Mike Pence alla riunione della Task Force del Coronavirus presso il Dipartimento di Salute di Washington (foto LaPresse)

Pandemia economica non solo in Europa

Redazione

I danni del coronavirus necessitano di una risposta globale. Borse ancora giù

Mentre qui si continua a discutere di mascherine, tamponi, chiusure delle scuole e riapertura dei musei, all’estero l’attenzione è concentrata tutta sulle ricadute economiche del coronavirus. Secondo il Guardian saranno pari a quelle della crisi del 2008 (Lehman Brothers) e per questo motivo il quotidiano progressista inglese critica il suo governo per averle sottovalutate, dirottando l’attenzione sugli immigrati (italiani compresi).

 

Il Financial Times, che due giorni fa ha invitato l’Europa a concedere all’Italia più spazi anche di deficit, venerdì ha dedicato l’intera prima pagina alla dimensione globale e finanziaria dell’epidemia. Il Figaro, quotidiano centrista francese, impegna le prime sei pagine a smentire involontariamente quello che qui definiamo come sciovinismo transalpino: “L’epidemia è mondiale, sia sanitaria sia economica”. Parla di “scenario italiano che rischia di ripetersi negli altri paesi europei”, e racconta di come Emmanuel Macron e il capo del governo Édouard Philippe “preparino il paese all’arrivo dell’epidemia”. Giovedì Macron, prima del vertice italo-francese di Napoli, ha detto ai suoi ministri e ai capi dell’opposizione: “Abbiamo di fronte una crisi, l’epidemia sta arrivando”. Sembrano profezie da “Trono di spade”, ma in pochissime ore hanno iniziato a manifestare i loro effetti. Tutte le borse europee hanno subìto venerdì cali del 3-4 per cento (Milano nella media); Wall Street e il Nasdaq hanno aperto in calo del 3 per cento. I casi di positività intanto si moltiplicano in Francia, Germania, Olanda e Regno Unito, pur se si tratta ancora di cifre basse rispetto alle zone rosse italiane.

 

In realtà più degli ammalati preoccupa la paralisi economica della Cina, i cui primi partner nell’export sono Stati Uniti, Hong Kong e Giappone, e tra i paesi europei Olanda, Germania e Regno Unito; mentre importa nell’ordine da Corea del sud, Giappone e Germania. Questo ha un impatto sulla supply chain globale, sulle componenti cinesi che riguardano quasi tutte le produzioni occidentali. Non può mancare Nouriel Roubini, che forte della fama di profeta di sventura per aver predetto la crisi finanziaria del 2007-2008, annuncia “una recessione globale che né le politiche fiscali né quelle monetarie potranno significativamente alleviare”. Gli economisti di Goldman Sachs in un report di venerdì sono più prudenti, immaginando “una contrazione globale breve con una riduzione del pil mondiale nei primi due trimestri dell’anno, che però rimbalzerà nella seconda parte prima di una vera recessione”. Molti occhi sono puntati sulla Casa Bianca: Donald Trump ha nominato capo di una task force sulla pandemia il suo vice Mike Pence, segnale interpretato come previsione di guai nei quali il presidente non vuole sporcarsi le mani in campagna elettorale. Il contrario di quanto fatto da George W. Bush e Barack Obama.

 

Ma, anche se da mesi si rincorrono le previsioni di bolla azionaria e di liquidità (e dunque i mercati ne approfittano), il vero precedente probabilmente è da individuarsi nell’11 settembre: un evento violento ed esterno alla finanza. L’impatto economico fu forte, ma brevissimo: a novembre 2001 il Dow Jones era già ai livelli pre-crisi, pur se anche allora le vere vittime furono il turismo e le compagnie aeree. Le crisi nate nell’economia, quelle americane dei mutui subprime e di Lehman Brothers e quella europea dei debiti sovrani del 2010-2011, riservano però le lezioni più utili per l’Italia di oggi. La Casa Bianca promosse concentrazioni e globalizzazioni in banche e industrie che ne hanno rafforzato le strutture patrimoniali. L’Europa dopo il rischio default dei debiti pubblici ha varato, assieme al “Whatever it takes” di Mario Draghi, piani di aiuti in cambio di riforme dei quali hanno beneficiato Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Cipro. Non l’Italia, che con il governo di unità nazionale di Mario Monti preferì sottrarsi. Oggi Irlanda, Portogallo e Spagna, hanno lasciato i problemi alle spalle, rafforzando le loro economie e le loro società. La Grecia ne è uscita malridotta, ma in guarigione. L’Italia che scelse un’altra strada è il più debole di tutti i paesi europei, anche perché poi si è ulteriormente rinchiusa politicamente e psicologicamente su se stessa. Non è difficile da intendere: invocare vie nazionali per emergenze sovranazionali è, per citare David Foster Wallace un presuntuoso suicidio.

Di più su questi argomenti: