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L'accordo sui migranti che non c'è

Paola Peduzzi

Nel vertice tutto-immigrazione, l’Italia si ritrova con più responsabilità, meno solidarietà e un mucchio di smentite

Milano. Il veto non era un veto, l’accordo non è un accordo: il primo vertice europeo dell’Italia di Giuseppe Conte è stato un inseguirsi di minacce e vittorie annunciate, mani sulle spalle rassicuranti da parte dei colleghi dell’Unione, battute memorabili – se il premier italiano rivendica il suo essere un uomo di legge, lo svedese rivendica la carriera da saldatore, il bulgaro quella di vigile del fuoco – e una parola che ritorna, “volontario”, questa sì minacciosa, perché ci conosciamo da tanti anni, in Europa, e lo sappiamo che le iniziative volontarie sono tipiche di quelli che dicono “vediamo” e intendono “mai nella vita”. Il vertice è stato monopolizzato dalla questione immigrazione, che è stata imposta dall’Italia come prioritaria emergenza (quando non la è in termini di numeri), e l’accordo raggiunto grazie a un dialogo con la Francia di Emmanuel Macron è stato prima celebrato e poi smentito dall’Italia. La novità introdotta riguarda i “centri di sorveglianza”, centri sul territorio europeo che si occupano di controlli ed eventuali rimpatri e godono della possibilità di ottenere aiuti e riallocazioni in altri paesi. 

  

Il problema è che questi centri dovrebbe costruirli l’Italia, ché in Grecia e in Spagna, gli altri paesi di primo approdo, di fatto, pur se i meccanismi vanno un minimo armonizzati, ci sono già. E’ quel che si aspetta Macron, che si aspetta anche che venga rispettato il principio di responsabilità previsto dal regolamento di Dublino, che esclude quindi i movimenti secondari (così il governo tedesco di Angela Merkel pare oggi più fuori pericolo), e anche che sia rispettato il diritto del mare, cioè i porti “sicuri” non possono essere chiusi, e l’Italia ha i porti più comodi e sicuri della rotta libica. Conte ha detto che Macron era “stanco” e che i centri di sorveglianza l’Italia non li farà, così come i porti resteranno chiusi alle navi delle ong per l’estate – che è una stagione in cui i flussi si intensificano, assieme agli incidenti come il naufragio di oggi, cento dispersi, tre bambini morti. L’accordo appena firmato è già di fatto mezzo smentito o mezzo fallito, che è un po’ la stessa cosa.

 

Gli altri paesi dell’Europa qualcosa di più l’hanno ottenuto: l’Ungheria di Viktor Orbán, che aveva già risolto la questione migratoria chiudendo le frontiere e rifiutando di offrire ogni genere di solidarietà, ha ottenuto che della riforma di Dublino si discuta ma senza una scadenza precisa e con una votazione finale unanime, che aumenta le possibilità di sabotaggio. La Germania ottiene l’appoggio (clamoroso) dei volenterosi, Spagna e Grecia, nell’evitare i movimenti secondari, esclusi anche da Macron: l’offensiva bavarese, lanciata dal ministro dell’Interno Horst Seehofer è parzialmente disinnescata, anche se fino a domani, quando ci sarà il confronto diretto tra la Merkel e il suo ministro, non si può dire che la crisi è passata. Anche l’Austria di Sebastian Kurz è stata conciliante più con la Merkel che con il ministro Seehofer: le azioni unilaterali sul proprio confine non convengono nemmeno al duro premier austriaco. La possibilità poi che ogni aiuto sia volontario salva più o meno tutti gli altri paesi da ogni pressione, tranne quelli, come è da sempre, di primo approdo.

  

 

  

Degli altri temi in agenda si è parlato poco o niente: sono state rinnovate le sanzioni alla Russia per sei mesi (anche se l’Italia non era d’accordo), si è detto che ci sarà una reazione dura sui dazi senza entrare nello specifico, l’integrazione dell’Eurozona è rimandata a dicembre e la Brexit è stata citata a malapena. Così con la nave Aquarius il governo Conte ha creato una crisi politica che non c’era, ha impegnato l’Italia con pugni sul tavolo, voce alta e veti nel consesso europeo, e ha ottenuto un accordo che non è un accordo, non soltanto perché è stato smentito, ma anche perché non era chiaro che cosa il governo italiano volesse dall’Ue.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi