(foto LaPresse)

Così l'emergenza coronavirus mette in ginocchio la grande ristorazione

Luca Roberto

Gli operatori attivi sulla rete autostradale lamentano un crollo dei ricavi, pur essendo stati riconosciuti come fornitori di servizio pubblico. Per questo chiedono un intervento del governo

Se c’è un settore economico in cui l’emergenza coronavirus ha prodotto effetti molto diversificati, è sicuramente quello della ristorazione. Una buona parte delle attività localizzate nei centri urbani, impossibilitate a tenere aperti i punti vendita, hanno deciso, ad esempio, di votarsi alla preparazione degli ordini d'asporto, che vengono consegnati a domicilio grazie all’utilizzo delle piattaforme di delivery come Glovo, Deliveroo e Just Eat. In questo modo gli operatori del settore sono riusciti a limitare i danni se non addirittura a intercettare quote aggiuntive di mercato.

 

Tutto l'opposto di quanto occorso alla grande ristorazione, in particolar modo quella attiva all’interno della rete autostradale, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie. Il governo, nella preparazione del decreto in cui distingueva tra attività economiche essenziali e no, e di conseguenza predisponeva obblighi di serrata, ha riconosciuto loro l’erogazione di un servizio pubblico, garantendo la continuità d’esercizio. Il problema è che l’ingente riduzione dei flussi del trasporto ha fatto crollare i ricavi, e il settore si trova in una situazione finanziaria sempre più delicata.

 

L’Aigrim, Associazione delle imprese di Grande ristorazione e servizi multilocalizzate – a cui aderiscono 11 aziende tra cui giganti come Autogrill, Kfc, Burger King e Sarni, e che impiega un totale di 30 mila dipendenti – ha sollecitato un intervento tempestivo del governo. In particolare, come spiega il vicepresidente dell’associazione, Cristian Biasoni, la richiesta è quella di intervenire “sui canoni e sugli oneri di gestione e sui tempi di pagamento”. Questo perché sulla maggior parte delle aziende operanti all’interno della rete autostradale, degli scali aeroportuali e delle stazioni ferroviarie, gravano contratti di concessione che a ora non si sa se saranno sospesi in via generalizzata dagli enti concessionari, o ridiscussi caso per caso. Nelle scorse settimane l’Aiscat, l’associazione che raggruppa i titolari di concessioni autostradali, aveva anticipato al ministero dei Trasporti la disponibilità a sospendere la riscossione dei canoni, ma i ristoratori temono che si possa procedere senza una strategia nazionale, rimandando a negoziazioni ad hoc che potrebbero avvantaggiare qualcuno e sfavorire qualcun altro.

 

Nel breve termine queste misure potrebbero servire a tamponare l’emorragia di liquidità registrata nelle ultime settimane, ma la grande ristorazione, vista la situazione di grave crisi del comparto, chiede al governo uno sforzo di più ampio respiro: l’estensione dei contratti in vigore e il blocco di qualsiasi nuova gara, per un periodo di almeno 12 mesi. Di modo che il periodo d'incertezza da qui a venire possa essere affrontato quantomeno con un orizzonte temporale certo.

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