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L'economia del mondo rallenta di un microdecimale. Stiamo attenti

Marco Fortis

Nel primo trimestre il G20 viene trainato dalle economie asiatiche. Ma il 2018 è un anno complicato su vari fronti

Gli ultimi dati dell’Ocse sull’evoluzione del pil nei paesi del G20 e quelli dell’Eurostat sulla produzione industriale nell’Unione europea e nell’Eurozona fanno segnare un campanello d’allarme riguardo alla crescita economica nel mondo e nel vecchio continente. Nel primo trimestre del 2018 il pil del G20 è rallentato congiunturalmente rispetto al quarto trimestre 2017 scendendo dall’1 per cento allo 0,9 per cento (dati arrotondati a un decimale). Ma la frenata è stata più ampia nei paesi più avanzati e compensata soltanto dal sostenuto andamento di diverse economie dinamiche asiatiche che hanno mantenuto i precedenti tassi di crescita o li hanno incrementati come l’India (da più 1,8 a più 1,9 per cento), la Corea del sud (da meno 0,2 a più 1 per cento), la Turchia (da più 1,7 a più 2 per cento) e l’Indonesia (rimasta costante a più 1,2 per cento). In Asia solo la Cina tra i grandi paesi ha accusato una flessione (da più 1,6 a più 1,4 per cento), il che in prospettiva è comunque un brutto segnale per il possibile impatto a cascata sulle altre economie dell’area nel prosieguo del 2018.

 

Essere tornati in gruppo dopo aver sofferto per tanto tempo la sindrome del “fanalino di coda” non basta a rassicurare, perché un eventuale rallentamento economico del G7 e della Cina potrebbe avere una ricaduta negativa anche sull’Italia e sul nostro ritrovato ritmo di crescita

 

Più marcato è stato il rallentamento congiunturale nei più importanti paesi avanzati, con tutte le economie del G7 che hanno perso visibilmente velocità nel passaggio dal quarto trimestre dello scorso anno al primo trimestre di quello in corso. Più di tutte hanno frenato la Francia (da più 0,7 a più 0,2 per cento), la Germania (da più 0,6 a più 0,3 per cento), il Regno Unito (da più 0,4 per cento a più 0,1 per cento) e il Giappone (da più 0,3 per cento addirittura in negativo a meno 0,2 per cento). Gli Stati Uniti hanno lasciato sul campo due decimali (da più 0,7 a più 0,5 per cento), mentre Italia e Canada hanno contenuto il calo in un solo decimale (entrambe da più 0,4 a più 0,3 per cento). Il tasso medio di crescita del pil del G7, a sua volta, è sceso di tre decimali (da più 0,6 a più 0,3 per cento) ed è stato uguale a quello italiano. Da notare che dall’inizio della ripresa economica del nostro paese questo è già il quinto trimestre (dopo il secondo e il quarto trimestre del 2015, il quarto del 2016 e il primo del 2017) che la crescita congiunturale italiana eguaglia quella media del G7. E nel primo trimestre del 2018 la nostra espansione è stata più forte di quelle di Francia, Regno Unito e Giappone e praticamente uguale a quelle di Canada e Germania. Solo gli Stati Uniti sono cresciuti sensibilmente di più dell’Italia. Questa piccola rivincita italiana è il frutto di quattro anni di politiche economiche che hanno rilanciato con successo la nostra domanda privata interna e rafforzato l’export. Ma essere tornati in gruppo dopo aver sofferto per tanto tempo la sindrome del “fanalino di coda” non basta a rassicurare, perché un rallentamento economico del G7 e della Cina, se si protraesse nella restante parte dell’anno, difficilmente non avrebbe una ricaduta negativa anche sul nostro ritrovato ritmo di crescita.

  

 

Il punto delicato è perciò capire se la frenata di varie importanti economie del mondo e in particolare dell’Unione europea nel primo trimestre del 2018 costituisce solo un episodio, su cui possono aver influito anche le avverse condizioni climatiche, o un segnale di un peggioramento sostanziale del clima e del ciclo economico. Purtroppo, i dati sulla produzione industriale in Europa ad aprile non contribuiscono per il momento a rasserenare l’orizzonte, con una flessione congiunturale media rispetto a marzo dello 0,9 per cento nell’Eurozona e dello 0,8 per cento nell’Unione europea a 28 paesi.

 

Il calo della produzione industriale è stato del 2,2 per cento in Svezia, dell’1,9 per cento in Spagna, dell’1,7 per cento in Germania, dell’1,2 per cento in Italia, dello 0,9 per cento nel Regno Unito, dello 0,6 per cento in Francia, con un tonfo addirittura del 4,4 per cento nei Paesi Bassi. In termini tendenziali la dinamica della produzione resta ancora positiva rispetto ad aprile 2018 in vari paesi, tra cui Italia (più 1,9 per cento), Francia (più 2,1 per cento), Germania (più 2 per cento) e Spagna (più 1,7 per cento), anche se il rallentamento rispetto ai mesi passati è evidente.

 

L’economia europea non arriva dunque particolarmente lanciata all’appuntamento con i prossimi mesi e il 2019, che presentano di per sé scogli preoccupanti come le possibili implicazioni delle guerre daziarie, innescate dall’aggressiva politica di Trump e la fase finale del Quantitative easing. Le previsioni per il 2018 e il 2019 restano per ora quelle delle scorse settimane, e dunque ancora particolarmente confidenti che possano essere traguardati tassi di crescita in Europa non dissimili da quelli degli ultimi due anni. Ma il quadro potrebbe presto cambiare. E non in meglio.

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