Un jet da combattimento F-16 della Royal Air Force danese in Lituania (Foto AP/Mindaugas Kulbis) 

Se l'imperialismo russo non viene sconfitto in Ucraina, le metastasi arriveranno in Europa

Karolis Kaupinis

Il regista lituano Karolis Kaupinis dice che la politica occidentale è cambiata per sempre, ma bisogna battersi perché l’Ucraina non diventi un altro luogo perduto

Mi chiamo Karolis Kaupinis e sono il regista del film “Nova Lituania” (2019): il protagonista è un geografo lituano che percepisce la minaccia della guerra, nel suo paese e in Europa, e cerca disperatamente di persuadere i suoi connazionali a fare qualcosa. Il film si basa su una storia vera accaduta in Lituania poco prima della Seconda guerra mondiale. Kazys Pakstas, professore di geografia all’Università di Kaunas, fece continui appelli alle autorità del mio paese, prevedendo l’imminente collasso dello stato e della società a causa dei confinanti, e assai aggressivi, regimi totalitari. La soluzione che proponeva era quella di andare a creare altrove una “Lituania di riserva”: un territorio all’estero in cui lo stato avrebbe potuto continuare a esistere anche dopo che fosse stato occupato.

Quel territorio in realtà esisteva: a Roma, qualche centinaio di metri quadrati in Via Nomentana 116. Era Villa Lituania, sede allora dell’ambasciata lituana. Quel luogo rimase lituano anche un paio di mesi dopo il 15 giugno 1940, quando oltre centocinquantamila soldati sovietici (un numero leggermente inferiore a quello delle truppe russe entrate adesso in Ucraina) invasero la Lituania . 

La differenza tra la Lituania di allora e l’Ucraina di oggi è che l’Ucraina sta resistendo con tutte le sue forze. La Lituania, nel 1940, decise di non resistere all’invasione, sperando che il nemico avrebbe avuto pietà. Cosa che non accadde mai. Non c’è famiglia in Lituania che non abbia avuto qualcuno deportato in Siberia, per eliminare gli “elementi indesiderati” dalla Lituania già sovietica. Uno dei pochi che si oppose attivamente al nuovo regime fu Stasys Lozoraitis, l’ambasciatore lituano a Roma. Per un  paio di mesi, Stasys Lozoraitis cercò di disobbedire alle richieste dell’Italia fascista di consegnare Villa Lituania e l’ambasciata ai sovietici, divenuti alleati dell’Italia grazie al partto Molotov-Ribbentrop. Non potendo resistere più a lungo, nella notte del 26 agosto 1940 la famiglia dell’ambasciatore bruciò tutti i documenti, conferì la proprietà dell’ambasciata ai lituani di Roma, tagliò le linee elettriche e anche i fiori del giardino. Solo allora lasciò l’edificio e il suo terreno, consegnando le chiavi ai funzionari italiani e non ai sovietici.

Un anno dopo, quando i diplomatici sovietici, diventati nel frattempo ex alleati dell’Italia, dovettero lasciare Roma, Kazys, figlio dell’ambasciatore Lozoraitis, che in seguito divenne ambasciatore della Lituania indipendente presso la Santa Sede, tornò a Villa Lituania abbandonata. Rimase scioccato da quello che vide: varie famiglie vivevano in una sola stanza; si mangiava, si dormiva, si defecava nella stessa stanza; a causa delle grondaie rotte l’acqua scorreva attraverso i muri; il soffitto bianco del soggiorno era annerito dal fumo della stufa. Nel corso di un anno, i sovietici avevano trasformato l’edificio neorinascimentale dell’ambasciata in un condominio fatiscente. In condomini come quello crebbero poi alcune generazioni dell’Europa dell’est. In un condominio come quello sono nato anch’io a Vilnius, accanto alla principale base militare dell’Armata rossa.

Il primo ricordo visivo della mia infanzia è una trasmissione televisiva lituana la notte del 13 gennaio 1991. L’ultimo tentativo dell’impero sovietico di non lasciare liberi gli stati baltici. I paracadutisti russi nei corridoi della sede televisiva. Il frastuono degli spari dei carri armati e delle mitragliatrici in città. Le verità sulla “liberazione dalla giunta fascista” trasmesse attraverso gli altoparlanti. Rivedo i marciapiedi della via di Žirmūnai distrutti dal passaggio dei cingolati, mentre andavo al negozio con la nonna. E le sue parole, guardando le piastrelle rotte: “Russi, caro mio, sempre questi russi”.

Con queste stesse parole fui poi accolto da un coinquilino a Roma quando venni a studiare alla Sapienza. Lui aveva incontrato, prima, soltanto una persona dell’Europa dell’est, giocando a pallanuoto con una squadra ucraina. “Avete tutti la stessa faccia”, mi disse con una risata. Tutta l’Europa dell’est gli sembrava una grande Russia: “Voi siete tutti russi”. La stessa cosa è stata ripetuta di recente dal presidente russo mentre teneva alla televisione il suo discorso pre invasione sulla storia ucraina. L’Ucraina come nazione non esiste. Se la sono inventati. Non esistono. Gli ucraini sono russi. E se non lo capiscono da soli, glielo faremo capire. Saranno russi o non saranno affatto.

Non si tratta, tra l’altro, di una differenza etnica o linguistica. Nel momento in cui scrivo queste parole, l’artiglieria russa sta radendo al suolo la città di Kharkov come ha fatto con Grozny o Aleppo. E’ una città ucraina quasi esclusivamente di lingua russa. Ma qui non importa la lingua. Dal punto di vista imperiale, il russo è colui che sostiene l’idea dell’impero. Un uomo di lingua russa che non sostiene l’imperialismo russo merita la stessa crudeltà sconsiderata come le colonie che hanno osato disobbedire. La mia vicina di casa, insegnante di lingua russa, che ha messo la bandiera ucraina sul suo profilo Facebook, sarebbe trattata oggi in Russia come Anton Dolin, il redattore di Iskustvo kino (una delle più importanti testate cinematografiche russe), che si è dichiarato contro l’invasione dell’Ucraina. La porta del suo appartamento a Mosca è stata segnata con la lettera Z, una nuova svastica imperiale dipinta anche sui carri armati russi in Ucraina. E’ subito fuggito a Riga, la capitale di uno degli stati più “russofobici” del mondo, secondo il ministero degli Esteri russo.

L’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ha già cambiato per sempre la politica europea. Si fanno continuamente nuove scoperte. Non riesco ancora a credere che l’Italia, i cui dirigenti delle aziende più importanti qualche settimana fa stavano in riunione con Vladimir Putin, abbiano sequestrato in questi giorni le proprietà degli oligarchi, propagandisti e tesorieri del regime. La sinistra italiana per tanto tempo ha considerato la Russia un’utopia fallita di sinistra, anche se l’impero russo odierno si basa sull’Ur Fascism di cui ha scritto Umberto Eco. Se l’imperialismo russo non viene sconfitto in Ucraina, la sua metastasi si diffonderà in tutta l’Europa. E’ solo questione di tempo. Ma ci sono ancora coloro che parlano di “dialogo” e “legittimi interessi della Russia”, avendo sotto gli occhi la distruzione del popolo ucraino. Un paio di giorni fa, mentre l’affamato esercito russo a Kherson stuprava donne e rapinava negozi, i miei colleghi italiani hanno espresso indignazione su Facebook per l’annullamento della lezione su Dostoevskij all’Università di Milano. Che cosa devo dirvi? E’ come preoccuparsi del prestigio di Goethe mentre la Luftwaffe sta bombardando Varsavia. Vorrei trovare un equivalente italiano, ma so poco della storia italiana e per ora non ho più tempo di dedicarmi ai libri mentre l’Ucraina diventa un altro luogo perduto.

Karolis Kaupinis
regista di “Nova Lituania”

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