La polizia arresta decine di migranti sulla costa vicino Tripoli (foto LaPresse)

Centri controllati e piattaforme di sbarco, glossario del non accordo sui migranti

Luca Gambardella

Il testo approvato a Bruxelles introduce degli strumenti nuovi per l'accoglienza. Che però restano molto generici. E soprattutto non vincolano nessuno

Nel documento finale dell'accordo raggiunto al Consiglio europeo di Bruxelles il punto 5 (in tutto sono 12) spiega che cosa siano i "centri controllati", un nuovo strumento che secondo il premier Giuseppe Conte testimonierebbe che "l'Italia non è più sola" nella gestione dei migranti.

 

Ma cosa sono questi nuovi centri? Finora si era parlato molto della necessità di creare degli hotspot, ovvero delle aree in cui raccogliere i migranti per processare le richieste di asilo. La differenza principale tra gli hotspot e i "centri controllati" è spiegata a grandi linee nel punto 5 del testo: i primi sono collocati al di fuori del territorio dell'Ue. In Libia esistono già, ma somigliano piuttosto a campi di detenzione, definiti da Onu e Ong come "lager" da cui vengono espulsi i migranti e rimandati nei loro paesi di origine. I "centri controllati" invece saranno attivati entro i confini europei. Essendo dei centri di raccolta dei migranti appena sbarcati sul territorio europeo, questi saranno creati in quei paesi che si trovano già in prima linea nell'affrontare la crisi migratoria: Italia, Grecia e Spagna. Anche questi centri – come gli hotspot extra Ue – sono dei campi chiusi di accoglienza, gestiti con finanziamenti europei. Ma solo i paesi che hanno i “centri controllati” potranno beneficiare della ripartizione dei richiedenti asilo tra alcuni paesi europei (che avviene solo su base volontaria) e dei fondi dell'Ue per effettuare i rimpatri dei migranti economici. Tra l'altro, lo stesso premier Conte ha detto alla fine del vertice che non sa se l'Italia aprirà dei centri controllati: "E' una decisione che ci riserveremo a livello governativo in modo collegiale. Direi che non siamo assolutamente invitati a farlo"

 

Nel documento gli hotspot creati fuori dall'Ue sono denominati "piattaforme di sbarco" che dovrebbero essere gestite col sostegno delle Nazioni Unite, in particolare con quello dell'Agenzia per i rifugiati e dell'Organizzazione internazionale per le Migrazioni. In queste piattaforme dovrebbero essere processate le richieste d'asilo: chi non ha i documenti in regola per ottenere la protezione internazionale sarà rimandato nel paesi d'origine, evitando in questo modo di costringere i migranti a una pericolosa traversata del Mediterraneo. Finora però Tunisia, Algeria e Libia hanno già detto no all'idea di aprire questi hotspot.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.