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Birre neozelandesi che non lo erano

Antonio Gurrado

Un birrificio canadese ha battezzato una nuova pale ale con un termine Maori, che secondo loro vuol dire "piuma" e invece ha tutt'altro significato

Un birrificio canadese ha ceduto al fascino dell’esotico producendo una pale ale della Nuova Zelanda e battezzandola Huruhuru. Si tratta di un termine Maori che significa “piuma”; o meglio, che i birrai canadesi credevano significasse “piuma” quando invece significa “pelo pubico”. La mia conoscenza della lingua Maori è piuttosto limitata (come quella dei birrai canadesi, del resto), quindi non posso esprimere un accurato parere filologico. Devo limitarmi a constatare che un portavoce Maori ha protestato su Facebook accusando il birrificio canadese di appropriazione culturale, prima di infilzarlo rivelando la traduzione corretta del termine. Al che il boss del birrificio canadese ha fatto pubblica ammenda spiegando che si trattava di una interpretazione artistica, o forse di una licenza poetica, ma che non era intenzione del birrificio appropriarsi della cultura altrui né offendere in alcun modo i Maori.

 

Già che c’era, ha anche aggiunto - giuro - che il prossimo inevitabile cambiamento di nome della birra non implicherà alcun giudizio negativo sul pelo pubico di per sé o su chi ne faccia sfoggio. E così, tutto è sistemato; o almeno quasi tutto. Resta infatti ancora da capire perché mai un birrificio canadese debba propinare ai clienti una birra neozelandese dal nome impronunciabile e incomprensibile ai più, che d’ora in poi non potrà venire assaporata senza sottoporla istintivamente a paragoni olfattivi poco lusinghieri. Sulle scuse ai Maori siamo tutti d’accordo, su quelle al pelo pubico pure, ma coi clienti del birrificio non si scusa proprio nessuno?

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