Matteo Salvini (foto LaPresse)

Che effetto fanno i quattordici mesi di Salvini al Viminale

Lorenzo Borga

Meno criminalità e meno immigrati, a prima vista. Ma sono tendenze già in atto, e sono aumentati gli irregolari

Dopo 14 mesi, Matteo Salvini non siede più al ministero dell’Interno ed è tornato a essere un senatore semplice. I due decreti trasformati in legge e i 20 tentati sbarchi di navi delle Ong cariche di naufraghi da Libia e Tunisia trasformati in crisi politiche sono numeri che raccontano gran parte dell’attività dell’ex ministro, ma non tutta. In queste pagine abbiamo spesso commentato, numeri alla mano, le scelte e parole di Salvini: l’invasione immaginaria degli stranieri, l’aumento di stranieri irregolari dovuto al decreto sicurezza 1, il flop dei ricollocamenti in Europa del metodo sbarco-per-sbarco, l’errore (non solo italiano) di abbandonare il tentativo di riforma del trattato di Dublino, l’effetto quasi nullo che l’immigrazione (se ben gestita) produce sulla criminalità e gli errori sostanziali della stima del Viminale sul numero di irregolari presenti nel nostro paese. È ora però di produrre un bilancio complessivo del lavoro di Salvini, sempre – come siamo abituati su SoundCheck – a partire dai crudi numeri.

 

Gli sbarchi

Come sappiamo, sono gli sbarchi l’orgoglio più grande per l’ex ministro. Hanno segnato meno 72,29% rispetto all’anno scorso, secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno. Una percentuale che fa un po’ meno effetto se contata in valori assoluti: meno 31.860. E che soprattutto impallidisce in confronto all’opera di Marco Minniti, che gli sbarchi li aveva ridotti – in meno tempo – di 143mila e 433 unità. Il grosso del lavoro l’aveva portato a termine infatti il ministro del governo Gentiloni, tramite gli accordi con il governo e le tribù locali libiche. Salvini invece ha puntato tutto sulla “guardia costiera” della Libia e sulla lotta alle imbarcazioni delle Ong. In questo modo ha però incrementato i pericoli del viaggio per i migranti: tra chi partiva dalle coste libiche prima del 2018 poco più del 2 per cento moriva o risultava disperso nella traversata in mare. Con il segretario della Lega questa percentuale è tristemente triplicata, arrivando al 6 per cento. Certo, i numeri assoluti sono fortunatamente diversi: e così, nonostante le percentuali più alte, il numero di migranti morti e dispersi tra gennaio e settembre 2019 è il più basso degli ultimi 6 anni nel Mediterraneo centrale.

 

Non si può quindi dire – come fa qualcuno – che Salvini abbia aumentato le morti in mare. Ma si può tentare un altro ragionamento, più politico: è stato davvero opportuno aumentare pericoli, sofferenze e complicazioni a uomini e donne già in enorme difficoltà, per un risultato nei fatti limitato e in una situazione che non rappresentava più un’emergenza? La domanda sarebbe retorica, se non considerassimo il boom elettorale di cui ha beneficiato la Lega grazie alle scelte del suo segretario.

 

Le decisioni di Salvini hanno ridotto gli sbarchi di stranieri e di conseguenza anche i fondi a disposizione per la loro accoglienza in Italia. L’ex ministro a ottobre dell’anno scorso aveva dichiarato che da quella spesa si sarebbe potuto risparmiare un miliardo di euro da mettere a copertura della legge di bilancio. Nei documenti che contano però, cioè nel Def di quest’anno, la spending review contabilizzata dalla “razionalizzazione della spesa per la gestione dei centri per l’immigrazione” raggiunge meno della metà, 400 milioni di euro.

 

I ricollocamenti

È dal 2015 che abbiamo imparato a conoscere questa parola, da quando Juncker ha proposto un piano di ricollocamento europeo per alcune categorie di migranti arrivati in Italia e in Grecia (inizialmente anche in Ungheria, prima che Viktor Orbán rifiutasse l’aiuto comunitario). Matteo Salvini ha sempre criticato questo metodo, che in effetti ha portato solo il 3,7 per cento (circa 12mila e 700) dei migranti arrivati in Italia a essere ricollocati in altri paesi europei. Un risultato sotto le aspettative, tenendo conto che gli sbarchi negli anni in cui il programma è rimasto attivo sono arrivati a quasi 340mila. Ma il metodo Salvini dei ricollocamenti negoziati caso-per-caso, in occasione dei tentati sbarchi delle Ong, non è stato granché meglio. Così l’ex ministro dell’Interno è riuscito a redistribuire solo il 6,2 per cento dei migranti sbarcati sulle coste italiane. Ma con molti più sforzi diplomatici e pressione sugli uffici del governo, per cercare partner europei disposti – volta per volta – ad aprire i propri confini. E non solo: non dimentichiamo le sofferenze umane provocate a centinaia di persone che sono rimaste in attesa in mare per giorni, talvolta settimane (la media è stata circa 9 giorni), in condizioni inaccettabili per un esser umano.

 

Le espulsioni

“L'impegno serio concreto e sottoscritto del centrodestra deve essere quello di fare 100mila espulsioni l'anno, mezzo milione di clandestini riportati al loro paese in 5 anni”. Così dichiarava Matteo Salvini il 26 novembre 2017 a Cagliari. Un numero ripetuto molte volte, ma sempre disatteso. In un anno, invece di 100mila, il governo Conte ha espulso circa 6mila e 500 stranieri irregolari. Di questo passo in cinque anni avrebbe raggiunto poco più del 5 per cento del risultato fissato da Salvini in campagna elettorale. Ma c’è di più: non solo il primo governo Conte non ha rispettato gli impegni annunciati, ma è anche riuscito a fare peggio dell’esecutivo precedente, quello guidato da Paolo Gentiloni, che da parte sua non aveva posto così tanta attenzione all’obiettivo dei rimpatri.

 

La criminalità

Altro punto in cima alle priorità del precedente responsabile del ministero dell’Interno è stato il contrasto alla criminalità. Nel rapporto di ferragosto di quest’anno troviamo i risultati raggiunti: -14 per cento di omicidi, -16,2 per cento di rapine, -11,2 i furti e meno due punti percentuali le truffe. Sembra tanta roba, ma – ancora una volta – vale la pena leggere i dati in prospettiva.

 

Nel rapporto precedente, quello del 2018 sempre presentato da Salvini, gli omicidi presentavano un segno meno del 14 per cento, le rapine dell’11 per cento e i furti dell’8,7. L’anno prima: omicidi -15 per cento, rapine -11,3, furti -10,3. Nel 2016, con grande sorpresa (si fa per dire), -11,3 per cento gli omicidi, -10,7 le rapine e poco meno del meno 10 per cento i furti. E così dicendo fino al 2014, quando per la prima volta dopo alcuni anni di aumento i delitti cominciarono a scendere, come stanno continuando a fare. I dati presentati con orgoglio da Salvini non sono una novità, ma piuttosto una conferma di un trend positivo in atto di cui l’ex ministro si è accorto solo una volta al governo, cioè nel momento in cui se ne sarebbe potuto assumere il merito.

 

Tra l’altro, i numeri sulla criminalità non riflettono ancora l’effetto dell’aumento dell’irregolarità tra i migranti presenti nel nostro paese. Con il primo decreto sicurezza, varato a ottobre 2018, il precedente governo ha sostanzialmente abolito la forma di protezione umanitaria fino ad allora prevista per i migrati sbarcati sulle coste italiane. Questo ha provocato l’incremento delle risposte negative alle richieste di asilo, e dunque più irregolari presenti sul territorio. È risaputo che lo status di irregolare comporta, nell’ipotesi migliore, una maggiore probabilità di lavorare in nero mentre, nella peggiore, il rischio della più alta propensione a delinquere. I numeri sono chiari: a giugno gli stranieri irregolari erano 18mila in più rispetto a quanto sarebbero stati senza l’approvazione del decreto sicurezza. A questo possiamo aggiungere, con una semplice moltiplicazione, una stima di quanto l’effetto irregolarità potrebbe incidere sui crimini. Nel 2020, se il trend continuasse, potrebbero esserci 19mila reati in più rispetto a quattro anni prima, tra cui 5mila furti e rapine e 77 violenze sessuali. Questo sarebbe il solo effetto del primo decreto sicurezza.

 

L’eredità di Salvini al Viminale

Questi sono alcuni dei risultati prodotti nei quattordici mesi di Matteo Salvini al ministero dell’Interno. Ma anche i mesi che ci attendono potrebbero portarci qualche sorpresa: la Corte costituzionale sta infatti già verificando alcuni passaggi dei decreti sull’immigrazione che portano la firma leghista. La consulta, se deciderà per l’incostituzionalità di alcune norme, potrebbe forse semplificare la convivenza tra i contraenti della nuova maggioranza di governo, evitando i prevedibili scontri tra M5s e dem sulla proposta di abolizione dei due decreti sicurezza.

 

Si vedrà. Ma la sostanza non cambierebbe. Salvini aveva promesso meno criminalità e meno immigrati. A prima vista i risultati sembrerebbero raggiunti, ma scrutando i dati con attenzione ai trend pluriennali e ai costi (anche sulla pelle delle persone) che le politiche leghiste hanno avuto, il risultato sembra molto meno positivo. Nonostante ciò l’eredità che Salvini lascia al suo successore – l’ex prefetto Luciana Lamorgese – è pesante: le scelte che ha fatto hanno contraddistinto gran parte del dibattito politico degli ultimi mesi e l’immigrazione rimarrà probabilmente al centro dell’attenzione mediatica. Purtroppo il livello di pressione e la percezione errata del fenomeno sono talmente opprimenti che i margini di manovra del nuovo governo saranno limitati. Probabilmente è questa l’eredità vera di Salvini: non poter più affrontare l’immigrazione come un fenomeno con una possibile soluzione razionale e regolabile, e non solo ragionando per assoluti. Un lascito molto grave per un ministro.