Francia, svastiche nel cimitero ebraico di Herrlisheim

Il contagio antisemita nelle sinistre

Paul Berman

L’ostilità per gli ebrei di Corbyn e Mélenchon attecchirà tra i dems americani?

Pubblichiamo il primo articolo di una serie sulla sinistra occidentale scritta dall’intellettuale americano Paul Berman e originariamente pubblicata su Tablet magazine.


       

All’inizio della primavera dello scorso anno, nel Regno Unito è scoppiata una disputa rabbiosa tra le principali organizzazioni ebraiche del paese e il leader della sinistra radicale, attualmente a capo del Labour, Jeremy Corbyn; un paio di giorni dopo, è scoppiata una disputa simile in Francia tra l’organizzazione ebraica francese e l’omologo di Corbyn nella sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon. Il doppio focolaio suggerisce una tendenza, e solleva una domanda. Riguarda l’America e il Partito democratico. Vale a dire: quando i delegati della convention democratica si riuniranno tra meno di due anni, lo scontro tra centristi e progressisti che tutti si aspettano si verificherà? Qualche zelante antisionista prenderà posto tra i progressisti? Si farà strada verso il microfono e pronuncerà orazioni folli e raggianti al pubblico americano, chiedendo l’eliminazione di un intero paese? E le orazioni folli porteranno a canti raccapriccianti e a un occasionale ritorno di superstizioni medievali qui e là? In breve, la stessa miserabile battaglia che ha fatto a pezzi vaste porzioni della sinistra europea si diffonderà in America, non solo su scala miniaturizzata (cosa già accaduta), ma in piena esplosione, con conseguenze nazionali? Non è una domanda sciocca.

  

La crisi della sinistra viene presentata come un prodotto dell’economia moderna, ma ha una grande dimensione culturale

La crisi della sinistra in tutta Europa viene tipicamente presentata come un prodotto dell’economia moderna, derivante dall’eccessiva fluidità di lavoro e capitale e dall’incapacità della socialdemocrazia di rimanere a galla in mezzo alle turbolenze. Ma la crisi ha avuto anche una dimensione culturale, derivante da altre pressioni, una delle quali, più grande forse di quanto talvolta venga riconosciuto, emerge da un’ondata di islam politico, o islamismo, in diverse zone del mondo. Questa pressione sulla sinistra occidentale porta, in nome dell’antirazzismo e della solidarietà verso il Terzo Mondo, a essere concilianti con quanti più principi islamisti possibile – blasfemia, questioni di gender e ostilità verso gli ebrei. Questa pressione sulla sinistra porta a temperare o ad adattare in modo creativo vari principi storici. Gli incidenti britannici e francesi di alcuni mesi fa dimostrano quanto sia potente questa pressione in certi ambienti della sinistra europea. E alcuni incidenti di questo genere in America aprirebbero una grossa ferita nel Partito democratico.

  

  

Forse ricorderete come è iniziata la crisi nel Regno Unito. La questione dell’antisemitismo nel Partito laburista andava avanti da tempo, tanto che, dal 2016, c’era già stata un’inchiesta ufficiale intrapartitica guidata da Shami Chakrabarti. Alan Johnson, direttore della rivista Fathom, aveva presentato un documento all’interno dell’inchiesta descrivendo il problema come una questione di ideologia politica che aveva le sue radici in un peculiare e ampio antisionismo: “Un antisionismo moderno, particolarmente eccessivo, ossessivo e demonizzante, si è mescolato con un più vecchio antisemitismo classico, composto da immagini e presunzioni volte a creare un antisionismo antisemita”. Il rapporto Chakrabarti ha concluso che, qui e là nel Labour, era emersa “un’atmosfera tossica”, e ha proposto alcuni strumenti per controllare la tossina, come non usare alcuni appellativi sprezzanti.

  

Ma il rapporto ha assolto il partito nel suo insieme. Soprattutto il leader del partito. Così il rapporto Chakrabarti, invece di risolvere il problema, lo ha acuito. Corbyn, assolto da ogni responsabilità, manifestò la sua gratitudine nominando la sua salvatrice, Shami Chakrabarti, alla Camera dei Lord, e la mossa non fece un bell’effetto. 

   

   

Una storia su Corbyn e un murales in stile nazista a Londra (raffigurante banchieri ebrei dal naso adunco sotto un sigillo massonico che giocano a Monopoli sulle schiene di oppressi del mondo dalla pelle scura) risultò particolarmente sfortunata: Corbyn paragonò il murales a qualcosa di Diego Rivera, poi fece un passo indietro dicendo che non lo aveva osservato con sufficiente attenzione. Ma ci sono stati molti incidenti e aneddoti di questo tipo, e non tutti hanno coinvolto personalità famose ed eventi nazionali.

  

Nel marzo del 2018, le principali organizzazioni ebraiche del Regno Unito – il Board of Deputies degli ebrei britannici e il Jewish Leadership Council – arrivarono infine alla conclusione che, all’interno del Labour, aveva messo radici una cultura di antisemitismo classico. Le due organizzazioni formularono un reclamo formale, “Enough is enough”. Si rivolsero direttamente a Corbyn: “Concludiamo che non può seriamente affrontare l’antisemitismo, in quanto è così ideologicamente fermo in una visione del mondo di estrema sinistra che lo rende istintivamente ostile alle comunità ebraiche tradizionali”. Ci fu una manifestazione davanti al Parlamento e la presenza di una delegazione di una dozzina di deputati laburisti dimostrò che lo scontento nei confronti di Corbyn non era un complotto del Partito conservatore.

  

Corbyn rispose prendendo posto tra gli estremisti di sinistra a un incontro antisionista: come con la ricompensa alla Chakrabarti, era il suo modo di ficcare un dito nell’occhio dei suoi critici. Alcuni parlamentari laburisti che figuravano tra i critici si ritrovarono a ricevere un po’ di abusi e richieste di espulsione. E così si cominciò a capire le reali dimensioni della questione antisemitismo.

 

I partiti socialdemocratici d’Europa sorsero nel tardo XIX secolo come un progetto per costruire una società nuovamente illuminata e tollerante su una base sociale di persone che, in passato, erano sempre state escluse dal mondo della rispettabilità e del potere. Il Partito laburista britannico ne era un classico e nobile esempio, il che significava che, fin dall’inizio, divenne, secondo la frase di Margaret Hodge (pronunciato come parte della sua risposta parlamentare a Corbyn, nominalmente il suo leader), “la casa naturale per gli ebrei”. Il Labour era il nemico di antichi e moderni fanatismi. Il Labour era il partito antifascista. A volte il Labour guardava con occhi amichevoli il progetto del Labor sionista nel lontano medio oriente. La simpatia del Labour per quel progetto non è mai stata particolarmente credibile, ma nonostante ciò si trattava di una simpatia di principio, generosa e persistente, e ha preceduto la Dichiarazione Balfour, il che la rende venerabile.

 

Sono aumentati i leader e gli episodi antisemiti nella sinistra americana. Per capirne l’effetto bisognerebbe accedere al cuore dem

E questa venerabile storia è finita in una tale ed estrema agonia che ad aprile la controparte fraterna del Partito laburista in Israele ha ritenuto opportuno annunciare una rottura nelle sue relazioni con Corbyn. A luglio, è iniziato un altro giro di denunce nei confronti di Corbyn all’interno del suo stesso partito, non soltanto da parte di laburisti ebrei; i giornali ebraici nel Regno Unito si sono ritrovati ad avere una voce insolitamente unica – fino a che, ad agosto, comparvero sulla stampa vecchie fotografie di Corbyn in posa con diversi importanti terroristi della causa palestinese (il leader del Labour ha detto di non sapere chi fossero), e iniziarono a circolare commenti malevoli sui sionisti britannici o sugli ebrei britannici forse pensati proprio per suscitare una risposta furiosa (Corbyn ha detto di essere stato frainteso). Ed ecco un video di Corbyn che ringrazia i suoi padroni di casa di Hamas per una cena a Gaza e li elogia, tra le altre cose, per essere alla guida di una democrazia. Ed ecco che Corbyn fa il meglio che può, con il suo approccio angosciante passivo-aggressivo, in una intervista alla Bbc contro i suoi critici – finché, a settembre, il comitato esecutivo del Labour si è sentito obbligato a riprendere la questione dell’antisemitismo ancora una volta, a discuterne formalmente, rilasciando una dichiarazione ufficiale, che Corbyn ha cercato di evitare senza farcela. Il tentativo fallito è riuscito ad acuire il problema, ancora una volta. E nulla indica che queste dispute rabbiose e senza precedenti possano finire presto.

  

II

L’incidente francese è avvenuto due giorni dopo la manifestazione inglese “Enough is enough” e ha mostrato una rabbia a un livello completamente diverso, come è facile aspettarsi dal momento che, in Francia, molti ebrei hanno di recente subìto esperienze inimmaginabili nel Regno Unito. Negli ultimi anni, circa 50 mila ebrei francesi, o il 10 per cento dell’intera popolazione ebraica, si sono dovuti spostare da una parte all’altra della Francia o sono tornati in Israele per sfuggire a persecuzioni quotidiane da parte dei vicini che hanno finito per accettare la dottrina islamista. I massacri intermittenti e gli omicidi di ebrei in Francia e in Belgio sono diventati atti di terrorismo permanenti. E il più recente di quegli eventi terribili, l’omicidio a Parigi lo scorso marzo dell’anziana Mireille Knoll, è stato l’occasione per l’incidente politico.

  

  

Il consiglio rappresentativo degli ebrei in Francia, il Crif, organizzò una marcia silenziosa di commemorazione e protesta. Il Crif fu fondato come federazione ebraica francese nel 1943 sotto l’occupazione tedesca, il che significa che, oltre a rappresentare gli ebrei tradizionali, il Crif rappresenta una memoria storica precisa. Per ovvie ragioni, il Crif aveva chiesto che Marine Le Pen, leader del Fronte nazionale (ora si chiama Rassemblement national), si tenesse lontana dalla marcia commemorativa, non perché Marine Le Pen sia personalmente un antisemita della vecchia scuola, ma perché il suo Fronte nazionale è proprio quella vecchia scuola. Lei partecipò comunque. La sua apparizione interruppe la solennità dell’evento provocando un sacco di urla, finché nel trambusto non è stata allontanata.

 

   

Il Crif aveva chiesto che anche Jean-Luc Mélenchon stesse alla larga. Mélenchon è il leader del partito “France insoumise” che, almeno per il momento, ha sostituito l’ala sinistra del Partito socialista e il vecchio Partito comunista ed è la principale organizzazione politica di sinistra nel paese. Le relazioni di Mélenchon con gli ebrei somigliano a quelle di Corbyn, con alcune varianti. Corbyn ha passato la maggior parte della sua carriera coltivando una storia d’amore terzomondista con l’eroica lotta palestinese contro Israele che lo porta a rabbrividire per l’orrore del sionismo e dei suoi crimini e a irritarsi con le organizzazioni ebraiche e gli ebrei in generale. Mélenchon ha coltivato una storia d’amore con gli esotici marxisti latinoamericani, Fidel Castro e Hugo Chávez e la rivoluzione “bolivariana” in Venezuela, che lo porta ad avere gli stessi brividi orripilati di Corbyn ma principalmente nei confronti degli Stati Uniti. Mélenchon è un uomo più sofisticato rispetto a Corbyn, più esperto, più istruito, un oratore migliore, una figura più attraente tutto sommato. Nessuno penserebbe che è un uomo dal fanatismo nascosto.

 

In Francia Mélenchon è sempre stato per lo più antiamericano ma ora è il campione delle campagne di boicottaggio contro Israele

Tuttavia, il radicalismo noi-contro-di-voi di Mélenchon nella politica interna, combinato con la natura fantastica delle sue convinzioni sugli affari mondiali, lascia i suoi critici un po’ a disagio. C’è il timore che, come Marine Le Pen e il suo Front, Mélenchon e i suoi “insoumis” possano minare la cultura politica repubblicana della Francia. Non c’è un riferimento diretto agli ebrei, eppure gli ebrei capiscono che una cultura repubblicana di tolleranza è la miglior difesa, e si preoccupano. I seguaci di Mélenchon discutono di quanto debbano essere amichevoli con gli islamisti (in nome del multiculturalismo) o di quanto debbano condannarli (in nome della laicità e della separazione tra chiesa e stato). Ma, in entrambi i casi, la France insoumise è diventata la principale casa dell’antisionismo nella sinistra francese. Lo stesso Mélenchon è diventato il campione francese delle campagne di boicottaggio e di sanzioni a Israele.

 

Le proteste antisioniste erano iniziate nell’estate del 2014, durante la guerra tra Israele e Hamas a Gaza, e proclamavano solidarietà ad Hamas. In una manifestazione a Parigi – indetta da un piccolo partiti trotzkisti, non sotto la guida di Mélenchon, ma attingendo dal suo pubblico – si alzò il grido “Morte agli ebrei” e quello “Ebreo, zitto: la Francia non è tua”, assieme a “Allahu Akbar” e “Jihad! Jihad! Jihad”, che non sono normalmente slogan trotzkisti. Tale è stata la degenerazione culturale nell’estrema sinistra. Alcuni si preparano ad attaccare le sinagoghe a Parigi e a Sarcelles, che è nordafricana, musulmana ed ebraica allo stesso modo. La piazza di Sarcelles ha attaccato i negozi ebraici. E, proprio come Corbyn ha sistematicamente omesso di notare la natura e il significato dell’anti-sionismo della sinistra britannica, così Mélenchon non ha notato cosa stava accadendo in una parte significativa della sua stessa base sociale. Invece di rimproverare i rivoltosi, si congratulò con loro. Il Crif denunciò quanto accaduto. Mélenchon inveì contro le “comunità aggressive che vogliono dare lezioni al resto del paese”, intendendo il Crif e non certo le persone che stavano organizzando i pogrom. E Mélenchon si è ritrovato con quel tipo di reputazione che si può immaginare.

 

I ricordi del 2014 e una storia di piccoli reati e ostilità hanno portato il Crif, nel 2018, a chiedere che, come Marine Le Pen, Mélenchon stesse lontano dalla marcia silenziosa per l’omicidio di Mireille Knoll. Mélenchon si è presentato comunque. Anche lui è stato fischiato. Il significato politico di questi fatti francesi è di facile interpretazione se consideriamo che, nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2017 in Francia, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon hanno ottenuto circa il 40 per cento dei voti totali – ed è ancora più rilevante se pensiamo che le probabilità di un Corbyn premier inglese sono abbastanza buone.

  

III

E negli Stati Uniti? Non sfugge a nessuno l’accumulo di energie antisioniste che giocano con le campagne di boicottaggio che vanno molto di moda tra gli studenti universitari; o con l’American Studies Association, i cui professori hanno messo l’antisionismo come priorità di studio; o con la National Women’s Studies Association; o con il filosofo Judith Butler e i suoi adepti; o con i boicottatori presbiteriani; o con i Socialisti democratici d’America, che da ultimo sono davvero popolari, e che oggi sono animati da una generazione più giovane di antisionisti (“Dal fiume al mare / La Palestina sarà libera!”, hanno cantato alcuni delegati alla convention dei Socialisti democratici l’anno scorso) e che, anche così, hanno iniziato ad attrarre giovani politici vincitori di elezioni, qui e là; o con la neodeputata di Detroit, Rashida Tlaib, socialista democratica di nuovo stile, che sostiene la formula di un unico stato con la scomparsa di Israele; o con Angela Davis; o con i leader di Dyke March a Chicago; o con Leslie Cockburn, sconfitta in Virginia dopo una brillante carriera nel campo della scrittura di libri antisionisti; o con Keith Ellison, il nuovo procuratore generale del Minnesota, che non è mai stata in grado di chiarire la sua relazione con Louis Farrakhan. E poi lo stesso Farrakhan e i seguaci di Farrakhan nella guida della Marcia delle donne e tra i democratici della California. E lo stesso vale per i nobili immigrati di Times Square che diversi mesi fa hanno cantato in arabo "Khaybar, Khaybar, ya yahud, jaish Muhammad saya’ud", che equivale praticamente a “dal fiume al mare”, più le implicazioni militari proclamate apertamente (Khaybar era la battaglia del VII secolo in cui l’esercito di Maometto distrusse definitivamente gli ebrei d’Arabia, e il resto del canto recita: “O ebrei, l’esercito di Maometto sta arrivando”).

 

La querelle antisemita con Corbyn ha svelato come è cambiata la questione mediorientale nel cuore della sinistra inglese

Ma la domanda è sempre sulle equivalenze transatlantiche. I numerosi attivisti americani, i consigli studenteschi, i politici minori e quelli importanti, gli attivisti immigrati, gli intellettuali illustri e i canti vigorosi totalizzano la stessa forza politica che gli antisionisti hanno accumulato all’interno della sinistra radicale in Gran Bretagna e Francia (e altrove in Europa occidentale)? C’è la possibilità che, dopo aver radunato un gran numero di sostenitori, i neoallegri antisionisti di sinistra in America riusciranno a modellare intere porzioni della cultura della sinistra tradizionale negli Stati Uniti sul modello europeo? O l’antisionismo nel nostro paese è per lo più un fastidio, forse più grande e più vivace di una moda universitaria, ma non così enorme, e facilmente eliminabile? L’America, in breve, è diversa?

 

Non ho una risposta automatica a questa domanda. Mi interrogo. Una risposta adeguata richiederebbe un confronto sistematico tra culture politiche europee ed americane. Ma i confronti sistematici sono difficili da fare. Bisognerebbe avere una solida e affidabile comprensione della sinistra americana, della sua natura, delle sue inclinazioni e delle sue tradizioni, con un’attenzione particolare a ciò che è tipicamente americano. Ma qualcuno ha una conoscenza solida e affidabile della sinistra americana? Uno sguardo dritto nel cuore del cuore della sinistra americano che batte sempre più ardentemente nel 2018? Tornerò su questa domanda.

  

(1. Continua)

  


Per gentile concessione di Tablet Magazine che ha pubblicato in inglese questo articolo su tabletmag.com