(Foto LaPresse)

Perché la crisi Ilva può essere una bomba d'acciaio per il Conte bis

Mariarosaria Marchesano

Lo spread Btp-Bund che sale è un campanello d'allarme. E agli analisti finanziari un governo a lungo termine appare sempre meno probabile

Milano. Il governo Conte Bis è seduto su una bomba di acciaio che lui stesso ha innescato quando si è fatto sfuggire di mano una crisi industriale che mette a rischio 20 mila posti di lavoro. La vicenda dell’Ilva di Taranto ha assunto negli ultimi giorni le dimensioni di un grave problema per l’Italia sia per l’impatto sul pil che avrebbe la chiusura dell’impianto sia perché rappresenta il più difficile banco di prova per la tenuta della maggioranza Pd-M5s. Un caso politico che è diventato centrale nelle prospettive degli investitori per la capacità di fare ripiombare l’Italia in una fase di incertezza. Certo, non si possono paragonare le recenti nervose oscillazioni dello spread Btp-Bund (ieri ha chiuso a 166 punti base dopo che giovedì aveva sfiorato i 180) alle impennate che si sono viste lo scorso anno nella fase di scontro con Bruxelles sui conti pubblici. Ma i segnali d’allarme ci sono. Secondo l’economista Lorenzo Codogno, di Lc Macro Advisors, l’Ilva è il “fattore più critico per la stabilità del governo italiano al momento”, ma non è l’unico perché occorre considerare anche la prospettiva di un referendum popolare sulla legge per la riduzione dei parlamentari; le prossime elezioni locali che potrebbero vedere perdenti forze dell’attuale maggioranza; le ultime proposte di riforma elettorale avanzate dalla Lega. Ma è proprio qui il punto. Tutti questi fattori hanno in comune la capacità di allargare le distanze tra Pd e M5s e, quindi, di provocare una crisi di governo e il ritorno alle urne già a marzo prossimo. Sempre secondo Codogno, la probabilità che il Conte Bis resisterà fino alla sua scadenza naturale, cioè la primavera del 2023, sono pari solo al 40 per cento. Anche gli investitori hanno cominciato ad annusare la possibilità di elezioni anticipate alleggerendo i portafogli di Btp.

 

A preoccupare è la prospettiva di un esecutivo guidato dalla Lega, che ancora non si è scrollata di dosso l’immagine di partito sovranista ed euroscettico. Questo nonostante i recenti sforzi di cambiare passo, come quando Matteo Salvini ha risposto “perché no?” alla domanda su cosa pensasse dell’ipotesi di Mario Draghi alla presidenza della Repubblica. Tale percezione è evidente, per esempio, nelle considerazioni che gli analisti della banca d’affari americana Citigroup esprimono in una ricerca inviata agli investitori l’11 novembre dal titolo “If we were in Salvini’s shoes”, cioè se fossimo nei panni di Salvini. Nonostante venga riconosciuto al capo della Lega il tentativo di farsi degli “anticorpi repubblicani” per non rischiare di restare “un attore passivo” fino al 2023, gli viene praticamente suggerito di cambiare la sua comunicazione. “Vorremmo toni moderati per andare oltre il populismo e, cosa più importante, per essere percepito come una controparte affidabile dalle istituzioni e dai mercati finanziari europei (da leggere: far cadere la politica anti euro)”. Secondo gli stessi analisti, c’è una data fatidica che potrebbe inaugurare le danze: il 12 gennaio, il giorno in cui la legge Fraccaro diventerà valida a meno che non sarà richiesta una consultazione popolare, cosa che potrebbe provocare una crisi istituzionale. “Io non sarei così pessimista sul quadro politico – dice Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Im – credo che la Lega abbia compreso la lezione e in futuro, se andasse al governo, si mostrerebbe più aperta e attenta a non provocare scossoni ai mercati. Il vero problema dell’Italia resta la bassa crescita e la persistente mancanza di politiche che stimolino lo sviluppo economico e facciano concreti passi in avanti sul fronte della riduzione del debito pubblico. Questo mette l’Italia in una condizione di vulnerabilità perenne”.

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