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Israele, il paese che “trova le soluzioni”. Chiacchiere dalla fiera tech di Barcellona

Eugenio Cau

Lo stato ebraico ha puntato molto sull’innovazione, e oggi sta passando da essere una "startup nation" a un "solution country"

Barcellona. Al MWC di Barcellona, la fiera tecnologica più importante d’Europa, le dimensioni contano molto. Ciascuna grossa azienda spende oscene quantità di denaro per organizzare un grosso stand pieno di luci e di hostess sorridenti (pochi steward). In questo contesto, più il tuo stand è grosso, più la tua azienda è importante, e questo è un buon test empirico per toccare con mano il dominio straordinario di certe aziende cinesi come Huawei, Xiaomi, Lenovo, benché compagnie come la svedese Ericsson non si siano tirate indietro. Tuttavia, uno degli stand più importanti della fiera non appartiene a una azienda, ma a un paese. Non è tanto comune vedere intere nazioni rappresentate in maniera unitaria al MWC, ma Israele ha adottato questo approccio dieci anni fa, e adesso il suo padiglione è una piccola città che ospita decine di startup e aziende innovative israeliane, e la prima cosa che ti viene da pensare è: eccola, la startup nation.

Startup nation è la sigla che ha accompagnato l’industria tecnologica israeliana per anni: una nazione capace di proiettare tutto il tessuto sociale verso l’innovazione. “C'è un cambiamento in corso, stiamo passando da essere una ‘startup nation’ a essere un ‘solution country’”, dice al Foglio Adiv Baruch, presidente dell'Israel Export Institute. “Il mondo oggi ha bisogno di soluzioni, non soltanto di una generale immissione di tecnologia. Un anno fa, Israele ha presentato alle Nazioni Unite un rapporto sui 70 anni di sviluppo e sui 70 anni di soluzioni che il paese ha fornito al mondo, e vanno dalle tecnologie sanitarie all’agricoltura, la sicurezza, le comunicazioni. Questo vuole essere il modello: cercare di fornire soluzioni a un mondo che ne ha bisogno”. È un buon antidoto a tutte le lagne, che è una costante in Israele: “Il paese è privo di risorse naturali, così abbiamo dovuto sfruttare al meglio le nostre risorse intellettuali”, dice Baruch.

L’Israel Export Institute è una joint venture pubblico-privata nata 60 anni fa tra lo stato israeliano e la Confindustria locale che ha l’obiettivo di dare visibilità nel mondo alle aziende innovative dello stato ebraico. “Oggi Israele non è più soltanto terra di startup, ci sono imprenditori di seconda o terza generazione che sono stati in grado di portare le loro compagnie al livello di giganti tecnologici, come Mobileye, che è stata comprata da Intel, e che tuttavia ha deciso di mantenere quartier generale e ricerca in Israele. Con Mobileye (che fa alcuni dei più importanti sensori per le vetture a guida automatica, ndr) si è creato in Israele un enorme indotto innovativo sull’automotive”.

Le startup che Israele promuove a Barcellona sono indicative del pragmatismo del “solution country”. C’è Biobeat, un’azienda che produce apparecchi medici indossabili per monitorare lo stato di salute, tra cui un cerotto che si indossa e che tiene monitorati i pazienti. Il ceo della startup lo ha indossato tutto il tempo mentre parlava, mostrando su tablet i suoi indicatori vitali (tutto nella norma, abbiamo controllato). Sonarax usa onde sonore impercettibili all’orecchio umano per veicolare dati, trasformando in apparecchi di comunicazione qualsiasi strumento che abbia un microfono e un altoparlante e consentendo il trasferimento di informazioni in luoghi come le miniere, dove le antenne dei cellulari non arrivano. Everysignt è uno spinoff di Elbit System, un’azienda della Difesa che produce tra le altre cose elmetti intelligenti per i piloti militari di mezzo mondo, compresi quelli italiani. Il suo spinoff ha commercializzato una versione di questi elmetti per i comuni mortali, degli occhiali smart perfetti per ciclisti e per le attività all’esterno.

Messe tutte assieme, queste aziende innovative danno una buona idea della filosofia israeliana della soluzione. La decisione di presentare Israele al MWC come nazione “viene dalla nostra storia e dalla nostra educazione”, dice Baruch. “Fin dai tempi della Bibbia il popolo ebraico è sempre stato molto unito, e oggi il servizio militare ci rende degli eccellenti giocatori di squadra”.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.