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Smettetela. Il virus non è il capitalismo

Claudio Cerasa

Un movimento folle prova a dimostrare che il lockdown è la giusta punizione divina per un mondo malato di capitale

In questi lunghi giorni di quarantena, il verbo forse più abusato dai grandi e piccoli sciacalli è un verbo di poche lettere utilizzato quotidianamente da molti attori della politica per evidenziare il modo in cui la pandemia globale sarebbe lì a testimoniare la bontà delle proprie formidabili idee. Il verbo, lo avrete forse intuito e lo avrete forse notato, è “dimostrare”. E da una parte e dall’altra della barricata sono in tanti che tentano di certificare che la diffusione del virus ha, in qualche modo, permesso di dimostrare che le proprie idee politiche sono senz’altro quelle corrette. I nemici della globalizzazione usano il virus per dimostrare che la globalizzazione ha permesso la diffusione del virus (e viceversa). I nemici dell’Europa usano il virus per dimostrare che di fronte al contagio economico l’Europa non è stata in grado di proteggere i suoi cittadini (e viceversa). I nemici dell’euro usano il virus per dimostrare che di fronte alla diffusione del Covid-19 i paesi che hanno una moneta di stato riescono ad affrontare il contagio meglio di quelli che hanno una moneta federale (e viceversa).

 

Tra i molti tentativi di dimostrare una particolare tesi attraverso la devastazione economica e sanitaria provocata dal coronavirus quello forse più significativo, che merita di essere messo in evidenza, ha a che fare con la nascita di un incredibile coalizione culturale tra soggetti diversi – sovranisti, socialisti, millenaristi, protezionisti, post comunisti, sandersiani, corbyniani, catastrofisti ecologisti radicali – tutti intenzionati a dimostrare che il mondo in lockdown sia la giusta punizione divina per un mondo malato di capitalismo prima ancora che di coronavirus.

 

Il fenomeno ha, per così dire, una sua dimensione internazionale e negli ultimi giorni diversi quotidiani americani, in primis il Wall Street Journal, hanno denunciato il tentativo di Bernie Sanders di utilizzare la pandemia per dimostrare la necessità per gli Stati Uniti di una cura da cavallo socialista. Ma in Italia, che come sappiamo nel bene e nel male sulla pandemia è più avanti degli altri, la divaricazione tra amanti del capitalismo e critici del capitalismo – nonostante le centinaia di milioni di euro offerti dai piccoli e grandi capitalisti italiani per aiutare il governo ad affrontare l’emergenza sanitaria – ha una sua dimensione ancora più marcata e ancora più grottesca. E non passa un giorno di permanenza sul nostro plateau dei contagi senza che i tic anticapitalistici non facciano capolino pensando al dopo pandemia. I capitalisti sono dunque dei criminali perché vogliono riaprire l’Italia nonostante l’Italia non sia sicura. I capitalisti sono dei criminali perché non capiscono che è proprio il mondo schiavo del mercato ad aver portato il virus in Italia. I capitalisti sono dei criminali perché non capiscono che per salvare il mondo non occorre aiutare le aziende a ricreare i posti di lavoro ma occorre limitarsi ad aiutare chi è rimasto a casa senza lavoro. I capitalisti sono dei criminali perché si rifiutano di prendere in considerazione l’idea di una grande patrimoniale per sostenere l’Italia. I capitalisti sono dei criminali perché se è vero, anche se non è così, che il virus si sviluppa dove c’è più inquinamento i responsabili dell’inquinamento sono loro e per questo ora devono pagare.

 

Il Wall Street Journal, attaccando Sanders, ha messo insieme alcune storie utili a ricordare come il capitalismo piuttosto che essere considerato parte di un problema dovrebbe essere considerato parte di una soluzione. In America, tanto per fare un esempio, Google, in accordo con le autorità sanitarie, ha creato un sito interattivo per aiutare a riconoscere i sintomi del virus e non affollare inutilmente gli ospedali. Walmart ha trasformato i suoi parcheggi in spazi utili per effettuare i test. Comcast, Verizon e Sprint hanno garantito connessioni internet anche a coloro che non possono pagarle. Adobe sta rendendo disponibili in forma gratuita strumenti per l’apprendimento remoto alle scuole e alle università. E le aziende farmaceutiche, finanziate anche dai capitali privati, si stanno facendo in quattro per cercare un vaccino. “Il rifiuto intellettuale dell’industria e del progresso – ha scritto Carlo Stagnaro nello splendido monografico pubblicato lunedì scorso sul Foglio – è una delle cause della nostra incapacità di reagire. Se vogliamo ripartire, dobbiamo anzitutto riscoprire la fonte del nostro benessere e ripulirla dalle erbacce”. Per i nemici del capitalismo, il coronavirus è come una punizione divina che ci riporta agli antichi valori e che castiga la nostra smania di guadagno. Ma per il benessere del mondo non ci potrebbe essere niente di peggio che non capire una verità semplice: per superare la crisi di oggi e quelle di domani e per combattere la povertà piuttosto che la ricchezza occorrerà trovare un modo per far sì che gli spiriti animali più che domati vengano finalmente liberati. I virus, volendo, si combattono anche così.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.