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L'orrore di chi sfrutta una crisi sanitaria per giocare con il consenso

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - E’ che in maggioranza fanno i test, all’opposizione invece no.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Chi le scrive è un umile medico chirurgo, in preda a un sentimento di meraviglia e impotenza di fronte a quanto sta accadendo riguardo all’epidemia del coronavirus. Oltre ai miei più che trent’anni di esperienza medica, ho, per amore di letteratura, scientifica e non, contezza di cosa sia la peste e tutto il corollario degli altri flagelli microbici. Mi aiuti direttore. Non sta succedendo nulla. Qualcuno abbia il coraggio di dirlo. L’influenza dello scorso anno, a fronte di 8 milioni (altri dicono soltanto quasi 6 milioni) di contagiati, provocò circa 200 decessi. Una percentuale ridicola. Circa lo 0,00 e qualcosa. A nessuno degli 8 milioni (o 6) dei contagiati dello scorso anno fu fatto un tampone per tipizzare il virus responsabile. Oggi, la terribile percentuale di mortalità viene calcolata su poche centinaia di tamponi. E’ ovvio, per chiunque abbia un minimo di raziocinio, che la percentuale di mortalità risulti più elevata. Ma non è vero. E’ comparsa una isteria diffusa, in cui tutti, dall’assessore a qualcosa del più piccolo comune al presidente del Consiglio, devono dire la loro, tutto detto in assoluta disarmonia, col risultato di un caotico agitarsi pari a quando si calpesta un formicaio. Sempre l’influenza ha ucciso i soggetti defedati, sempre qualche volta ha ucciso anche alcuni giovani e sani. Ma non si è mai fatto tutto questo baccano. Cordiali Saluti.

Massimo Mossino, medico chirurgo, specialista in Anestesia e rianimazione, Ordine dei medici della provincia di Torino

La sua lettera dimostra che ha ragione il Wall Street Journal, che proprio ieri consigliava, a tutti coloro che si occupano di comunicazione, di giornali, di televisione, di fare una cosa molto semplice: raccontare quello che ci sta succedendo senza farsi prendere dal panico. “Noi dei media dovremmo passare più tempo a parlare con gli esperti che sanno qualcosa e meno tempo a citare i politici che non sanno quasi nulla del virus, ma che vedono un potenziale guadagno nello sfruttamento di una crisi sanitaria”. Da scolpire sulla pietra.

 

Al direttore - Quando si critica la Pubblica amministrazione per le misure adottate nel fronteggiare la crisi del coronavirus sarebbe onesto ricordare che viviamo in un paese in cui una sindaca ha subìto pesanti condanne per non aver intuito che, il giorno dopo, la sua città sarebbe stata devastata da un’alluvione; che analoga sorte è capitata a un amministratore delegato delle Ferrovie dello stato, perché – mentre lui dormiva nel suo letto a centinaia di chilometri di distanza – un treno, proveniente dalla Polonia, aveva provocato una strage durante la sosta in una stazione toscana. Che dire poi dei componenti della commissione Grandi rischi, i quali – non essendo degli aruspici e degli indovini, non essendo capaci di predire il futuro osservando il volo degli uccelli o sventrando una povera giovenca – non furono in grado di prevedere e prevenire l’arrivo di un terremoto e, per questo motivo, ebbero dei guai con la giustizia? E’ bastata una considerazione sbagliata del premier Conte sull’ospedale di Codogno per chiamare in causa la procura di Lodi (di cui non si sentiva la mancanza). E’ troppo facile per i talk-show salvarsi la coscienza accusando i governanti di aver esagerato, quando sono state le loro martellanti campagne a sobillare l’opinione pubblica fino a pretendere dalle amministrazioni nazionali e locali la soluzione di un problema irrisolvibile. Oggi è difficile tornare indietro perché quella che è stata definita, senza che lo fosse, un’emergenza, non è ancora conclusa. La vera epidemia consiste nell’aver smarrito il senso del relativo rifiutando ogni confronto con altre patologie, più banali ma ben più gravi nei loro effetti. Nell’aver trasformato una simil-influenza (come l’ha definita Ilaria Capua) in una Apocalisse, in una “Chernobyl della globalizzazione” e in una nuova “fine della storia”.

Giuliano Cazzola

E’ sempre il solito problema: l’incapacità di far prevalere l’Italia reale sull’Italia percepita, quest’ultima divenuta purtroppo virale proprio come un virus letale.

 

Al direttore - Con la proposta di un governo istituzionale o “governissimo”, estratta ex abrupto dal cilindro cogliendo l’occasione degli effetti del “coronavirus”, torna l’indicazione-aspirazione di una presidenza del Consiglio affidata a Mario Draghi. La proposta riguardante l’esecutivo sembra nutrirsi soltanto dell’avversione nei confronti di Giuseppe Conte. Evocare Draghi per una tale piattaforma significa arrecare un danno all’ex presidente della Bce. Un danno maggiore lo si causa, altresì, perché si considera Draghi come un taumaturgo, che come un novello Messia cambia il corso della storia italiana, e perché si dà la prova dell’incapacità dei politici di avere un ruolo al riguardo, se non ricorrendo alla sollecitazione dell’intervento presuntamente risolutore di un “Papa straniero”, nel senso di un personaggio fuori della politica attiva. Il quale probabilmente ha altri disegni, magari anche a livello istituzionale. Per di più, non si considera che una cosa è governare una Banca centrale con una combinazione di saperi, di specialismi, di tecnicalità, di esperienze, di livello mondiale, altro è governare un paese e, prima, ancora, un Consiglio dei ministri. In passato Draghi si è detto onorato, ma si è dichiarato indisponibile per un tale progetto. Forse sarebbe il caso che lo ribadisse perché la sua posizione sia nota “lippis et tonsoribus”. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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