Mario Draghi in conferenza stampa sulla politica monetaria dell'Eurozona (foto LaPresse)

Così Greta è diventata la dea della provvidenza per banchieri centrali e governi

Alberto Brambilla

Il movimento élit-ambientalista aiuta la Bce a spronare i politici a spendere in infrastrutture e tecnologie aumentando il consenso

Roma. Il grido d’allarme dell’attivista climatica svedese Greta Thunberg all’assemblea delle Nazioni Unite – “ci state rubando il futuro” – è stato ripetuto nelle piazze di mezzo mondo da adolescenti e giovani come lei in queste settimane. Ma ai vertici della Banca centrale europea deve essere suonato – e non da oggi – come un canto di sirena provvidenziale: l’ambientalismo è diventato il grimaldello con cui convincere gli stati a spendere per investimenti sviluppisti.

 

In un’intervista pubblicata ieri dal Financial Times il presidente uscente della Bce, Mario Draghi, ha ripetuto quanto detto nell’ultima conferenza stampa del 12 settembre. Draghi ha detto che una maggiore spesa pubblica è “urgente” per contrastare il prossimo rallentamento dell’economia. Nella conferenza stampa aveva detto che “alla luce dell’indebolimento delle prospettive economiche e della continua rilevanza dei rischi al ribasso, i governi con spazi fiscali dovrebbero agire in modo efficace e tempestivo (riferito alla Germania, ndr). Nei paesi in cui il debito pubblico è elevato (vedi l’Italia, ndr), i governi devono perseguire politiche prudenti che creeranno le condizioni affinché gli stabilizzatori automatici possano operare liberamente. Tutti i paesi dovrebbero intensificare gli sforzi per ottenere una composizione delle finanze pubbliche più favorevole alla crescita”. Draghi, che lascerà il posto a Christine Lagarde da novembre, ha sostanzialmente fatto intendere che dal 2012 ha fatto di tutto per salvare l’euro, ed è stato abbastanza, ma adesso tocca ai governi continuare. Nel suo mandato Lagarde ha detto di volere mettere il cambiamento climatico in cima alla sua agenda in quanto rischio sistemico mondiale. Come fare?

 

La preghiera di Greta fornisce un agevole passe-par-tout. In passato, approfittando degli stimoli monetari forniti dalla Bce, è stato troppo facile per i politici seguire un comportamento scorretto, ovvero non sentirsi responsabili di trasmettere la politica monetaria all’economia per promuovere crescita e sviluppo tecnologico. Le banche centrali possono cercare di costruire dei ponti, ma senza l’azione dei governi questi ponti non portano a nulla. Possono tentare di aumentare la fiducia degli investitori, tentare di convogliare liquidità in un sistema bancario frammentato o cercare di spingere le banche a prestare più denaro, e perfino ispirare i politici eletti sperando di essere ascoltati. Ma non possono costruire strade, ferrovie, infrastrutture o fabbriche con sistemi di produzione digitalizzati. Greta è provvidenziale perché racconta di una data ravvicinata per la fine del mondo: entro il 2050, tra trent’anni, il mondo dovrà essere a emissioni zero. Il senso di urgenza mette pressione ai governi, in particolare quelli europei, per ambire a raggiungere l’obiettivo (o quanto meno a dare prova di volere avvicinarsi). Il movimento suscitato da Greta crea una domanda di opere infrastrutturali e di dispiegamento di tecnologie avanzate che altrimenti rimarrebbe confinata a una discussione tra ingegneri rendendola mainstream e quindi popolare. In altri termini, fare di tutto per un’evoluzione del sistema produttivo e tentare di contrastare la frenata dell’economia mondiale.

 

La magia di Greta è che il suo movimento rende la spesa verde più accettabile: i governi possono spendere quando prima non volevano farlo, come la Germania, o quando lo facevano male, come l’Italia, aumentando il consenso popolare nel contesto di un “green new deal” mondiale. La Germania ha ceduto al rigorismo varando un pacchetto di misure contro il cambiamento climatico che tra spese extra e sussidi fiscali arriva a un totale di 54 miliardi di euro. L’Italia della coalizione Pd-M5s trova nell’opportunità di finanziare investimenti “verdi” un viatico per aumentare la spesa pubblica senza rischiare di incorrere in procedure sanzionatorie della Commissione europea. Con il suo nuovo partito Italia Viva anche Matteo Renzi vuole presentare “un Piano Verde più ambizioso di quello di Merkel per la Germania” alla prossima Leopolda e chiede che venga verificato nelle “piazze giovanili”, come ha detto al Foglio ieri. C’è chi è andato oltre. Proprio per intercettare il consenso dei ragazzi che riempiono le piazze negli scioperi climatici del venerdì inaugurati da Greta l’ex premier Enrico Letta, direttore della scuola SciencesPo di Parigi, Luigi Di Maio del M5s e il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, sono d’accordo nel voler concedere il diritto di voto ai sedicenni con una riforma costituzionale da approvare entro il prossimo anno.

 

Greta è un passe-partout per la finanza e per la politica. Il problema è che il consenso verso il movimento Greta è radicalizzato: per i giovani può essere preferibile non modificare l’ambiente anziché renderlo migliore con tecnologie sviluppiste. Il grido di Greta rischia quindi di diventare troppo rabbioso per essere produttivo.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.