Papa Francesco (foto LaPresse)

Lo stallo del Papa geopolitico

Redazione

Precursore sull’Amazzonia, silenzioso su Hong Kong. Chi dà le carte è la Cina

Due sono i grandi dossier internazionali che occupano la scrivania di Papa Francesco, Papa politico che ha rispolverato i fasti antichi della geopolitica della chiesa cattolica dopo la stagione di ripiegamento con Tarcisio Bertone in segreteria di stato. Per il Papa preso dalla fine del mondo (e per di più gesuita), d’altra parte, non poteva che essere così. Uno è l’Amazzonia, che oggi brucia ed è sulle prime pagine dei giornali, ma che da tempo è nel pensiero di Bergoglio, se è vero che tra un mese e mezzo si aprirà in Vaticano un Sinodo ad hoc sul polmone verde del pianeta convocato però nell’ottobre del 2017. Vale a dire quando Bolsonaro non era al comando e le foto degli animali che scappano dai roghi non finivano nelle timeline di Twitter. Questione di fiuto e, soprattutto, di capacità di cogliere un problema evidente (al di là dei possibili risultati dell’assise, con i vescovi tedeschi che più che alle popolazioni autoctone pensano all’occasione di dare un altro colpetto alla dottrina cattolica).

 

L’altro tema di politica internazionale all’ordine del giorno è Hong Kong, con i tank cinesi assiepati a venti chilometri dalla città autonoma, le minacce del regime comunista sempre più chiare e i milioni di giovani che scendono in piazza reclamando libertà dal pugno di Pechino. Qui però da Roma non una parola. Silenzio assoluto che può essere determinato da due cause: la volontà di non mettere in pericolo le moltitudini che sfilano con gli ombrelli per le strade cittadine o il desiderio di non stracciare il delicato e fragile accordo stipulato un anno fa con le autorità cinesi sulla nomina dei vescovi. Il timore, cioè, che una parola potrebbe far crollare il castello messo in piedi con tanta pazienza. In ogni caso, che sia vera la prima o la seconda ipotesi, è il segnale della debolezza della Santa Sede nei confronti della Cina. Chi dà le carte, nel dialogo tra le parti, non è certo Roma. Hong Kong ne è la dimostrazione palese.

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