Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini (foto Imagoeconomica)

Dopo la Tav si blocca anche il pil. Arriva la decrescita infelice

Marco Fortis

Nel terzo trimestre 2018 il prodotto interno dell'Italia rimane fermo. Una doccia fredda anticipata per il governo che, salvo miracoli, a fine anno dovrà fare i conti con una crescita lontana dall’ottimistico più 1,2 per cento indicato nel NaDef

La crescita zero del pil italiano nel terzo trimestre ha sorpreso anche gli analisti più pessimisti, che si aspettavano una flessione intorno a un più 0,1 per cento ma non certo uno stop così secco. Invece l’economia si è fermata bruscamente, frenata soprattutto dall’industria che sino a questo momento aveva galoppato trainata dagli investimenti 4.0, dai consumi interni e dall’export.

Lo stallo dell’Italia che emerge dalla stima preliminare dell’Istat stride in confronto ad una espansione media dell’Unione Europea in rallentamento ma comunque valutata dall’Eurostat a più 0,3 per cento nello stesso trimestre. Il divario con l’Europa emerge perfino più netto dai dati tendenziali che indicano per l’Italia un aumento del Pil sceso a più 0,8 per cento rispetto al terzo trimestre 2017 mentre l’UE-28 viaggia ancora relativamente veloce ad un solido più 1,9 per cento.

 

 

Il dato del pil italiano è una doccia fredda anticipata per il governo Conte-Tria-Salvini-Di Maio perché certifica una crescita acquisita nei primi nove mesi dell’anno ferma impietosamente all’1 per cento. Salvo improbabili miracoli nell’ultimo trimestre l’aumento del pil del 2018 si consoliderà intorno a questa cifra, augurandoci che non vada anche peggio. Dunque, sarà una crescita lontana dall’ottimistico più 1,2 per cento indicato solo poche settimane fa nel quadro programmatico della Nota di aggiornamento al Def 2018, il che allontana sempre di più anche le speranze che il pil italiano possa poi progredire di botto dell’1,5 per cento nel 2019 grazie alla “manovra del Popolo”. Una manovra che contiene ben pochi stimoli per la crescita reale privilegiando invece l’assistenzialismo, mentre intanto aumentano implacabilmente i tassi di interesse, ossia, per dirla con Olivier Blanchard, la “manovra del Popolo” è una manovra fiscalmente espansiva che rischia però di produrre recessione.

 

La recessione per adesso ancora non c’è, fortunatamente, e speriamo che non debba arrivare, ma purtroppo la stagnazione per l’Italia è già una realtà. Erano ben 14 trimestri consecutivi, dal primo trimestre del 2015, che il pil italiano cresceva a buon ritmo. Durante questo arco temporale, la crescita trimestrale era stata in 3 trimestri dello 0,2 per cento, in 6 trimestri dello 0,3 per cento, in 3 trimestri dello 0,4 per cento e in 2 trimestri addirittura dello 0,5 per cento (grafico sopra).

 

In un trimestre (il primo del 2018) il divario di crescita tra Italia e Germania era stato di un solo decimale; in un altro (il terzo del 2015) la crescita dei due Paesi era stata simile; in tre trimestri (il primo del 2015, il terzo e il quarto del 2016) il nostro Paese dopo tanto tempo era addirittura cresciuto di più della locomotiva tedesca. Mentre in cinque trimestri l’Italia era cresciuta più della Francia e in un altro il progresso dei due Paesi era stato uguale. Risultati, tra l’altro, raggiunti dall’Italia senza poter fare spesa pubblica, come abbiamo più volte sottolineato in precedenti articoli, ma esclusivamente facendo leva sui consumi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese. Un piccolo miracolo che ora purtroppo non c’è più.

 

Sono stati sufficienti pochi mesi di “annuncite”, di attacchi baldanzosi all’Europa e di sfida aperta ai mercati, con il conseguente rialzo dello spread e dei tassi di interesse, più un unico provvedimento economico di facciata come il Decreto dignità, che è esclusivamente riuscito a complicare il mercato del lavoro anziché renderlo più equo, per riportare la sfiducia tra le imprese, le famiglie e gli investitori esteri. Stanno aumentando i mutui, le banche possono fare meno prestiti alle imprese e alle famiglie, i consumi rallentano e gli investimenti si fermano. Era tutto prevedibile, logico, inevitabile: mancava solo una certificazione statistica. In ventiquattro ore si è bloccata non soltanto la Tav ma anche la crescita del Paese.

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