Il Castello Sforzesco (foto LaPresse)

Due modi un po' “vampireschi” di non aiutare il modello Milano

Maurizio Crippa

Le parole del ministro Provenzano e il richiamo all’Expo di Renzi. Più che di evocazioni un po’ retoriche, oggi il modello Milano avrebbe bisogno di un sostegno concreto, di una visione politica rilanciata

Detto senza alcun campanilismo, un vizio piccino che Milano non ha mai coltivato, e tantomeno intende farlo GranMilano, ma c’è qualcosa che non quadra nella recente, un po’ sovraeccitata, attenzione politica alla città. Due episodi diametralmente opposti, e provenienti da due sinistre diametralmente opposte, che meritano una nota a margine.

 

Il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha tentato variamente di chiarire il senso, e dal suo punto di vista la validità, della sua affermazione, la scorsa settimana qui in città durante un incontro cui partecipava il sindaco Beppe Sala, secondo cui “questa città attrae, ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae”. Nonostante i chiarimenti, la sua frase ha scatenato per giorni una ridda di commenti e tentativi di campagne giornalistiche ispirati a una visione punitiva della vivacità economica, senza molta prospettiva e evocativi di un vecchio meridionalismo inadatto ai tempi. Pochi che abbiano provato a riflettere sul vero tema – che tra parentesi troverebbe l’interesse convinto del sindaco di Milano – e cioè il ruolo attrattivo-generativo che le grandi città hanno e avranno sempre più in un mondo connesso e globale. Sono le megalopoli, e quella lombarda che fa capo a Milano lo è, a guidare lo sviluppo. Questo comporta certamente anche problemi nuovi, ma bisognerebbe iniziare a pensare in modo nuovo anche a che cosa è un territorio. E, al limite, a come si possa fare a creare nuove aree super-metropolitane in grado di attrarre lavoro, capitali, e intelligenze umane (i famosi giovani laureati che secondo qualcuno Milano ruberebbe alla terra che li ha istruiti). Il punto di vista della sinistra modello Provenzano, quando pensa a una città come Milano, è insomma quello che potremmo dire, assumendoci l’onere della metafora, della vampirizzazione ideologica. Si succhiano dal “modello Milano” quegli aspetti giudicati negativi e utili per alimentare la propria retorica. Ma poi, fatta scorta di sangue fresco, quali idee pratiche e realizzabili vengono, alla sinistra tradizionale?

 

Da un fronte cultural-politico assai distante, e con tutt’altra prospettiva e intendimento, a fare rifornimento di forza milanese – se vogliamo abbandonare la metafora di Dracula, possiamo provare con quella degli spinaci di Braccio di Ferro – è arrivato nello scorso fine settimana Matteo Renzi. A Torino, nel primo evento politico del suo nuovo partito, dopo il debutto di Italia viva alla Leopolda, Renzi ha annunciato l’arrivo di un “piano choc” da 120 miliardi, una proposta di legge che sarà pronta per gennaio. Buone idee, si aspetta il seguito. Ma una cosa di quelle dette dal torrenziale ex premier fiorentino è significativa: il richiamo, più immaginifico che fattuale, all’Expo e (indirettamente) al “modello Milano”. “E’ evidente che le procedure standard non funzionano”, ha detto, c’è bisogno di un modello che ha funzionato, l’Expo di Milano. “Abbiamo messo l’ambulanza nella corsia di emergenza. Abbiamo piazzato un commissario e dato un controllo fortissimo al magistrato Raffaele Cantone”. Il commissario, come si sa, era Beppe Sala.

 

Dal successo ottenuto da Expo, e grazie alla sua visione pragmatica dell’impegno politico, è nata poi la sua candidatura a sindaco, sostenuta ai tempi da Matteo Renzi, anche contro settori pur importanti della sinistra milanese. E il marchio di fabbrica dell’operazione era appunto il “modello Milano”. Poi molte cose sono cambiate in Italia, e nel Pd. Ma una di queste cose cambiate è che Renzi, e il suo stesso Pd, si sono in fretta disamorati del “modello Milano”, lo hanno lasciato piuttosto solo, dal punto di vista dei fatti concreti. Mettendo Sala nella necessità di fare più sponda con l’ala sinistra della sua giunta. E’ nato così quel modello della “Milano dei diritti” che, nell’immaginario comune, è oggi una parte importante della Milano di Beppe Sala. Niente di male, ovviamente, anzi c’è dell’intelligenza politica in questo. Ma, come ha detto di recente Romano Prodi, la sinistra che insegue i diritti e perde di vista gli operai (insomma la ciccia dell’economia) viene sconfitta dalla destra populista. Oggi il modello Milano avrebbe bisogno, più che di evocazioni un po’ retoriche, di un sostegno concreto, di una visione politica rilanciata. Matteo Renzi, a Milano, per ora appare come un fattore divisivo. E la forza (attrattiva, per dirla alla Provenzano) di un buon sistema di governo politico e amministrativo, quella che ha fatto Expo, a partire da Letizia Moratti giustamente evocata da Renzi, rischia di sbiadire.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"