(foto LaPresse)

Il coronavirus e la teoria dello stress parassitario

Gilberto Corbellini

La prevalenza dei parassiti è predittiva delle misure di governance autoritaria. Ipotesi

"Piantala con la tua ideologia liberale. Chi se ne frega della libertà: rischiamo la vita”. Oppure. “Lo dimostrano la Cina e in parte Singapore e Corea del sud, che la democrazia non è efficace quanto la dittatura o il collettivismo per combattere le epidemie”. Per contro. “State scherzando. Il liberalismo è un metodo non un’ideologia e solo se le persone godono delle libertà individuali per aderire alle misure contro la pandemia, usciranno dall’emergenza senza aver perso non solo la libertà ma anche troppo denaro e troppa fiducia nelle istituzioni”.

 

Ho fatto, ascoltato o letto numerose discussioni intorno a queste tesi. Si tratta di semplificazioni antropocentriche. Come se fossimo noi a scegliere quale risposta dare. I microrganismi che ci parassitano non agiscono causando generiche malattie, e quindi producendo condizioni economico-sociali che accendono preferenze ideologiche disponibili al bisogno di difesa, ma influenzano o indirizzano i nostri comportamenti in modi definiti. Da un lato causando uno spettro di possibili sintomi che possono favorire la trasmissione (inedia, irrequietezza, diarrea, tosse, preferenza per sostanze vettrici, etc.), dall’altro la loro presenza nell’ospite o nell’ambiente induce risposte volte a preservare l’interesse evolutivamente ultimo della riproduzione individuale, anche attraverso il rafforzamento della collettività.

 

Da un paio di decenni circola l’ipotesi che lo stress parassitario spieghi le dinamiche dei rapporti politico-sociali in una comunità/nazione. I parassiti sono ubiquitari, ma sono tra loro molto diversi, e in più altamente variabili all’interno della specie, e possono costituire dei fattori di stress che influenzano in modi differenti come le persone stanno o si sentono fisicamente, quindi la loro prestanza biologica, ovvero le preferenze per i partner, nonché le differenze tra le culture in generale. I biologi evoluzionisti hanno studiato come il carico di parassiti altera diversi aspetti della fisiologia, e come i risultati di queste alterazioni (colori del piumaggio, efficienza nella segnalazione dello stato di salute, odore, asimmetrie fluttuanti del corpo, rapporto bacino/fianchi, etc.) influenzano la scelta sessuale del partner, in quanto la qualità dei tratti espressi è percepita come indice di salute e quindi di qualità genetica che garantisce una buona chance alla prole.

 

In questo quadro, il collettivismo si pensa sia vantaggioso, per cui le culture che hanno un più alto tasso di infezioni avranno maggiori probabilità di essere collettiviste. Una costante dei collettivisti è l’enfasi sul proprio gruppo, prendendosi cura gli uni degli altri e quindi proteggendosi a vicenda dagli effetti negativi del contagio. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che il sistema immunitario, che evolve anche sotto la pressione dei parassiti, impara meglio a difendere l’organismo dai parassiti locali, mentre quelli nuovi, che provengono da fuori del gruppo, lo trovano sguarnito. Fare in modo che chi fa parte del gruppo non sia affetto da una nuova malattia, comporterà un rischio ridotto di contrarre un nuovo parassita.

 

Le culture collettiviste non si fidano di chi viene da fuori e raccomandano di evitare coloro che si trovano al di fuori della cerchia parentale/amicale/nazionale per prevenire l’esposizione a patogeni nuovi e pericolosi. Infine, i collettivisti mostrano forti atteggiamenti di riprovazione e sanzione quando un individuo va contro le loro norme sociali. Per esempio, quando le persone si discostano dal modo in cui viene preparato il cibo, o dai rapporti sessuali tradizionali, o dalle pratiche religiose, etc. Tali trasgressioni potrebbero esporre a agenti patogeni nuovi e minacciosi. Quindi, la norma sociale e la funzione di agenzie come la religione per farle rispettare è funzionale a evitare che i membri del gruppo siano negligenti e si ammalino di un nuovo parassita, che poi potrebbero trasmettere.

 

Le società individualiste promuovono l’autoaffermazione, piuttosto che preoccuparsi delle esigenze del gruppo. Queste culture sono emerse storicamente via via e là dove le pressioni dei parassiti diminuivano e si trovano principalmente in posizioni geografiche che sono molto meno colpite dai parassiti. A differenza dei collettivisti, gli individualisti fanno molto meno una distinzione tra chi è del gruppo e chi viene da fuori. Una peculiarità dell’individualismo è anche l’incoraggiamento attivo verso gli individui ad allontanarsi dalle norme sociali tradizionali.

 

Secondo l’ipotesi dello “stress da parassiti”, quindi, i governi autoritari non sarebbero meglio di altri nell’affrontare le epidemie, ma avrebbero maggiori probabilità di emergere in regioni caratterizzate da una elevata prevalenza di agenti patogeni che causano malattie. Del resto, la presenza di agenti patogeni concorre a causate condizioni che li mantengono, come povertà, diseguaglianze, meno istruzione, più violenza, etc. La prevalenza dei parassiti sembra fortemente predittiva delle differenze transnazionali riguardanti le misure che rilevano le personalità autoritarie degli individui nei diversi paesi: insomma, più individui con personalità autoritaria vuol dire più probabilità di un governo autoritario. Uno studio effettuato per testare l’ipotesi dello stress parassitario su un campione di società tradizionali su piccola scala ha mostrato che la prevalenza dei parassiti è predittiva delle misure di governance autoritaria e che questo vale anche quando il dato viene controllato statisticamente rispetto ad altre minacce al benessere umano. Di fronte alla pandemia in corso, la psicologa Michele Gelfland ha scritto sul Boston Globe che “le nostre aspettative culturali liberali subiranno un grande cambiamento nei prossimi tempi”.