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Nella rete del 5G

Alberto Brambilla

Promettono rivoluzioni per la telefonia fissa e sono un’occasione per cessare “guerre” sulla tecnologia. La presa dello stato sulla rete Tim sarà “vintage” quando le case saranno connesse con segnali radio come si sperimenta America

Il dibattito pubblico sull’uso di nuove tecnologie in Italia viene sistematicamente trasformato in una specie di “guerra di religione”. Per esempio, quando si parla di lavoro, i sistemi di monitoraggio per aiutare i magazzinieri di Amazon nella ricerca delle merci, i “braccialetti elettronici”, diventano strumenti di schiavitù. Quando si parla di ambiente e ciclo dei rifiuti, gli inceneritori non devono essere utilizzati benché il sistema di smaltimento sia in sofferenza, come in Campania. Il ministro dello Sviluppo economico e vicepremier del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, li definisce “vintage come le cabine a gettoni”: implicitamente intende che vanno superati con tecnologie meno inquinanti, ma non offre un’alternativa. Quando si parla di telecomunicazioni, da tempo, più che un “digital divide”, un divario digitale, c’è un divario ideologico che riguarda la modalità con cui riuscire a connettere con la banda ultra-larga la quasi totalità della popolazione. Sulla banda a oltre 100 Mbps l’Italia, che sconta a differenza dell’Europa la totale assenza di reti via cavo, è ancora in ritardo: è disponibile per il 22 per cento delle famiglie contro una media europea del 58 per cento. La discussione si è concentrata sull’utilizzo della rete fissa e sul dispiegamento della fibra ottica per migliorare la performance: negli ultimi tre anni, con alterne ondate di polemiche, si sono confrontati la privata Telecom Italia e la pubblica Open Fiber. Telecom ha optato per una soluzione tecnologica più rapida da realizzare: utilizza la rete in fibra fino alle cabine in strada e raggiunge le case con il cavo in rame che può essere potenziato per aumentare la velocità di trasmissione. Open Fiber, partecipata dalla banca per gli investimenti a trazione pubblica Cassa depositi e prestiti e dalla società elettrica statale Enel, è concentrata nel portare la fibra fino nelle case degli utenti per garantire una velocità di trasmissione rapida. Una “guerra di religione” che può essere superata nei prossimi anni dal dispiegamento della rete 5G, che utilizza la tecnologia radio per portare la banda larga dove la fibra non si ritiene un investimento percorribile o semplicemente conveniente.

   

La discussione è però tuttora concentrata sull’utilizzo della rete fissa, come fosse una “meraviglia”, a proposito di vestiti “vintage” applicati alle nuove tecnologie. Siamo all’inizio di un’epoca dominata dal capitalismo digitale, e in questi giorni, il governo di coalizione di Lega e M5s – con la spinta maggiore di quest’ultimo – vuole tornare indietro di vent’anni: preme per la separazione della rete di telefonia fissa dall’operatore privato Tim per ri-nazionalizzarla, dopo che era stata privatizzata nel 1997. La mattina del 13 novembre un consiglio di amministrazione straordinario di Telecom ha votato la rimozione dell’amministratore delegato Amos Genish sostituendolo poi con Luigi Gubitosi, commissario di Alitalia. E’ terzo il cambio al vertice in pochi anni. Genish, nominato un anno prima, l’ha definito un “putsch in stile sovietico” perché avvenuto in sua assenza mentre era in Asia. Avere incontrato a settembre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, scelto dal M5s, per un colloquio conoscitivo non deve avergli portato molta fortuna. Genish, espressione del primo azionista di Telecom, la francese Vivendi, voleva che la compagnia mantenesse il controllo della rete. Al contrario, il fondo americano Elliott Management, che a maggio ha ribaltato il cda prendendone il controllo con l’appoggio di Cdp, entrata in Telecom a rimorchio proprio di Elliott, spinge per lo scorporo della rete. Il piano di Elliott coincide con quello governativo: creare una società della rete (NetCo) nella quale fare confluire l’asset che vale 12-14 miliardi di euro e metterla sotto il controllo dello stato attraverso Cdp con la partecipazione di Open Fiber. La società della fibra, presieduta da Franco Bassanini, ha una expertise specifica nel portare la fibra fino alle case, mutuata da Metroweb a Milano, ed è impegnata nella copertura di 4,2 milioni di unità immobiliari principalmente in quel modo. Guardando ad altre esperienze è però utile domandarsi se, in caso di separazione della rete Telecom e creazione di una unica compagnia, sarà necessario adottare un approccio più elastico rispetto al passato per non restare bloccati su una tecnologia datata o comunque facilmente superabile in breve tempo.

   

Nell’industria delle telecomunicazioni avanza infatti l’idea che la maggiore velocità di trasmissione del segnale delle reti di quinta generazione 5G sia un fattore dirompente più per la telefonia fissa che per quella mobile. “Il 5G può diventare la tecnologia di accesso in grado di bypassare i problemi legati al collegamento in fibra fino all’utente e portare la connettività ai clienti senza collegarli in fibra fino a casa, ma lasciando al 5G gli ultimi 250 metri dal cabinet (l’armadio in strada). Una rivoluzione”, ha detto ieri al Sole 24 Ore Alberto Calcagno, amministratore delegato di Fastweb, una società che pure ha investito miliardi sulla rete in fibra ottica negli ultimi anni. La tecnologia 5G ha l’obiettivo di fornire capacità 10-100 volte superiori rispetto ai sistemi di trasmissione esistenti e ha il potenziale di abilitare soluzioni di accesso senza fili, il Fixed Wired Access. Simile a come si ottiene il wi-fi in casa propria, tramite una connessione cablata diretta come cavo o fibra, il 5G può consegnare internet a casa tramite una connessione diretta e aerea. In America Verizon sperimenta una tecnologia mista fibra-5G a Sacramento, Indianapolis, Houston, Los Angeles per cui la fibra raggiunge un centro abitato e da una stazione di base mette a disposizione il segnale a tutte le abitazioni all’interno di un’area con copertura di 500-600 metri di raggio e a una velocità fino a 1 Gigabit per secondo. E’ la stessa velocità che si può raggiungere con la fibra fino a casa e vicina a quella che si ottiene potenziando l’ultimo tratto in rame. Ma c’è una differenza radicale: le reti fisse wireless non sono condizionate dal cablaggio dell’edificio tramite la realizzazione del collegamento fisico con cavi (e peraltro potranno servire a connettere sistemi per la mobilità, comprese automobili senza conducente, o aree industriali). In fondo nel 2015 l’ingegnere Francesco Troisi, già direttore generale per i Servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione del ministero dello Sviluppo economico, scriveva nel paper “Il ruolo del Fixed Wireless Access in Italia e nel resto del mondo per lo sviluppo della banda larga” dei vantaggi di collegare gli utenti bypassando i cavi. “Uno dei più attraenti benefici della reti wireless fisse a banda larga è la facilità di essere messa a disposizione dell’utente, in quanto gli operatori non devono pesantemente investire in posa di nuovi cavi o di infrastrutture, offrendo il servizio in più aree con minori costi di altri tipi di reti. Un’altra positiva caratteristica, valida soprattutto nelle aree rurali, è la bassa latenza, rendendo, ad esempio, utilizzabili al meglio i programmi di video-gaming e le connessioni tipo Skype”, le funzioni più utilizzate in Italia insieme ai social. Questo “comporta spese e tempi di attivazione bassi e costi di mantenimento limitati alla sola stazione di base, oltre alla necessità di richiedere un numero minimo di permessi. Tutto ciò si traduce – scriveva Troisi in èra pre-5G – in una elevata flessibilità e scalabilità nella realizzazione delle reti, con la conseguenza che la realizzazione di una rete fissa wireless rappresenta la più veloce soluzione per raggiungere le aree malservite o non servite del tutto”.

   

L’operatore pubblico Open Fiber sta certo seguendo gli sviluppi tecnologici, al punto che alcune unità immobiliari non raggiunte con la fibra fino a casa saranno coperte con tecnologia radio fixed wireless. Ma è una strategia sbilanciata sul cavo che ha fatto dire a Genish, in un’intervista al Financial Times, circa due settimane prima del suo licenziamento, che “abbiamo bisogno del 5G per muoverci da un settore esangue a uno vincente” e che “sta al governo decidere se Open Fiber sia necessaria nell’ecosistema odierno”. Tim e Vodafone con un maxi-esborso, 2,4 miliardi a testa, hanno fatto la parte del leone sull’acquisto delle frequenze 5G messe all’asta dallo stato raccogliendo la cifra monstre di 6,5 miliardi. I due operatori vogliono collaborare sullo sviluppo della tecnologia 5G, segno che la rete fissa può cominciare a essere considerata da Telecom come qualcosa di vintage come un telefono a gettoni, quindi cedibile a chi la vuole. Non esistono soluzioni preconfezionate, ma si può cominciare mettendo da parte superate “guerre di religione”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.