Lo stabilimento FCA di Melfi (foto LaPresse)

Eppur rimbalza

Pier Carlo Padoan

Le esportazioni crescono in quantità e qualità. Un caso? No, è l’effetto degli anni di credibilità e riforme

Giustamente ci si lamenta che l’Italia cresce poco (o nulla). Eppure, su questo, ci sono segnali contrastanti. Il modello export-led del paese, su cui l’Italia ha basato il suo miracolo economico nel dopoguerra, sembra essersi ripreso dalla grave crisi finanziaria. Le esportazioni non solo crescono ma migliora la qualità dei prodotti come mostra un recente studio della Confindustria. Ciò dimostra la capacita delle imprese italiane di essere competitive ma di esserlo sempre meno sui fattori di costo e sempre più su innovazioni, di processo e di prodotto. A conferma di una ritrovata competitività poi si registra un saldo positivo di parte corrente (come la Germania anche se di dimensioni molto più ridotte). Come dobbiamo interpretare questi fatti? Il paese ha rimesso in carreggiata il motore della crescita?

 

Nel triennio 2015-’17 la crescita italiana cumulata ha quasi raggiunto il 4 per cento. Nel frattempo il debito pubblico si era stabilizzato e stata iniziando a calare. Questi risultati sono stati conseguiti anche grazie a misure di sostegno sia dei consumi (con gli 80 euro) che degli investimenti (con misure di impresa 4.0). Insomma, nel triennio centrale di questa decade l’economia sembrava aver imboccato una via di uscita dalla crisi. Ma questa speranza si è infranta nella seconda meta del 2018 per la concomitanza di una congiuntura internazionale improvvisamente peggiorata e di un deterioramento della fiducia di imprese (e famiglie) a fronte della prospettiva di un governo giallo verde che non faceva mistero di contemplare l’uscita dall’euro come soluzione per i problemi del paese. Malgrado fosse finalmente tornatala performance dell’economia italiana nella fase di uscita dalla crisi e stata meno che soddisfacente se confrontata con altri paesi del sud della zona euro. Soprattutto quelli che avevano implementato un programma di aggiustamento con le istituzioni internazionali (Bce; Commissione europea, Fondo monetario internazionale). In questi paesi la crescita che è seguita alla fase di aggiustamento (spesso assai dolorosa dal punto di vista della stretta di bilancio) è stata significativa. Si è verificato cioè quell’effetto “rimbalzo” che si osserva in molti paesi che hanno attraversato una crisi. Effetto di solito proporzionale e simmetrico (di segno opposto) alla caduta del reddito nella crisi.

 

L’effetto “rimbalzo” in Italia si è invece realizzato solo in minima parte, malgrado la caduta del pil sia stata di oltre 9 punti percentuali, (la più pesante recessione che il paese abbia subito, in tempo di pace, dalla unificazione). La crescita che è seguita alla recessione è stata, da una parte più elevata che negli anni precedenti alla crisi, ma tuttavia limitata. Significativo il comportamento degli gli investimenti delle imprese, che hanno subito una iniziale accelerazione che successivamente si è arrestata. Perché? Vengono in mente due ordini di ragioni. Fattori di ordine strutturale e fattori legati a aspettative e grado di fiducia. L’Italia è entrata nella recessione con un fardello, accumulatosi negli anni, di ritardi strutturali ad ampio spettro, ritardi che si sono tradotti in ostacoli (dal lato dell’offerta) alla ripresa degli investimenti. La caduta della domanda che ha accompagnato la crisi ha, a sua volta, amplificato in senso negativo le decisioni delle imprese. La ripresa della crescita è stata resa possibile da misure di rilancio sia di investimenti che di consumi (come si ricordava sopra) ma anche da un miglioramento del grado di fiducia che si è manifestato, tra l’altro, con un significativo calo dello spread in un contesto di politica monetaria accomodante. In altre parole fattori di domanda e fattori di offerta hanno interagito positivamente. Ma con una capacità propulsiva insufficiente per buttarsi alle spalle tutte le conseguenze della crisi. Ne è seguito, insomma, un effetto “rimbalzo” di impatto limitato che suggerisce due lezioni da trarre. Primo, le riforme strutturali sono la via maestra per sostenere crescita di pil e produttività. Secondo, una strategia di riforme richiede pazienza e credibilità per dare i suoi frutti in modo più pieno e impattare positivamente sul grado di fiducia. Un nuovo effetto rimbalzo è ancora possibile.

Di più su questi argomenti: