Ora sei una mamma

Serena Uccello

Arrivano i figli e sovvertono tutto. Il destino, il bene, il male, il finale delle cose che succedono

Qualche anno fa, quando ero incinta di mio figlio, un amico a cui raccontai della gravidanza mi disse solo: “Ora sei una mamma”. Solo quattro parole. Mi sembrò allora un modo riduttivo di commentare quello che gli avevo confidato. Certo che ero una mamma, ovvio, no? Sono incinta, sarò una mamma, sono una mamma.

 

A parti invertite mi è successo, dopo, di vivere la medesima circostanza in almeno due occasioni, amiche che mi dicevano di aspettare un bambino e io che esattamente come il mio amico rispondevo: “Ora sei una mamma”. Quasi con lo stesso tono. 

 

 

Così mi sono fermata e ho cominciato a riflettere sul perché quella mi era apparsa la cosa più naturale da dire. Ho allora capito che il mio amico, forse senza averne una percezione precisa ma seguendo l’istinto come era successo a me, aveva colto l’aspetto principale della mutazione a cui stavo andando incontro. “Ora sei una mamma” equivaleva a dirmi che una nuova natura si preparava ad aggiungersi a quella di prima, in un miscuglio dagli esiti personali e misteriosi. La medesima percezione che io, a mia volta, avevo restituito. Cosa diventi esattamente quel miscuglio credo attenga alla natura di ognuno e che sia assai difficile trarne una universalità. Penso però che vi sia un elemento che accomuna tutti i “miscugli” del mondo ed è il sovvertimento: la capacità delle donne, che diventano madri, di sovvertire. Non parlo della forza o del coraggio, tutte cose che non sono necessariamente pertinenti con la genitorialità ma che riguardano l’identità. Parlo dello spostamento del proprio baricentro mentale.

 

Quando, per lavoro, mi è capitato di conoscere e raccontare alcune storie determinate dal crimine organizzato, sono stata risucchiata dalle vite di alcune donne, tutte madri, in cui il sovvertimento ha determinato il destino dei figli più del Dna. Donne alle quali sono stati i figli a insegnare il valore dell’identità, donne che molto spesso hanno imparato l’autodeterminazione attraverso il desiderio delle figlie di incidere nelle proprie scelte. Può esserci un sovvertimento più grande di quello compiuto da chi per amore recide l’appartenenza in nome della libertà? E della libertà dei propri figli?

 

Nelle pagine de La nostra casa felice, tutte queste donne sono diventate Nunzia e, in parte, anche Argentina. Nunzia e Argentina sono molto diverse: Nunzia è la figlia di un boss della ‘ndrangheta, ha due figli, Miriam e Pietro, un marito in carcere. Un marito che lei ha creduto di amare scoprendo presto il fraintendimento: lui non l’ha mai amata, solo usata. L’amore diventa rancore. E la carcerazione di lui diventa per lei la scoperta dell’equilibrio. Nunzia ha una famiglia forte che usa spesso le parole bene e legami, ma che è gestita dal codice della violenza e scambia i legami con i tradimenti. Una famiglia che così regolata ha sovvertito l’essenza stessa di famiglia e che Nunzia presto sovvertirà a sua volta. Argentina è una poliziotta destinata alla ricerca latitanti e in particolare si occupa di intercettazioni. Ha un marito e crede di avere una vita definita e lineare. Argentina crede di avere il controllo di tutto, è sicura che quel che appare sia quel che è. Fino al giorno in cui incontrerà Nunzia, scoprendo attraverso di lei di essere protagonista di una storia che, invece, per lo più ignora. E’ l’identità di madre che determina la capacità di Nunzia di sovvertire le regole del mondo a cui appartiene. Nunzia è una donna massacrata e, per questo, non riesce a vedere nulla oltre a lei. L’unica sintonizzazione che la connette con il mondo è quella con i suoi figli. Perché, ci piaccia o no, anche quando questo ci richiede uno sforzo sovraumano, la sola identità a cui non possiamo sottrarci o abdicare è, se siamo madri, quella della maternità.

 

Vedere Miriam che ha quasi diciotto anni e Pietro che ne ha undici, equivale per lei a vedere un mondo in cui la prima può scegliere cosa essere e il secondo può sfuggire a un destino in cui, per l’appartenenza, gli toccherebbe di finire come il nonno o come il padre, in carcere o morto. Abbastanza per scorgere e desiderare un mondo sovvertito rispetto al suo. Abbastanza per decidere di rinunciare al suo essere madre se questo può assicurare ai figli la possibilità di determinarsi come individui. Tuttavia, gli effetti del sovvertimento che Nunzia genera sono ancora più dirompenti quando impattano su Argentina e ribaltano le ambiguità e le contaminazioni che nel tempo si sono stratificate nella sua vita, fino a spingerla a mettere in discussione il suo matrimonio, il lavoro, le sue scelte, e a spingerla verso un nuovo inatteso assetto, ancora una volta plasmato dalla frase “Ora sei una mamma”.

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