Luigi Di Maio e Giovanni Tria (foto LaPresse)

Cucù, il contratto non c'è più

Luciano Capone

Niente pazzie sul deficit, rispetto degli impegni europei, fedeltà al pareggio di bilancio, riduzione della spesa. Così il ministro dell’Economia spiega come si può sterilizzare con i numeri il pericoloso contratto del cambiamento

Roma. “Il consolidamento del bilancio è condizione necessaria per mantenere la fiducia dei mercati finanziari, imprescindibile per tutelare i risparmi italiani e ottenere una crescita stabile”. Traduzione: il “contratto del cambiamento” è cambiato. Mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini spara fuochi d’artificio politici e alza cortine fumogene mediatiche, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, con il suo stile pacato e rassicurante, fa la vera rivoluzione: un’inversione a U rispetto al programma economico che ha dato vita alla coalizione gialloverde e al governo Conte. Nella discussione in Parlamento sul Def Tria, pur specificando che il quadro programmatico dell’esecutivo verrà presentato in autunno, ha fissato i paletti entro i quali dovrà camminare il governo. Che poi sono gli stessi del “sentiero stretto” tracciato da Pier Carlo Padoan: “Il Def prevede un calo dell’indebitamento netto fino a raggiungere il pareggio di bilancio del 2020, così il rapporto debito-pil inizierebbe un percorso discendente – dice Tria –. E’ un’evoluzione che è bene non mettere a repentaglio”. Addio sogni di deficit. Questo vuol dire che la lunga lista della spesa pubblica elettorale – composta da reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della legge Fornero, minibot e altro ancora – a fronte di nessuna copertura è carta straccia. Le promesse di “battere i pugni a Bruxelles” e di “sfondare il tetto del 3 per cento” (del rapporto deficit-pil) sono definitivamente svanite. 

 

Il ministro Tria non ha negato la necessità delle singole riforme previste dal patto di governo tra Lega e M5s – ma d’altronde nessuno è contrario a dare un maggiore sostegno ai più poveri e a tagliare le tasse – ma ha bocciato la politica macroeconomica che prevedeva la loro realizzazione in deficit: “Gli interventi relativi alle riforme strutturali sulle quali il governo è impegnato, sia dal lato fiscale sia dal lato della spesa pubblica, andranno adeguatamente coperti”, ha detto Tria, ma sempre nell’ambito di una strategia di finanza pubblica che prevede una riduzione del debito e del deficit.

 

Su questo punto, cioè sulla tendenza del deficit, il ministro non vuole nessuno scontro con Bruxelles ma una “stretta collaborazione con la Commissione europea, nel rispetto degli impegni europei e della normativa italiana”, ovvero di quel famoso articolo 81 della Costituzione che la coalizione M5s-Lega diceva di voler cancellare. La strategia delineata dal professor Tria non è però di semplice “austerità” (così come la definirebbe la maggioranza politica che lo sostiene), ma prevede anche misure per sostenere la crescita e soprattutto per colmare lo storico divario tra il tasso di crescita italiano e la media europea. Come? “Dobbiamo accrescere la competitività del nostro sistema produttivo e la dinamica della produttività”, una parola, quest’ultima, che non compare mai nel contratto di governo. Per farlo, Tria oltre alle riforme strutturali prevede uno “stimolo endogeno” che deve essere rappresentato “dal rilancio degli investimenti pubblici, che hanno continuato a diminuire, anche negli ultimi anni, nonostante la flessibilità di bilancio contrattata con la Commissione europea”. Se questa critica al precedente esecutivo è fondata e condivisa dalla sua maggioranza, il modo con cui Tria punta ad aumentare gli investimenti non è lo stesso di cui hanno a lungo parlato Luigi Di Maio e Matteo Salvini (più deficit e più minibot fino, eventualmente, all’uscita dall’euro). Una prima azione riguarda “la rimozione degli ostacoli”, in particolare quelli introdotti dal nuovo codice degli appalti, che intralciano la trasmissione di investimenti già stanziati. Per sburocratizzare e tagliare le norme che intralciano gli investimenti, il Mef istituirà anche un’apposita task force. Una seconda linea di azione invece punta a invertire “ il deterioramento della composizione della politica di bilancio” che negli ultimi anni ha “ favorito la spesa corrente a scapito della spesa in conto capitale”. Un’analisi condivisibile, ma che contraddice alla base il “contratto del cambiamento” che prevede un grande ampliamento della spesa corrente. A fianco a questo Tria punta a rivendicare in Europa una modifica delle regole “che consenta di considerare la spesa per investimenti diversamente dalla spesa corrente, anche ai fini degli obiettivi di indebitamento”. Una svolta, ammette sempre Tria, “di cui l’Italia è da sempre promotrice”. Ma questo l’Italia potrà chiederlo solo dopo aver mantenuto l’impegno di riduzione del debito”. Insomma, prima bisogna fare i compiti a casa. Su questa linea di austerità, riforme e riduzione della spesa corrente, anche la Merkel sarà d’accordo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali