(foto LaPresse)

Certa sinistra si è fermata al Grande raccordo anulare

Guido Vitiello

Tra Bettini, Zingaretti e altri stracchi reduci della Fgci, il dibattito sul nuovo sindaco di Roma è troppo romano

Romano, troppo romano. Il romano Goffredo Bettini va dal romano Luca Telese (finto romano, dunque iperrealisticamente romano) a dire che il sindaco di Roma “vale più di un primo ministro”, e i due sembrano prendere la cosa molto sul serio. Forse, ancora ancora, una gag del genere è comprensibile a Pomezia. Voglio allargarmi: a Terracina. Non nel resto d’Italia. Ma è evidente da come parlano e da come s’intendono che per Telese, Bettini, Zingaretti e altri stracchi reduci della Fgci romana i confini del mondo coincidono grosso modo con l’orlo sudaticcio del sacro Gra. Notava Edgardo Bartoli, con precisione chirurgica, che Roma “non è la capitale di niente perché non serve da modello a nessuno, non assimila e non elabora ciò che l’Italia esprime, ed è essa stessa provincia”; e non provincia come si può intendere in Francia, come periferia emulatrice, bensì provincia “in senso romano, ossia autarchico e universalistico al tempo stesso”. Una provinciona tronfia. Sta qui forse una delle ragioni della plateale inadeguatezza, per navigare nella tempesta della crisi mondiale, di questa classe dirigente allevata dalla sinistra romana (della destra, neppure a parlarne). Alla salute dell’umile Italia servirebbe un Veltro dantesco, ma queste malebolge e maleborgne il meglio che hanno partorito è un Veltroni. Per il resto, politici che qualunque gallone si guadagnino, foss’anche lo scettro di imperatore, non sanno scrollarsi di dosso, nel linguaggio e nella capacità di visione, quella perenne aria da assessori comunali, a loro volta intervistati da giornalisti che gestiscono talk-show nazionali come osti arronzoni di una trattoria dell’Esquilino. Romano, troppo romano.