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Ecco perché a forza di “stimoli miracolosi” l'economia fatica

Maurizio Sgroi

I paesi che hanno fatto uso di un largo stimolo monetario, hanno avuto una ripresa più veloce? “E’ una domanda complicata – dice Phelps – ma le evidenze preliminari non danno un forte supporto a questa tesi”

Roma. Discutere della necessità di un deficit significa implicitamente riconoscere che una politica fiscale espansiva sia utile alla crescita di un’economia. Ma è così? Se chiedete a un governante, la risposta sarà positiva. Per un politico il deficit è il modo più semplice per conquistare consenso, meglio se tale ovvietà viene “travestita” dalla necessità economica.

 

Mercoledì il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha detto che l’economia non cresce senza uno stimolo. Il ritornello è noto: se il privato non “tira” abbastanza, il pubblico deve metterci di suo per colmare quello che viene chiamato output gap, la differenza fra il pil reale e potenziale. Lo stimolo fiscale, quindi, sarebbe persino necessario. Questo mito oggi agita le cronache come ai tempi di Keynes, con la differenza che a furia di stimoli fiscali il debito dei governi è arrivato a livelli mai visti dall’ultima guerra mondiale. Questionare i miti, tuttavia, è utile: prezioso un recente articolo di Edmund Phelps sul Wall Street Journal dal titolo “La fantasia dello stimolo fiscale”. Laddove “emerge che le politiche keynesiane sono correlate con una crescita più lenta non maggiore”. Tornano in mente celebri dibattiti da anni Trenta, con la differenza che oggi “fra economisti e politici è ampiamente condiviso il pensiero che lo stimolo fiscale” negli Stati Uniti abbia favorito il recupero dell’occupazione. Ma “ci sono prove che lo stimolo sia alla base della ripresa americana? E ci sono prove che l’assenza di stimoli – l’austerità fiscale – sia responsabile del mancato pieno recupero in Portogallo, Italia, Francia e Spagna?”. Meglio chiederselo, visto che ci stiamo impiccando a una manovra che punta su un aumento del deficit per restituire “la felicità agli italiani”, come ha detto il vicepremier Luigi Di Maio.

 

La narrazione del deficit miracoloso presuppone che chi ha adottato un ampio stimolo abbia goduto di una ripresa veloce. Senonché “le evidenze non supportano la stimulus story”, dice Phelps. “I grandi deficit non accelerano la ripresa – aggiunge, anzi – la relazione è negativa, suggerendo che la prodigalità fiscale conduce a una contrazione e che la responsabilità fiscale sarebbe preferibile”. Phelps ricorda che dopo la Seconda guerra la smobilitazione dei soldati americani aumentò la forza lavoro di quasi sette milioni di persone. Molti economisti temevano, ieri come oggi, l’aumento della disoccupazione e molti di loro, keynesianamente, suggerirono di fare deficit per “assorbire” questa forza lavoro. Il governo prese la strada opposta. Truman scelse di fare surplus fiscale: la disoccupazione scese e la partecipazione al lavoro salì. Pure negli anni in cui la teoria keynesiana era protagonista del dibattito pubblico, molti economisti, come Franco Modigliani, James Tobin e Robert Mundell, trovarono preoccupanti controindicazioni nell’uso del deficit. Ciò non impedì a molti paesi di fare ampio ricorso allo stimolo fiscale o al suo surrogato, lo stimolo monetario. A proposito: ma i paesi che hanno fatto uso di un largo stimolo monetario, hanno avuto una ripresa più veloce? “E’ una domanda complicata – dice Phelps – ma le evidenze preliminari non danno un forte supporto a questa tesi”. Insomma, tutti gli arnesi di origine keynesiana, fiscali o monetari, sono di dubbia utilità. Ma allora “cosa ha guidato la ripresa Stati Uniti e nordeuropea dopo il 2008?”. Una risposta è la fiducia. “Forse l’Italia ha parzialmente fallito la ripresa anche perché la sua prodigalità fiscale ha danneggiato la fiducia”. Altra risposta è “la capacità e il desiderio di innovare”. Un paese con fiducia e dinamismo è meglio attrezzato per reagire a una recessione, “a prescindere dagli stimoli”. “C’è una forte relazione fra la velocità della ripresa e il tasso di crescita di lungo termine del fattori totali della produzione”, un indicatore del dinamismo dell’economia. “Molto del merito per la ripresa relativamente veloce degli Stati Uniti – conclude Phelps – dipende dalla cultura endemica di innovazione e impresa di questo paese”. Nulla che si possa comprare col deficit.

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