Il male che fa crollare ArcelorMittal in Borsa non viene dalla Cina
La perdita registrata risente marginalmente del coronavirus, in realtà anticipa la fuga degli indiani dall’Ilva
Taranto. Nel crollo della borsa ieri mattina è finita anche Mittal, che ha registrato in apertura un meno 7 per cento. “È ancora presto per vedere l’impatto del coronavirus ma certamente peserà sull’attività industriale nel primo trimestre dell’anno”, ha subito commentato Aditya Mittal, aggiungendo di “aspettarsi un rimbalzo nella seconda metà dell’anno” e sottolineando che “in Cina abbiamo un piano robusto per il 2020”. Certamente il calo non può essere immediatamente dovuto alle precauzioni sanitarie adottate dal gruppo, che al momento ha coinvolto solo gli operai residenti a Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo e Codogno, insieme alla sospensione delle trasferte dall’Italia verso le zone asiatiche. E’ più probabile un’influenza sull’aspettativa della domanda dell’acciaio. Certo il dato è tutto italiano, sul quale Mittal era in perdita da tempo. Mentre guadagnava, e molto, sulle altre borse europee. Per gli investitori è stato un buon risultato l’Ebitda del quarto trimestre 2019, pari a 925 milioni di dollari e meglio delle stime degli analisti, che avevano previsto 847 milioni di dollari. Non a caso furono proprio questi dati finanziari a rendere ottimista Lakshmi Mittal, durante la presentazione dei conti dello scorso anno. “Il 2019 è stato un anno molto difficile. Ma sebbene le condizioni del mercato rimangano difficili, ci sono incoraggianti primi segnali di miglioramento, in particolare nei nostri mercati core di Stati Uniti, Europa e Brasile”. Parole criticate dalla Fiom: “Gli azionisti festeggiano, i lavoratori pagano” aveva commentato il segretario nazionale Re David.
Il crollo di ieri mattina potrebbe trasformarsi in un’ulteriore spinta a lasciare l’Italia. O, viceversa, essere una conseguenza dell’annuncio della dipartita. Lo scorso weekend infatti, dopo la fiduciosa rappresentazione che per via governativa della trattativa Ilva, è venuta fuori la verità. E’ stato il segretario generale della Uilm Rocco Palombella ad avere il coraggio di dire pubblicamente la verità: “La trattativa è una farsa”. Ciò di cui discute in realtà è solo la exit strategy di Mittal, ovvero il modo migliore per il governo di salvaguardare gli 11 mila occupati, senza ammettere di avere sbagliato tutto. Due sono le possibilità al momento: o Mittal va via entro novembre 2020 con una penale di 500 milioni, o va via dopo gratis. Nella bozza di contratto infatti, è prevista una clausola, tra quelle necessarie per l’acquisizione definitiva dell’azienda, che difficilmente il governò potrà garantire: “La restituzione delle parti sequestrate”. Parliamo di quasi tutta l’area a caldo, posta sotto sequestro dal Gip di Taranto dal 2012. Non avendo la magistratura tarantina liberato gli impianti in tutti questi anni, non si capisce come possa farlo nel giro di sei mesi, con il processo “ambiente svenduto” ancora al dibattimento del primo grado.
Come l’uscita di scena di Mittal sia possibile, considerando che “l’accordo non si poteva annullare”, come aveva dichiarato Luigi Di Maio, è scritto chiaramente nelle carte depositate al Tribunale di Milano: il venire meno dello scudo penale che tutelava l’esercizio dell’attività industriale, divenuta impossibile dopo la sua abrogazione. Per questa ragione Mittal ha già ritirato tutti i suoi dirigenti e mai potrà sottoporli a futuri rischi.
“Solo in un paese davvero bizzarro il ministro, ricevuto il parere dell’Avvocatura dello Stato che illustra il ruolo essenziale della protezione legale si adopera subito dopo per sopprimerla e alterare l’equilibrio del contratto d’affitto appena sottoscritto” ha scritto Mittal nella memoria difensiva. Oggi, a leggere le dichiarazioni stataliste dei ministri che se ne stanno occupando, viene da pensare che in realtà questa bizzarria sia stata scientemente voluta per la riappropriazione pubblica della fabbrica. Per questo oggi il governo tratta, scaricando i costi sui contribuenti, l’uscita di Mittal sapendo di non poterla costringere a restare per via giudiziaria. L’esito del caso Ilva ha già ora un’eco sulle borse, ma ce l’avrà anche sulla reputazione del paese.
tra debito e crescita