(foto LaPresse)

Classi dirigenti in crisi di mezza età

Guido Vitiello

L'onda sovranista-populista in questi anni è stata cavalcata da un ceto politico, giornalistico e culturale angosciato dal timore che non arrivassero altri cavalloni propizi

Quando Ferrara presentava Grillo come un comico annoiato che si era dato alla politica perché non sapeva come passare i pomeriggi, pensai che la sua era una buona intuizione psicologica. Anni dopo, devo riconoscergli che come imbeccata sociologica valeva ancora di più. Lo sanno bene gli studiosi delle sette, delle teorie del complotto, dei revival religiosi, dei radicalismi politici: due sono le età della vita più esposte a questi fremiti esistenziali, e sono la prima giovinezza e la crisi di mezza età – quest’ultima specialmente nei maschi. E a guardar bene è il midlife ennui, più di ogni comun denominatore ideologico, a tenere insieme il grosso del ceto politico, giornalistico e intellettuale che in questi anni si è affannato a pagaiare con le braccia per non perdersi il surf sull’onda sovranista-populista, nell’angoscia che non arrivassero altri cavalloni propizi. Alcuni identikit sono più ricorrenti (per ognuno ho in mente almeno cinque nomi): l’accademico uggioso e irrequieto che cerca un bain de multitude e vive una seconda giovinezza da mestatore soreliano in rete; il giornalista che per poco non finiva fuori da tutti i giri, o c’era già finito, e che come polizza personale si è riscoperto più sovranista del sovrano; il politico che si era ritrovato anzitempo nell’intercapedine tra bella promessa e solito stronzo e per l’angoscia di esserne inghiottito per il resto della vita ha fatto il salto decisivo sull’altra sponda: e poi beghine e begardi, reduci e meteore, popi e damazze… tutti ringalluzziti all’idea di arruolarsi, a cinquant’anni suonati, in crociate contro l’invasione, l’euro, il laicismo, le ong, il politically correct, il gender e altre teste di turco che mamma li turchi. È la crisi di mezza età.

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