo sono un chiarissimo esempio su cui purtroppo non siamo riusciti a fare abbastanza. Serve una pubblica amministrazione che spenda i soldi che già ci sono. L’opposizione qui può stimolare e incalzare, lavorare nell’interesse del paese e non del conflitto politico”.

 

La campagna elettorale è stata concentrata su temi economici, reddito di cittadinanza e flat tax, ma tutto lascia presagire che l’azione di governo si sposterà su questioni a costo zero, come dimostra la svolta di Salvini sull’immigrazione. “Intanto neppure l’immigrazione è a costo zero, anche lì servono risorse. A costo zero in senso stretto non c’è quasi niente. Ci sono però ambiti, come gli investimenti pubblici dove si può fare molto per far spendere risorse stanziate da anni. Anche senza spendere di più, si può spendere meglio e magari ripensare a misure di politica economica che non funzionano troppo bene, valutando ciò che è stato fatto”. Si riferisce al bonus 80 euro? “Sugli 80 euro sono sempre convinto che è stata una scelta importante, che ha avuto benefici sostanziali su un paese che era in sofferenza e recessione. Intendo che bisogna valutare se alcune misure di imposta possono essere migliorate nel disegno o sostituite con altre”.

  

Su questo tema una proposta di Tria, già bocciata da Salvini e Di Maio, è di lasciar scattare la clausola di salvaguardia sull’Iva e utilizzare quei margini per ridurre le tasse sulle imprese. Non potendo uscire dall’euro, l’effetto sarebbe quello di una piccola svalutazione interna. “Questo è un vecchio tema. Non dimentichiamoci che quando diciamo di non far scattare le clausole di salvaguardia dobbiamo trovare le famose coperture. Detto questo, la cosiddetta svalutazione interna, cioè colpire i beni importati e favorire i beni esportati, è un’opzione che sulla carta potrebbe essere interessante ma andrebbe valutata conti alla mano”.

  

Il governo ha detto che farà una battaglia in Europa, su quali obiettivi dovrebbe puntare? “Il ministro Tria la prossima settimana debutterà all’Ecofin. In questa fase si sta disegnando il modello di Europa del futuro, ed è importante che l’Italia continui a far valer la sua visione, rilanciando le sue proposte a sostegno della crescita e dell’occupazione della zona euro per ricordare che non c’è da completare solo l’unione bancaria. Mi auguro che il governo e il ministro Tria vogliano portare avanti questa linea di fondo italiana, che tra l’altro è stata recepita dalla Commissione e anche dalla Germania”.

  

Il Pd sarà quindi all’opposizione del governo ma dalla parte del ministro dell’Economia? Non è paradossale? “Credo che un’opposizione matura deve saper dire quello che va bene e quello che va male. Il problema però deve esser ricondotto a una visione di fondo e questa nel governo che ha espresso il contratto del cambiamento è quantomeno confusa. L’opposizione si deve fare sulla visione complessiva, su alcune misure specifiche si potrà anche essere d’accordo, quando ad esempio c’è continuità come nel caso dell’intervista del professor Tria”.

 

Una continuità sembra esserci, c’è chi ha ironicamente ribattezzato il ministro come “Pier Carlo Tria”. “Su questo – sorride Padoan – dovreste chiedere al ministro Tria se si sente offeso o meno”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali