(foto LaPresse)

Un problema di fiducia

Giacinto della Cananea

Rapporti deboli con i partner europei, conflitti tra stato e regioni. Ecco i veri problemi messi in luce dal coronavirus

Il nuovo virus ha avuto ripercussioni gravi, sul piano sociale ed economico. Ha inoltre evidenziato, sul piano politico e istituzionale, una duplice debolezza negli strumenti di cui il nostro paese si è dotato: una riguarda i rapporti con i nostri partner nell’arena europea e internazionale; l’altra i rapporti tra le autorità centrali e quelle regionali.

 

La prima debolezza si è manifestata rispetto all’attuazione delle raccomandazioni impartite dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il 27 gennaio, l’Oms ha raccomandato ai governi nazionali alcune misure tra cui l’effettuazione di test a coloro che provenivano da paesi nei quali il virus si era manifestato e la conservazione dei dati sui loro movimenti. Ha sconsigliato, invece, le misure di blocco generalizzato del traffico aereo. Le raccomandazioni dell’Oms non sono vincolanti sul piano giuridico. Tuttavia, molti governi nazionali, soprattutto quelli dei paesi a noi più vicini, vi si sono attenuti. La ragione è semplice: nel mondo sempre più globalizzato in cui viviamo, conformarsi alle raccomandazioni degli organismi internazionali serve a rafforzare la fiducia tra i partner, a permettere il raggiungimento di fini comuni. Proprio alle raccomandazioni dell’Oms ha fatto riferimento il Consiglio dei ministri dell’Unione europea, nella riunione del 13 febbraio, sottolineando la necessità di un’azione proporzionata e di uno stretto coordinamento.

 

Nel frattempo, però, il nostro governo aveva deciso unilateralmente di sospendere tutti i voli da e per la Cina e di disporre l’effettuazione di test generalizzati sui viaggiatori provenienti dall’estero, senza effettuare il monitoraggio di chi proveniva da lì attraverso altri paesi. Si è ritenuta preferibile, insomma, una linea di maggiore prudenza. Questa linea non è stata sconfessata dal Consiglio dei ministri dell’Ue, il quale ha ritenuto utili le misure già prese dai singoli governi, incluso il nostro, per proteggere la salute pubblica. Tuttavia, in seguito sono emersi i sintomi d’una non piena fiducia di alcuni partner nei confronti della capacità del nostro paese di far fronte all’emergenza. Le conseguenze possono risultare ben più diffuse, e gravi, rispetto alle crisi alimentari e sanitarie del recente passato. Possono determinare il ristagno dell’economia.

 

Sulla crisi di fiducia rischiano d’influire negativamente i complicati rapporti tra le nostre autorità centrali e quelle regionali. Dopo la riforma costituzionale del 2001, la distribuzione delle competenze tra i vari livelli di governo è divenuta più complessa, si sono rafforzati i poteri di veto, a scapito dei poteri di decisione e di azione. Nei due decenni successivi, non sono mancate instabilità e tensioni, ma esse hanno riguardato prevalentemente l’ordine pubblico e la sicurezza e non sono arrivate a intaccare gli interessi della collettività, grazie alla presenza di una collaudata struttura amministrativa nazionale e ad alcuni interventi correttivi. Ma quando le difficoltà e le tensioni si sono manifestate in settori, come la Sanità, per i quali le competenze sono distribuite tra il centro e la periferia, la gestione si è rivelata più difficile. Ormai, anche tra coloro i quali – per motivi più o meno validi – si sono opposti alla riforma costituzionale intrapresa nel 2016, molti si sono resi conto che occorre distinguere più chiaramente le sfere di azione delle varie istituzioni pubbliche e migliorare i meccanismi di collegamento, per rafforzare la fiducia tra quanti hanno responsabilità di guida delle politiche pubbliche. La dimensione interna allo stato e quella esterna sono, dunque, connesse, ai fini delle politiche anticrisi. È un’importante lezione da trarre da queste traversie, insieme all’inconsistenza delle contestazioni mosse ai saperi specialistici, alla competenza.

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