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Mittal si defila, si va così verso la provincializzazione dell'Ilva

Annarita Digiorgio

La Morselli sostituisce la dirigenza “straniera”, entra in sintonia coi commissari e riprende il vecchio piano Jindal

Taranto. Mittal non è più in Ilva. Anche se formalmente ne è ancora affittuaria. E di certo continuerà a esserlo indipendentemente dal procedimento di cessione dei rami d’azienda in corso al tribunale di Milano, che risulta essere nei fatti solo una scialuppa di salvataggio.  Ma nei fatti Mittal ha abbandonato la fabbrica di Taranto, con la consapevolezza e il consenso del governo. 

 

  

Tutto è iniziato il 15 ottobre 2019, quando l’amministratore delegato, il belga Matthieu Jehl, improvvisamente e senza alcuna motivazione ufficiale, è stato sostituito da Lucia Morselli.  La notizia ha destato clamore non solo perché immotivata, ma soprattutto perché proprio lei, la Morselli, era stata alla guida di Acciaitalia, la cordata composta da Cdp, Jindal e Arved unica concorrente di ArcelorMittal nella gara per l’acquisizione di Ilva. Una gara durante la quale le due sfidanti non avevano lesinato vicendevoli attacchi sia di natura strategico finanziaria che industriale, ma soprattutto politica. 

 

Ancora qualche settimana fa Matteo Renzi e i suoi attaccavano Carlo Calenda – con cui ora stanno preparando una candidatura alternativa a Michele Emiliano – per la gestione della gara, non nascondendo oggi l’allora celato tifo che la maggioranza di governo faceva per la soccombente. Del resto Accitalia (la cordata guidata da Jindal) era stata creata proprio dal governo, e aveva all’interno il patron di Luxottica, e amico di Renzi, Leonardo Del Vecchio, oltre che Cassa Depositi e Prestiti. E proprio in quota Cdp, e quindi di governo, Lucia Morselli era entrata a guidare la compagine. 

 

Dal suo arrivo come ceo di ArcelorMittal, in Ilva è cambiato tutto. Innanzitutto il personale. Tutti i dirigenti portati un anno fa da Mittal a Taranto sono andati poco alla volta tutti via. Prima il direttore delle risorse umane (sostituito con uno che aveva lavorato con Morselli ad Ast Terni), poi il direttore degli acquisti sostituito da uno proveniente da Tenova, adesso toccherà al direttore vigilanza e sopratutto al direttore dell’area a caldo e acciaierie, sostituito con un interno. Tutti i quadri Mittal sono quindi fuori, e proprio in queste ore stanno facendo le valige altri 40 dirigenti “stranieri” arrivati a Taranto un anno fa, per rientrare negli stabilimenti Mittal europei.  A sostituirli personale scelto dalla Morselli proveniente principalmente da Terni, da Tenova ma pure, molto spesso, dalla stessa Ilva in Amministrazione straordinaria. 

 

Anche il rapporto con Ilva in As è molto ambiguo.  Da un lato le due parti si stanno scontrando in tribunale nella “battaglia giudiziaria del secolo” con memorie pesantissime: i commissari che negli atti accusano Mittal “alice nel paese delle meraviglie” di essere un capitalista senza scrupoli venuto in Italia per sabotare Ilva e l’economia della nazione, e Mittal che risponde rovesciando le responsabilità sui commissari e accusando l’Italia di non essere uno stato di diritto. 

 


La bozza prevede: 40 per cento di ingresso pubblico, soldi dalle banche, newco di acciaieri del nord con Cdp o Invitalia e la parte residuale a Mittal che vuole solo evitare le grane giudiziarie. Ma il piano industriale coi forni elettrici trasformerebbe la più grande acciaieria d’Europa in un hub del preridotto


 

Non può lasciare stupiti ai più attenti però una immagine rubata proprio durante la prima udienza al tribunale di Milano, in cui la dura Lucia Morselli si vede poggiare affettuosamente il capo sulla spalla di un dirigente dei commissari. Nello specifico si tratta di Claudio Sforza, attuale direttore generale Ilva in As, uno di quelli che sa farsi trattare bene dalla stampa per accreditarsi (ad esempio fu fatto il suo nome come futuro direttore generale quando venne fuori la storia della lettera, smentita dal Mise, con cui Mittal avrebbe proposto un milione di euro in cambio della fuoriuscita). Insomma, quell’immagine rappresenta una forte umana vicinanza tra la Morselli e uno dei principali attuali avversari di Mittal. 

 

Anche Emiliano non ha mai negato di tifare per Jindal: ancora oggi ripete che la gara è illegale.  Eppure solo qualche settimana fa ha organizzato una conferenza stampa all’interno di Ilva insieme a Lucia Morselli. Quella che ora è presidente della cordata che, a suo dire, avrebbe vinto illegalmente la gara. E l’ha riempita di complimenti parlando di cambio di paradigma, di una fabbrica finalmente aperta al presidente della regione Puglia, che per la prima volta ci è entrato. Anche qui mentendo: sono facilmente reperibili le sue foto con elmetto Ilva sugli impianti solo due anni fa.  

 

Ancora più emblematiche le foto rubate proprio alla vigilia di natale di Lucia Morselli che ride allegramente con Emiliano e il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci nei corridoi della fabbrica mentre gli operai preoccupati discutevano con Conte.  Del resto né Emiliano né il sindaco di Taranto lo hanno mai negato: ciò che chiedevano era un maggior coinvolgimento ”del territorio” nelle scelte della fabbrica. Tanto da volerne entrare nel cda. Se un merito va dato in tutti questi anni alla gestione commissariale è proprio quello: posizionando ai vertici sempre gente del nord, e che da commissari a ufficio acquisti avevano sede a Milano, non ci sono stati quei cedimenti alle pressioni locali a cui eravamo stati abituati negli anni precedenti. 

 

Tutto questo rimescolamento interno, che potrebbe sembrare pettegolezzo di provincia, in realtà viene confermato dalle bozze del piano su cui si tratta al tavolo di governo. A cui prendono parte politici e finanzieri, i facilitatori scelti dal governo Enrico Laghi e Francesco Caio, ma nessun siderurgico.  La bozza prevede un 40 per cento di ingresso pubblico, almeno un miliardo societario di banche, una newco di acciaieri del nord Itali con Cdp o Invitalia, e una restante minima percentuale a Mittal. Che scontata di tutti gli investimenti previsti dal vecchio contratto, secondo la nostra ricostruzione, rimarrebbe nella società solo formalmente per evitare appunto i costi dell’incerta “battaglia giudiziaria del secolo” nella quale, a vedere dalle scelte compiute, non è affatto detto però che lo stato vincerebbe. 

 

Nel piano ci sono poi due altoforni, una produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio e due forni elettrici a preridotto (Dri). Per fare il Dri verrebbero chiamate Tenova, Danieli e Rina. Non clienti, ma socie di una newco che dovrebbe produrre Dri non solo per Ilva, trasformandola così dalla più grande acciaieria d’Europa nel più grande hub del Dri.  Esattamente quello che era il piano Jindal e della Morselli. E che aveva scritto l’ingegner Mapelli, consulente sia della cordata che di Ilva. E’ in atto la provincializzazione di Ilva. 

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