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Il bi e il Ba - Corso di garantismo per bambini

La capriola crudele

Guido Vitiello

Da alcuni anni la formula “certezza della pena” ha fatto un salto semantico, in senso giustizialista

Molti di voi, incuriositi dalla lezione di sabato scorso sui pifferai magici, mi hanno sottoposto altre formule che risuonano tutti i giorni nel dibattito sulla giustizia, per sapere da me se devono abbracciarle o combatterle, temerle come sortilegi maligni o lasciarsene ammaliare. Che dirvi: dipende. Prendiamo la formula più insidiosa, “certezza della pena”.

 

Vi leggo una pagina di “Fine pena: ora” (Sellerio editore) dell’ex magistrato Elvio Fassone, perché vi serva da esempio su come difendervi dai prestigiatori. “Si parla spesso di ‘certezza della pena’, e per chi ha avuto una piccola infarinatura di studi giuridici l’espressione ha un preciso significato: il cittadino che tiene una certa condotta deve sapere se essa costituisca reato oppure no, e in caso positivo quali sono le sanzioni previste. La pena è ‘certa’ quando né il reato né la sua misura sono frutto dell’improvvisazione del potente”.

 

Fin qui tutto bene. “Ma da alcuni anni a questa parte la formula ha fatto anch’essa una capriola: l’espressione è venuta a tradurre l’insofferenza verso un preteso lassismo che non ci tutela più contro i malandrini, i quali, a detta della vox populi, quando delinquono non sono più perseguitati, e quando a fatica lo sono, sgusciano tra le maglie di una giustizia imbelle. La certezza della pena, insomma, significa che quell’altro cittadino, quello che non delinque e che deplora, deve essere certo che la pena sarà irrogata in tutto il suo rigore, ed espiata in tutta la sua intransigenza”.

   

Oplà. L’avreste mai detto che la capriola potesse diventare un gioco così crudele?

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