Il ministro dell'Economia Giovanni Tria (foto LaPresse)

Produttività e riduzione del deficit. Tria sceglie la continuità con Padoan

Giovanni Tria

Durante la discussione sul Def il ministro dell'Economia spiega il programma economico del governo: “Pareggio di bilancio nel 2020”

[Pubblichiamo l'intervento integrale del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, nell'aula della Camera durante la discussione sul Documento di economia e finanza] 

 


Presidente, onorevoli deputati, il Documento di economia e finanza, al quale si riferiscono le risoluzioni oggi in discussione, come più volte ricordato, espone il solo quadro a legislazione vigente, ed è stato trasmesso al Parlamento dal Governo precedente. Conseguentemente, al Consiglio europeo e alla Commissione europea sono state inviate le versioni a legislazione vigente del Programma di stabilità, sezione prima del DEF, e del Programma nazionale delle riforme, sezione terza. Sarà ora l'attuale Esecutivo a predisporre il quadro programmatico e a trasmetterlo al Parlamento a settembre, e poi, ad ottobre, alle istituzioni europee.

 

Il quadro macroeconomico tendenziale contenuto appunto nel DEF presentato prevede una crescita del PIL pari all'1,5 per cento nell'anno in corso, 1,4 nel 2019, 1,3 nel 2020 e 1,2 nel 2021. Come è già stato ripetuto e ricordato, questo quadro macroeconomico è stato a suo tempo validato dall'Ufficio parlamentare di bilancio in base a informazioni che sembrano ormai obsolete.

Si tratta di uno scenario di crescita moderata, che la politica economica dei prossimi anni avrà il compito di irrobustire. Il quadro macroeconomico programmatico che il Governo presenterà a settembre terrà conto delle scelte di politica economica, così come delle più recenti evoluzioni della congiuntura internazionale e nazionale.

 

Al riguardo, va sottolineato che le tensioni protezionistiche emerse negli ultimi mesi hanno già rallentato la forte crescita del commercio internazionale registrata nel 2017 e raffreddato la fiducia delle imprese manifatturiere europee e asiatiche. In Italia, la crescita del PIL è proseguita nel primo trimestre, ma a un ritmo congiunturale e tendenziale inferiore a quello medio del 2017. Vi risparmio i dati, perché già li conoscete.

 

Anche nell'area Euro il PIL, nel primo trimestre, ha decelerato allo 0,4, in termini congiunturali e dallo 0,7 del quarto trimestre 2017. La crescita del PIL reale dell'Italia, nel secondo trimestre, è attualmente prevista in linea con il ritmo registrato nei primi tre mesi dell'anno. Il raggiungimento della crescita media proiettata nel DEF per il 2018 richiede, quindi, evidentemente, un'accelerazione del ciclo, nella seconda metà dell'anno.

 

  

Per quanto riguarda il 2019 e gli anni seguenti, i tassi di crescita previsti nel DEF a legislazione vigente sono ancora alla nostra portata, ma richiedono un'adeguata strategia di politica economica, cioè, non corrispondono più a un quadro tendenziale, soprattutto se le preoccupazioni circa gli effetti diretti e indiretti sulla nostra economia di un'eventuale inasprimento delle tensioni protezionistiche trovassero conferma.

 

   

Per quanto concerne la finanza pubblica, il DEF 2018 a legislazione vigente, che è stato trasmesso al Parlamento, prevede, come è stato più volte qui ricordato, un calo dell'indebitamento netto, dal 2,3 del 2017 all'1,6 dell'anno in corso, per poi scendere allo 0,8 il prossimo anno e raggiungere il pareggio di bilancio nel 2020. Alla luce di questa valutazione del deficit, il rapporto debito-PIL, certo, inizierebbe un chiaro percorso discendente. È un'evoluzione che è bene non mettere a repentaglio, perché il consolidamento di bilancio e una dinamica crescente del rapporto debito-PIL sono condizioni necessarie per mantenere e rafforzare la fiducia dei mercati finanziari; fiducia che è imprescindibile per la tutela delle nostre finanze pubbliche, dei risparmi degli italiani, nonché per la stabilità della crescita.

 

L'aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico verificato nelle ultime settimane è stato, larga parte, conseguenza fisiologica di una fase di osservazione di una transizione politica la cui soluzione positiva ha già prodotto i primi positivi effetti. Nell'interesse del Paese, è compito e intenzione del Governo agire in modo da prevenire ogni aggravio per la finanza pubblica.

In sintesi, la ripresa dell'economia italiana continua, ma a ritmi più contenuti che nel 2017. Gli sviluppi degli ultimi mesi, in particolare a livello internazionale, potrebbero configurare prospettive di crescita e di finanza pubblica meno favorevoli all'atto di formulare il nuovo scenario programmatico. Una fase di lancio è tuttavia alla nostra portata.

 

Come già detto, la versione programmatica del DEF 2018 verrà presentata a settembre; non sono ancora in grado, quindi, di illustrarvi i numeri macroeconomici, quelli su PIL, occupazione, inflazione, e i dati di finanza pubblica, indebitamento netto, avanzo primario, deficit strutturale, rapporto debito-PIL, necessariamente connessi al nuovo quadro programmatico in fase di elaborazione. Tuttavia, permettetemi di illustrarvi il contesto economico che ci troviamo di fronte e le linee di politica economica che informeranno le scelte del Governo. La crisi drammatica iniziata dieci anni fa, che ha investito il Paese facendo perdere fino al 9 per cento del prodotto interno lordo, si è scaricata su un'economia che soffriva e soffre, da troppi anni, di significativi problemi strutturali. Una governance dell'eurozona incompleta e inadeguata ha aggravato l'impatto della crisi finanziaria, incidendo sul tessuto produttivo e sociale. Dopo dieci anni, siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi, a differenza della quasi totalità degli altri Paesi membri dell'area euro. La produzione industriale è 17 punti percentuali sotto il livello raggiunto nel 2008, il tasso di disoccupazione è più di 5 punti superiore al punto di minimo pre-crisi, la diseguaglianza è sensibilmente aumentata. E permettetemi di ricordare che, oggi, a un dato livello di occupazione corrisponde un numero di ore lavorate sensibilmente inferiore rispetto a dieci anni fa. Questi sono dati Istat.

 

Il debito, in rapporto al PIL, è cresciuto meno che in altri Paesi, ma rimane molto alto. Il dato generale è che il tasso di crescita dell'economia italiana è rimasto sensibilmente e costantemente al di sotto della media europea. Gli aumenti e le diminuzioni del nostro tasso di crescita, così come l'alternarsi del suo segno da negativo a positivo e viceversa, di cui abbiamo molto sentito parlare, hanno sostanzialmente corrisposto, negli anni post-crisi fino ad oggi, alle variazioni della congiuntura europea, ma il divario negativo è rimasto sostanzialmente costante negli anni. Obiettivo prioritario del Governo è, quindi, aumentare il tasso di crescita potenziale dell'economia e chiudere questo divario di crescita. Dobbiamo accrescere la competitività del nostro sistema produttivo e la dinamica della produttività.

 

 

La strategia per raggiungere questo obiettivo richiede di muoversi su due fronti: da una parte, attuare le riforme strutturali previste nel programma di governo, dall'altra, attivare uno stimolo endogeno di crescita, per non limitarci a subire passivamente gli shock positivi o negativi che vengono dalla congiuntura internazionale. Questo stimolo endogeno deve essere rappresentato dal rilancio degli investimenti pubblici, che hanno continuato a diminuire, anche negli ultimi anni, nonostante la flessibilità di bilancio contrattata con la Commissione europea. Sui motivi di questo risultato deludente tornerò tra poco, perché essi saranno al centro delle prime azioni di Governo.

 

Consentitemi, tuttavia, di dire immediatamente che gli investimenti pubblici materiali e immateriali dovranno essere la chiave per ottenere quel di più di crescita che permetterà di conciliare l'attuazione del programma di riforme strutturali, annunciato dal Governo, con un quadro di finanza pubblica coerente con l'obiettivo di diminuzione progressiva del rapporto debito-PIL, sul quale il Governo si è impegnato.

Gli investimenti pubblici impattano positivamente e in maniera rilevante sulla domanda aggregata di breve termine, ma, soprattutto, sul potenziale dell'economia. Inoltre, in questa fase macroeconomica, è ragionevole assumere che gli investimenti abbiano un moltiplicatore particolarmente elevato che, indirettamente, ne finanzierebbe parte dei costi di bilancio, anche in ragione degli effetti positivi sugli investimenti privati.

 

Il Governo è determinato, quindi, ad invertire il calo degli investimenti pubblici in atto dall'inizio della crisi, invertendo anche, in tal modo, il deterioramento della composizione della politica di bilancio, che ha visto, anche negli ultimi anni, favorire la spesa corrente a scapito della spesa in conto capitale. Vorrei anche affermare che quando si parla di crescita è bene qualificarla. Noi parliamo di crescita inclusiva ed equa, non sempre la crescita economica lo è. Essa deve essere inclusiva ed equa guardando sia alle generazioni presenti, in particolare a quelle più giovani, sia alle generazioni future. Puntare su uno stimolo endogeno alla crescita, basato sugli investimenti pubblici e su quelli privati, trainati dai primi, significa affrontare il tema dell'occupazione di oggi e, al tempo stesso, costruire la capacità produttiva addizionale di cui beneficerà il lavoro delle generazioni future. Ciò si lega ai motivi per i quali dobbiamo mantenere un percorso di riduzione del nostro debito e, soprattutto, evitare ulteriore indebitamento volto a finanziare spesa corrente. Un livello più basso di debito pubblico riduce la spesa per interessi, liberando margini di bilancio per rafforzare la crescita e l'inclusione sociale. In particolare, sottolineo come i mercati finanziari reagiscano soprattutto alla percepita dinamica del debito, piuttosto che al suo livello, per quanto elevato. Un programma di finanza pubblica che ponga il debito su un percorso decrescente farebbe ridurre i rendimenti che il Tesoro paga sui nostri titoli sovrani; la differenza può essere molto rilevante. Tali considerazioni diventano ancor più rilevanti alla luce della prospettata normalizzazione della politica monetaria.

 

In conclusione, il mantenimento dell'impegno di riduzione del debito è condizione di stabilità finanziaria essenziale all'operare fruttuoso del nostro sistema produttivo e del nostro sistema creditizio. Esso sarà, inoltre, la condizione di forza per rivendicare non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa, una svolta decisiva che consenta di considerare la spesa per investimenti diversamente dalla spesa corrente, anche ai fini degli obiettivi di indebitamento. Si tratta di una svolta europea ormai matura, che deve portare ad un significativo piano europeo per gli investimenti, di cui l'Italia è da sempre promotrice.

 

Ai motivi economici e finanziari fin qui descritti a sostegno dell'obiettivo di finanza pubblica vorrei aggiungere anche motivi di equità, soprattutto di equità intergenerazionale: io appartengo alla generazione chiamata dei baby boomers; ebbene, sono consapevole del fatto che il debito, che opprime da vari decenni le nuove generazioni, soprattutto quella che viene definita dei millennials, debito che ostacola pesantemente un aumento del loro reddito, risalga ai comportamenti di quella generazione, della mia generazione.

 

Parte integrante della strategia macroeconomica illustrata e condizione essenziale per la sua praticabilità è la realizzazione, progressiva e programmata, delle riforme strutturali annunciate nel programma di Governo. Sono riforme che riguardano, come è noto, il sistema fiscale, il sistema pensionistico, il sistema del welfare, sulle quali ampia informazione è stata data dal Presidente del Consiglio, in quest'Aula. Da parte mia, voglio rilevare che la semplificazione del sistema fiscale e anche la progressiva riduzione della pressione fiscale, programmate in linea ad un andamento coerente della spesa pubblica, sono da tempo considerate parte essenziale della creazione di un ambiente pro-crescita ed anche in linea con le raccomandazioni generali più volte espresse da OCSE e Commissione europea. Voglio altresì ricordare che assicurare un reddito dignitoso a chi è temporaneamente in stato di disoccupazione o che, per vari motivi, ha difficoltà a entrare, o rientrare, proficuamente in un impiego è condizione essenziale per consentire, in un quadro di stabilità sociale, i necessari processi di innovazione tecnologica e ristrutturazione produttiva dettati dalle sfide del progresso scientifico e della salvaguardia ambientale.

 

Sappiamo tutti, inoltre, che il mantenimento di mercati aperti è connesso alla capacità dei sistemi di welfare di co-fronteggiarne le complesse implicazioni. Un ruolo centrale, in questa strategia, avrà il reddito di cittadinanza, volto a contrastare le sacche di povertà presenti in Italia tramite interventi non assistenziali, bensì indirizzati all'integrazione nel mercato del lavoro.

 

Tra le riforme strutturali che avranno un impatto cruciale per la strategia economica delineata, voglio qui richiamare l'intervento immediato e deciso per la rimozione degli ostacoli che hanno impedito fino ad oggi di tradurre in azione effettiva i programmi di rilancio degli investimenti pubblici in termini quantitativi, così come qualitativi. Purtroppo, negli ultimi anni questi ostacoli non solo non sono stati rimossi, ma sono stati rafforzati e – consentimi di dire – a volte, in modo sconsiderato. Il Governo è infatti consapevole che i maggiori ostacoli alla spesa pubblica per investimenti non vengono dalla carenza di risorse finanziarie, bensì dalla perdita delle competenze tecniche e progettuali delle amministrazioni pubbliche, dalla spesso difficile interazione tra le amministrazioni, sia centrali sia territoriali, e dagli effetti, non voluti, del recente codice degli appalti. Verrà istituita una task force all'interno del Governo, con l'intento di affrontare tali temi in maniera rapida ed organica.

 

Gli interventi relativi alle riforme strutturali sulle quali il Governo è impegnato, sia dal lato fiscale sia dal lato della spesa pubblica, andranno adeguatamente coperti. Sarà compito del quadro programmatico di finanza pubblica, che presenteremo a settembre, individuare le opportune coperture, nell'ambito della strategia complessiva di crescita e di finanza pubblica sopra delineate. Ogni proposta di riforma sarà attentamente articolata in considerazione dei suoi effetti sulla crescita, sull'equità e sulla dinamica di breve e lungo termine delle finanze pubbliche.

 

Parte centrale della strategia di politica economica del Governo è, come già più volte ho sottolineato, la dinamica dell'indebitamento netto e del debito pubblico. Lo scenario tendenziale dell'indebitamento netto sarà oggetto di seria riflessione in sede di predisposizione del quadro programmatico, in stretta collaborazione con la Commissione europea e, nel rispetto degli impegni europei e della normativa italiana, si individuerà il percorso più adeguato all'attuale contesto economico e anche al perseguimento dell'obiettivo di contenimento e riduzione del rapporto debito/PIL.

 

La nostra azione in Europa deve essere volta verso una profonda riforma delle istituzioni economiche che governano l'eurozona; non è questa la sede per approfondire il tema, ma permettetemi di sottolineare le gravi inadeguatezze che caratterizzano l'attuale equilibrio istituzionale europeo. L'area dell'euro è dotata di una politica monetaria unica e con obiettivi limitati, alla quale non corrisponde una capacità di bilancio in grado di sfruttare le economie di scala a livello europeo e di fare fronte agli shock macroeconomici particolarmente forti, compresi quelli di natura asimmetrica tra i Paesi membri.

 

Il sistema delle regole di bilancio non favorisce le spese per investimenti pubblici, mentre consente persistenti squilibri di partite correnti, dannosi al funzionamento dell'intera area. In generale, vi sono chiari problemi sul piano del coordinamento necessario tra politica monetaria e politiche di bilancio. In sintesi, è necessario che l'architettura economica che governa l'area valutaria comune sia indirizzata alla crescita e alla convergenza: ne beneficerebbe la politica monetaria, che potrebbe raggiungere con più facilità e meno distorsioni il suo obiettivo di inflazione, che, a sua volta, favorirebbe un'evoluzione virtuosa del rapporto debito-PIL. Sono convinto che da questa strategia riformatrice trarrebbero beneficio tanto il nostro Paese, quanto l'intera Eurozona.

 

In conclusione, il quadro programmatico che il Governo trasmetterà al Parlamento nella Nota di aggiornamento al DEF 2018 si comporrà delle scelte di finanza pubblica e della versione programmatica del Programma nazionale di riforme. Seguendo le linee programmatiche illustrate dal Presidente del Consiglio, sarà possibile conciliare crescita e occupazione con la sostenibilità del debito.

Inoltre, contiamo di presentare gli scenari programmatici, come è stato già ricordato, relativi ad un primo gruppo di indicatori di benessere equo e sostenibile. L'Italia, ripeto, come è stato già ricordato, è il primo Paese che si darà obiettivi in tema di equità, istruzione, salute, inclusione del mercato del lavoro, ambiente, sicurezza ed efficacia della giustizia civile. Si tratta di un'innovazione ambiziosa, in quanto cerca di stimolare una politica economica e sociale non incentrata esclusivamente sul PIL.

 

Lo stimolo del Parlamento e dei media sarà cruciale per portare il tema all'attenzione dei cittadini in maniera informata e costruttiva. Il Ministero dell'economia e delle finanze e le altre amministrazioni centrali coinvolte dovranno, a tal fine, rafforzare le loro competenze tecniche in aree che sono ad oggi largamente inesplorate.

Vi ringrazio per l'attenzione e per le osservazioni che avete argomentato durante questo dibattito. Per parte mia, mi impegno ad essere sempre aperto ad un confronto costruttivo con il Parlamento.