Non sono pronta

Gaia Manzini

Tre donne che diventano madri e un figlio in cerca di occhi che lo guardino

Potrebbe essere chiunque; sì, chiunque. Potrebbe avere il corpo di una donna giovane: ancora i tratti acerbi dell’adolescente che è stata fino al giorno prima. Potrebbe essere una ragazza dalla vita randagia che dorme in strada con un cane di nome Giobbe, che ascolta musica punk e vuole vivere solo nel presente, perché il prima e il dopo non esistono, la libertà non conosce gli orologi. Potrebbe essere una giornalista sulla soglia dei trent’anni che improvvisamente si sente espulsa dal mondo dei ventenni, non riesce a registrare la realtà che la riguarda e cerca l’amore ancora e ancora; non vuole ammettere di essere stata abbandonata, non ci riesce. Potrebbe chiamarsi Valentina, Cecilia, Luciana, o in altri mille modi. Sta per diventare madre, si vede: la pancia tesa sfida il mondo, rivendica la sua evidenza. Sta per diventare madre: lei lo sa e non lo sa. Certo, perché se fosse un uomo sarebbe molto più facile, perché “un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente. Nessuno gli cede il posto, nessuno gli fa largo, nessuno suppone di doverlo proteggere, o compatire”. Paolo Di Paolo in Lontano dagli occhi riesce a raccontare con estrema sensibilità i mutamenti impalpabili dell’animo femminile, il disagio e l’inadeguatezza della gravidanza, quell’essere “spettatori stravolti” della vita che ti viene addosso e non ti fa scegliere niente, niente davvero. “Non so nemmeno perché alla fine ho deciso di tenerlo”, dice Cecilia, “in realtà, non so nemmeno se ho deciso”. In fondo non siamo mai le nostre decisioni, ma il nostro continuo fluttuare, il riverbero dei nostri dubbi.

 

Ho letto questo libro continuando a pensare a me e alle mie amiche qualche anno fa, al fatto che la maternità è un processo molto meno naturale di quanto si pensi; almeno, nella testa e nei pensieri. Quando si scopre di essere incinta si apre una crepa, d’un tratto siamo meno compatte, meno definite da contorni precisi. Ci sono due cuori dentro di noi e sentiamo il tempo scorrere in modo diverso: un modo circolare, centrifugo. Sicuramente un figlio nascerà, ma non tutte le donne sono pronte a nascere come madri. C’è chi ci prova di continuo, anno dopo anno, ma non ci riesce mai fino in fondo. Chi lo fa con la gioia della scoperta e chi, come madre, non nasce proprio per niente. Non ce la fa. Prende una decisione netta, mette una distanza incolmabile tre sé e suo figlio. Lontano dagli occhi racconta con delicata precisione, e senza una parola di troppo, di quelle madri che non ce l’hanno fatta. Che non sono riuscite a nascere. 

 

Luciana, Valentina e Cecilia sono tre donne palpabili, vere. Chi come Luciana non si è illusa per amore? Chi non ha desiderato tanto un uomo come lei desidera l’Irlandese, al punto che il bambino è espressione solo della voglia di ritrovarlo, di richiamarlo a sé? Valentina invece fa ancora il liceo, ha scoperto l’amore, e anche quella cosa di sentirsi desiderata e detestata insieme; di essere ingombrante per colpa della propria femminilità – per Ermes, il suo compagno di classe; ma anche per i suoi genitori. E’ il 1983, i personaggi di questo libro ascoltano Lucio Dalla e Renato Zero e Rino Gaetano, cantano Tropicana, leggono Linus e Paris Match. Ci assomigliano tantissimo. Cecilia il suo bambino ha deciso di tenerlo, non sa neanche perché, e torna da Gaetano. Non è lì per rivendicare o rinfacciare niente, ma vorrebbe solo che quando sarà il momento ci fosse qualcuno con lei, perché da sola ha paura di non farcela. Perché da soli non ci bastiamo mai. Ma anche così è un’ipotesi di famiglia.

 

Tutti noi viviamo dentro narrazioni che ci proiettano in avanti, che compattano ai nostri occhi una possibilità. E’ così che nascono i figli: da un’idea. Da un racconto che precede la nascita. Prima che di carne, battiti cardiaci e respiri, i figli sono fatti di parole. Come avrà gli occhi? Come sarà vederlo camminare e andare in bicicletta? Spiarlo mentre scrive il suo nome, quello che abbiamo scelto per lui? E noi come ci comporteremo, cosa gli diremo quando tornerà a casa deluso dalla vita per la prima volta? Ogni domanda è lo snodo di un racconto, l’ipotesi di un futuro. Ecco: il nucleo intensissimo di questo romanzo è proprio quello di compiere un percorso inverso e complementare. Quello di comporre l’ipotesi di un passato. Anche i genitori, d’altronde, possono essere fatti di parole. Lontano dagli occhi è la storia di un figlio che non ha conosciuto suo padre e sua madre e ha bisogno di vederli, di generarli. Di descrivere le loro emozioni, i loro corpi, i mutamenti del loro animo, per sottrarli dal buio. Ha bisogno di farli nascere una seconda volta come atto d’amore che compensi la loro fragilità. Potrebbero essere chiunque, potrebbero essere Luciana e l’Irlandese, Cecilia e Gaetano, Valentina ed Ermes. Poco importa: ora lo sono.

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