Rifiuti accumulati a Roma in un'immagine dello scorso 8 gennaio (foto LaPresse)

L'emergenza coronavirus manda in tilt l'economia circolare

Maria Carla Sicilia

L'export bloccato e gli inceneritori a piena capacità mostrano il limite della gestione dei rifiuti all'italiana: la mancanza di visione industriale. Così non resta che la discarica 

In un momento di emergenza nazionale come quello che stiamo attraversando, un aspetto essenziale per l'equilibrio delle nostre città rischia di andare in tilt. Mentre restiamo chiusi nelle nostre case a proteggerci dal virus, continuiamo infatti a produrre tonnellate di rifiuti che faticano a trovare sbocchi per il trattamento e lo smaltimento. La raccolta continua e per questo i cassonetti vengono ancora regolarmente svuotati, ma a valle della filiera si sta creando un imbuto sempre più stretto che rischia di far venire a galla il problema fino a renderlo evidente anche per le strade delle città italiane.

 

L'imbuto è legato a più fattori che, all'origine, dipendono da un problema più generale: il numero esiguo e mal distribuito di impianti. In condizioni normali questo equilibrio precario si regge grazie all'export, soprattutto per determinate tipologie di prodotti. Un esempio tra gli altri è la carta da macero, lavorata in Italia ma per lo più venduta all'estero, che oggi non trova acquirenti per via delle difficoltà degli altri paesi. In altre filiere sotto stress, a complicare le cose, c'è il fermo di alcune attività produttive che di solito “chiudono il cerchio” di alcuni materiali: le acciaierie fuori funzione stanno creando un tappo al riciclo dell'acciaio; i cementifici, con i forni spenti, non hanno bisogno di plasmix, cioè la parte non riciclabile della plastica, e neppure di combustibile solido secondario, che risulta dal trattamento della frazione secca dei rifiuti urbani. Se in tempi ordinari l'incenerimento non sarebbe la soluzione, potrebbe almeno esserlo in un momento di emergenza nazionale. Ma non è nemmeno questo il caso, perché i termovalorizzatori italiani, pochi e concentrati al nord, sono alle prese con un altro aspetto del problema.

 

I tanto contestati impianti di incenerimento stanno reggendo il peso di tutti rifiuti provenienti dal circuito Covid-19. Una delle questioni più complesse è infatti legata alla gestione dei rifiuti che provengono dalle abitazioni di chi è positivo al coronavirus o potrebbe esserlo. Non tutte le imprese riescono a garantire fasi di raccolta distinte, per separare i rifiuti potenzialmente contagiati da quelli ordinari. Perciò, in questi giorni, in interi centri urbani si raccolgono rifiuti indifferenziati da trattare come infetti. Un problema che dalla bocca di associazioni e imprese è arrivato, non troppo rapidamente, fino ai tavoli del ministero dell'Ambiente. Con il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, il ministero ha così fornito alcune indicazioni generali stabilendo che questi volumi devono essere inviati in via prioritaria verso gli inceneritori insieme ai rifiuti ospedalieri, che secondo le stime di Fise Assoambiente sono triplicati nelle zone del paese più colpite dai contagi, con il risultato che i flussi destinati ai termovalorizzatori sono aumentati di colpo in poche settimane.

 

Esaurita anche la capacità di questi impianti, con l'export a singhiozzo e una pandemia in corso, non resta che la discarica. A questa conclusione è arrivato inevitabilmente anche il ministero dell'Ambiente, che nelle sue linee guida raccomanda agli enti locali di valutare l'aumento dei limiti ordinari per accogliere sversamenti oltre le capacità. Una decisione necessaria, soprattutto per tenere a bada il problema al sud, presa in deroga a tutti i principi di economia circolare che alla discarica preferiscono almeno la valorizzazione energetica.

È così che l'Italia, prima in Europa per indice di circolarità, sta affrontando la crisi in corso: tra aumenti dello stoccaggio concessi per trattenere negli impianti più rifiuti (e più a lungo) e l'incremento della capacità delle discariche. Misure applicate a macchia di leopardo, che renderanno ancora più evidente il dislivello del servizio sui territori e di cui non si sa ancora come saranno gestiti i costi.

 

Il vaso di Pandora aperto con l'emergenza è ancora una volta lo specchio di tutte le fragilità del settore, che sconta da anni la mancanza di una visione industriale. Senza questo salto di qualità, le aspettative riposte nell'economia circolare non potranno che essere deluse, con il riciclo che, senza impianti e mercato, resterà solo un ideale e non un'alternativa concreta di sistema.

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