La crisi dei migranti è finita. Ma il vero problema resta l'immigrazione percepita
Tutti i dati mostrano che il numero degli sbarchi è tornato ai livelli precedenti il 2013. Ma per un terzo degli italiani rimane uno dei problemi principali da affrontare. Intanto aumentano i morti nel Mediterraneo centrale
Stando ai dati, la crisi europea dei migranti sembra essere rientrata. O almeno quella che si può definire tale, l'emergenza, iniziata alla fine del 2013, che ha avuto il suo apice tra il 2015 e il 2016 quando un numero sempre crescente di rifugiati e di migranti ha cominciato a spostarsi verso l'Ue viaggiando attraverso il mar Mediterraneo, la Turchia e l'Europa orientale. “Da due anni gli sbarchi sono tornati ai livelli pre-crisi”, scrive in un thread su Twitter il ricercatore dell'Ispi Matteo Villa. E basta una veloce occhiata al grafico realizzato dall'Istituto per gli studi di politica internazionale su dati Frontex per notare come gli sbarchi siano scesi drasticamente dai più di 110 mila del dicembre 2016 ai circa 11 mila del mese scorso. Cifre confermate anche dal dipartimento della Pubblica sicurezza del Viminale che, nel “Cruscotto statistico giornaliero” di dicembre, evidenzia come il numero dei migranti sbarcati in Italia sia passato dai 118.914 del 2017 a 11.439 nel 2019, con un calo di circa il novanta per cento (anche se tra il 2019 e il 2018 c'è stato un lieve aumento).
“Ma ancora oggi – continua Villa citando dati dell'Eurobarometro – il 34 per cento degli italiani dichiara che l'immigrazione è uno tra i maggiori problemi” da affrontare. “Più vicini ai massimi (49 per cento) che ai minimi (5 per cento). Anzi – prosegue il ricercatore dell'Ispi –, un trend del tutto simile lo riscontriamo a livello europeo. Malgrado il periodo di sbarchi (molto) alti sia trascorso da tempo, la paura è ben più alta rispetto al periodo pre-2015”. Insomma non è certo una novità, ma l'immigrazione percepita continua a pesare, nel dibattito pubblico e non solo, molto di più dei dati reali.
⛔️ Migrazioni e "onda lunga": non siamo da soli.
— Matteo Villa (@emmevilla) December 24, 2019
Anzi, un trend del tutto simile lo riscontriamo a livello europeo.
Malgrado il periodo di sbarchi (molto) alti sia trascorso da tempo, la paura è ben più alta rispetto al periodo pre-2015. pic.twitter.com/imkGni1IbI
Ma se il numero degli sbarchi è calato, la rotta del Mediterraneo centrale è diventata sempre più pericolosa. Secondo l'Unhcr, sebbene il numero di morti e scomparsi sia calato in valore assoluto, è aumentato in rapporto al numero degli sbarchi, passando dal 2,5 per cento del 2016 all'8,65 per cento del 2019.
Secondo Amnesty International, la responsabilità dell'aumento del tasso di mortalità è da individuare nella “sostanziale inattività delle missioni europee, come il decadimento della missione Sophia, e l’inasprimento delle politiche italiane”. Sophia, avviata nel 2015 e oggi prorogata dai paesi Ue ma senza più navi per adempiere al suo mandato, si concentrava principalmente sugli sbarchi e il salvataggio delle persone in mare. Nel 2013, sull’onda emotiva del naufragio del 3 ottobre nel quale morirono oltre duecento persone, il governo italiano aveva lanciato anche l'operazione Mare Nostrum, destinata ai salvataggi nel canale di Sicilia. Il 31 ottobre 2014 Roma sospese quell'iniziativa e istituì Triton, una vasta missione di controllo delle frontiere a guida europea, alla quale è subentrata nel 2018 Themis.