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In difesa dell'ospedale di Codogno

Redazione

Il virus era lì prima di essere classificato. Le indagini sono un errore

La genesi del focolaio italiano di coronavirus non è ancora definita, ma gli approfondimenti e la ricerca a ritroso iniziano a chiarire il quadro e a sgomberare il campo da alcune ipotesi. Guardando retrospettivamente, è emerso che già a gennaio nella zona rossa sono stati registrati picchi di polmoniti, febbri alte e altre sindromi influenzali che però erano stati ricondotti a ordinari malanni stagionali. E’ risultato poi, dopo la scoperta del primo caso il 20 febbraio a Codogno, che molti di questi vecchi pazienti che sono poi guariti da queste polmoniti presentano tracce di anticorpi contro il coronavirus, a dimostrazione di essere state contagiate dal patogeno cinese. Ciò vuol dire che il virus è presente in Italia da molto più tempo di quanto abbiamo finora immaginato, probabilmente da dicembre se consideriamo il tempo necessario affinché questi pazienti manifestassero dei sintomi a gennaio tali da indurli a rivolgersi alle strutture sanitarie.

 

Questa ricostruzione ci può portare a fare alcune considerazioni. Da un lato vuol dire che in tanti hanno sviluppato una immunizzazione al virus capace di portare a una guarigione in modalità simili a come accade con l’influenza. Il rovescio della medaglia, però, implica che se non siamo riusciti a riconoscere presto il virus, la sua presenza potrebbe essere più estesa di quanto immaginavamo. A queste considerazioni ne va aggiunta una sull’operato dell’ospedale di Codogno, ingiustamente accusato dalle istituzioni di aver commesso degli errori che hanno originato il focolaio, tanto da essere oggetto di indagini. Ebbene, queste evidenze ci dicono che il coronavirus era presente da molto tempo e che gli operatori dell’ospedale di Codogno, applicando i protocolli dell’Istituto superiore di sanità, dell’Oms e del ministero della Salute non potevano riconoscere la presenza di un virus. Anzi, a loro dovrebbe andare il ringraziamento per averlo individuato. E per il rischioso sacrificio di una lotta in prima linea a difesa di tutta la popolazione italiana.

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