Milano, Duomo riaperto ai turisti dopo la chiusura dovuta all’emergenza coronavirus (foto Claudio Furlan - LaPresse)

L'epopea del Lombardoveneto. E con il virus trionfano lo streaming e la commedia all'italiana

Michele Masneri e Andrea Minuz

Scontro a distanza tra Roma e Milano. La capitale morale del nord si ritrova fragile e impaurita, isolata e in quarantena. È la vittoria della romanissima amuchina, e degli eventi a cui nessuno voleva andare

Basta, è l’ora dell’ottimismo, finiamola con le polemiche. Dopo la settimana del #coronavairus, è ora di smettere di lagnarsi e cogliere invece ciò che di buono la prima peste dell’èra dei social ha portato al paese. Non c’è solo, infatti, l’impazzimento generale e la gran psicosi municipale. Vediamo subito gli aspetti positivi, perché l’Italia #nonsiferma.

 

 

Michele Masneri: Intanto è chiaro che la struttura istituzionale del paese va cambiata. Abbiamo assistito al coronavairus del titolo V, nel senso di quinto, della Costituzione, quello che vent’anni fa ha aperto le porte alle autonomie, alla sanità regionale. Così oggi è più che altro una gara tra le venti regioni e tra le regioni e il governo a chi la spara più grossa; la Basilicata chiude le frontiere, la Lombardia litiga con Roma, l’ Emilia Romagna con la Lombardia; Toti (Liguria) dice: abbiamo anche noi dei contagiati. Ma stanno ancora aspettando i test (la piccola Liguria non vuole essere seconda nella top ten dei contagiati). Il presidente delle Marche chiude le scuole per una settimana, anche se non hanno nessun contagio, il premier Conte lo blocca in diretta, il giorno dopo lo le Marche chiudono comunque. Il governo impugna la decisione. Mediazione di Mattarella. E’ come se vent’anni di demenziale federalismo misto agli ultimi sovranismi pazzoidi abbiano incubato una grande sindrome di demenza campanilistica.

 

Andrea Minuz: È un talent tra regioni, tutte in lotta l’una contro l’altra. Italia’s got Virus. Siamo in quel futuro apocalittico di Philip Dick con l’umanità rintanata dentro enormi formicai sotterranei, però con l’Antitrust, la Corte dei conti, la Guardia di Finanza. Il mondo intero in quarantena, ma prima gli italiani, i lombardi, i veneti, i marchigiani.

 


Carnevale di Ivrea sospeso per l'emergenza Coronavirus (foto LaPresse)


    

MM: Poi abbiamo assistito al grande ritorno del Lombardoveneto, termine improvvisamente tornato in auge, anche in funzione aggettivata. Con la chiusura della Scala e il ritorno del Lombardoveneto, siamo tornati in piena questione risorgimentale.

 

AM: “Isolato il ceppo lombardo”, come detto da un linguista o un filologo, un De Mauro, un Serianni.

  

MM: Viva Verdi! Meglio i Borboni! No, gli Estensi. Mentre l’anno prossimo si celebrano i 150 di Roma Capitale, siamo ancora ai principati. Però gli austriaci non sembrano tanto disposti a riprenderseli indietro, i Lombardo veneti, e chiudono le frontiere.

  

AM: Anche perché col coronavirus si rinvigorisce e di parecchio l’idea che gli italiani agiscano sempre “fuori protocollo”, come nell’ospedale di Codogno, come nella trattativa Stato-Marche. In Cina, si sa, chi nasconde i sintomi, contagia o peggio ancora esce dalla quarantena e se ne va a spasso si becca anche la pena di morte. Gli italiani invece non li tieni. Non rispondono agli ordini, fanno come gli pare. E specialmente in situazioni del genere vanno solo lì dove li porta il cuore. Tutte queste fughe da Codogno sono anche molto deamicisiane: i due fratelli insegnanti che scappano via coi mezzi pubblici e attraversano l’Italia per tornare a Lauro, provincia di Avellino, o la donna, anche lei professoressa a Codogno, che prende il volo Milano-Palermo per rientrare a casa in provincia di Messina, poi vengono a trovarli i parenti e finiscono in quarantena pure loro, poi la restrizione si allarga a tutto il condominio. Un disastro. Un formidabile road-movie batteriologico-pendolare tra “Cassandra Crossing” e “Il Sorpasso”. Forse erano anche docenti neoassunti da Renzi.

  

MM: i famosi “deportati nel Lombardoveneto”.

 

AM: C’è senz’altro questo ritorno difensivo a unità sempre più arcaiche: regioni, province, territori, cittadelle, quartieri, frazioni, strade, borghi, alla fin fine il pianerottolo, l’appartamento, la famiglia, tutti chiusi dentro a “ritrovare e approfondire i legami”, come dice il parroco di Codogno.

 

MM: E’ una nuova Italia risorgimentale. Però non vediamola in chiave negativa, lanciamo il brand #Lombardoveneto, che vale il 40 per cento del pil italiano, dicono gli imprenditori. Anche in vista del Salone del mobile. Certo il Paese reale, quello borbonico, quello delle basse velocità e delle palazzine, pare ribellarsi al nuovo efficientismo lombardoveneto e alla sua capitale, la Milano dell’alta velocità, delle basse cotture, del grattacielo, delle biblioteche vegetali e della rigenerazione urbana. È una nemesi, una vendetta del Dio delle Partecipazioni Statali, dio o semidio romano, tipo Aniene, che ha punito tanta übris. Intanto il Frecciarossa, l’unica cosa che funzionava in Italia, è collassato. A Lodi: non solo per la peste, ma anche per il disastro ferroviario. Il Frecciarossa 1000 che il 6 febbraio è finito fuori dagli scambi. La magistratura indaga, mentre i medici fanno controlli sanitari. Anche scene d’isteria, raffreddori che portano a blocchi del treno, interviene la Polfer. Comunque, un disastro.

 

  

AM: Non più “Snack dolce o salato?” ma “Amuchina o mascherina?”

 

MM: Qui andrebbe fatto un bell’inciso su questa leggendaria sostanza, che ha debellato varie piaghe nella storia d’Italia, a partire dalla tubercolosi e poi il colera. E’ prodotta dalla farmaceutica Angelini. Che ha sede a Roma, in un modernissimo edificio della Tiburtina Valley. La rivincita di Roma, ti rendi conto. La famosa sanità del Lazio! Si scappa invece da Milano. I lombardi anzi i lombardoveneti vengono respinti ovunque. E spiace davvero per Milano, che si stava godendo per la prima volta il decennio di gloria e di divertimento, senza nebbia ma con la luce, le palme, le biblioteche verticali e orizzontali. Rischiarata dal riscaldamento globale, illuminata dai grattacieli. Ora colpita proprio durante un suo rito primario, la fashion week.

 

AM: Comunque un po’ di sana messa in discussione della petulante bolla milanese non è detto sia un disastro, anzi. Qualche aggiustatina andava data. Crederci sempre, ma così tanto mai.

 

MM: Ma piuttosto: se il Salone del Mobile è stato spostato a giugno, il Fuorisalone quando si farà? Non si capisce molto, dati anche i precedenti dei bar chiusi (dalle 18), ma coi ristoranti aperti. Comunque Natalia Aspesi ha scritto un bellissimo pezzo su Milano negli anni della guerra, con la Scala chiusa, e i razionamenti. Niente code ai “super”, come si dice a Milano, perché non esistevano ancora, ma invece tessere annonarie per comprare il pane di carrube, che oggi peraltro potrebbe essere introdotto con gran successo, tra le pastemadri gluten free e i poke. Molto estivo, fresco. Perfetto per il Salone estivo.

 

AM: “Milano si scopre vulnerabile in questo lunedì in cui tram e metro sono vuoti, vero e proprio termometro della paura”, Tg1 delle 20, con toni da funerali di Piazza Fontana. Poi il cambio di passo, riaprite tutto! Fateci scendere! Ma è devastante in questi giorni il cambio di immagine della città dai calzini arcobaleno di Beppe Sala a Fontana con la mascherina in webcam che annuncia l’autoisolamento (anche senza mascherina poi non è che fosse un testimonial di Salute & Benessere). Tutto un lavoro di anni per trasformare Sala nel sindaco “influencer” (parola che a Milano adesso ha un suono assai sinistro) subito polverizzato dal “gesto” performativo di Fontana, come quando dicono “bruciati tre miliardi a Piazza Affari in una mattinata”.

 

  

MM: Positività! Positività! E’ il momento di difenderla, adesso, questa Milano, perché è venuta fuori tutta la sua fragilità. Anche con lapsus freudiani: il filmino #milanononsiferma, nella città della pubblicità e dell’immagine, pare un manufatto di uno studente dello Ied di Caltanissetta. E i “copy”: “Abbiamo ritmi impensabili”; “portiamo a casa risultati importanti”. Neanche Jerry Calà in Yuppies, quando si inventa “velatissimo”. E’ chiaro che stanno soffrendo. Bisogna aiutarli. Ecco perché occorre subito lanciare il brand #lombardoveneto. Per stemperare gli animal spirits milanesi, mentre si placheranno con la quarantena. E comunque guardiamo al bicchiere mezzo pieno. In fondo passata l’emergenza tanti son contenti, anche perché con l’accoppiata coronavirus e Carnevale ambrosiano si fanno minimo una settimana di vacanza, a Milano. Chi aveva interrogazioni o compiti in classe, esulta. Tanti eventi cancellati (cancellato anche un convegno sul coronavirus, a Vigevano, causa coronavirus).

 

AM: Ma questa pestilenza sarà anche un grande momento di “disruption”: in fondo stare a casa con Netflix e Glovo e la spesa all’Esselunga online era una cosa che si faceva già. Adesso però magari la si farà proprio senza vergogna, senza il senso di colpa per la libreria che chiude per colpa di quei cattivi di Amazon, o per i riders non contrattualizzati. In fondo questa è l’epidemia perfetta nell’epoca del delivery e del sexting. Per noi anche uno scatto di crescita decisivo. A Bologna grazie al coronavirus parte il nuovo piano di didattica online, sedute di laurea incluse, la Cineteca di Milano mette tutto il catalogo in streaming (era ora!) basta andare sul sito e ci iscrive gratis. Grande entusiasmo sulla pagina Facebook di una parrocchia a Pinerolo per le messe in diretta streaming, tipo RaiPlay con Fiorello, e poi spunta l’abbonamento al sito porno gratis per chi vive in quarantena. Un “vaste programme” di alfabetizzazione digitale del paese. Finalmente costretti a venire a patti con uno stile di vita globale, cosmopolita, aggiornato al 2020. L’epidemia ci mette con le spalle al muro, magari si comincia finalmente a “recepire” un po’ di modernità, senza le solite lagne per le lucciole, la piazza e le librerie del centro.

  

MM: Il Lombardoveneto sarà la nuova Silicon Valley! Ma si sa che i grandi eventi tragici modernizzano i paesi. Come in Downton Abbey: la prima guerra mondiale porta il telefono. Da noi il Coronavirus porta Skype. Così c’è grande entusiasmo per questo misterioso smart working che irrompe nelle case degli italiani. Gli italiani scoprono il lavoro da casa. Le grandi aziende invitano a rimanere a casa, le aziende che “doteranno delle più moderne tecnologie per i dipendenti”, tipo i computer. Smartworking è la parola dell’anno. Pagine intere sui quotidiani (che sono al 90 per cento scritti in smart working cioè a casa in pigiama, come noi qui adesso). Tutto in streaming! Si realizza il sogno cinque stelle e insieme si punta al futuro! Nel Lombardoveneto la messa la fanno in streaming e pure il primo cda delle olimpiadi Milano-Cortina, il sabba del Lombardoveneto, che porterà, dicono, introiti per 14 miliardi!

 

  

AM: E’ anche la rivincita dei freelance, dell’amministrativo in modalità “telelavoro”, del cassintegrato, che poi da noi son figure che si assomigliano e confondono un po’ tutte. Lo ha capito subito Alitalia che ieri ha messo in quarantena, pardon, in cassa integrazione, quattromila dipendenti.

 

MM: Vedi? Il Vairus come occasione di modernizzazione del paese. Vogliamo una compagnia di bandiera del Lombardoveneto.

 

AM: Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto facendo smart working?

 

MM: Vabbè. A Milano sono molto contenti della chiusura per coronavirus soprattutto quelli che lavorano negli open space, dove si sa che non si può dire una parola senza che ti sentano tutti, e per fare una riunione devi andare al bar o in bagno. Invece i vibrioni adorano l’open space, dove alligna il batterio. Molto felici anche i pendolari, quelli che stanno a Torino o a Brescia. I milanesi, forse per la botta di umiltà o per lo smartworking, paiono anche umanizzati. Lavorano in pigiama e sono chiaramente molto più efficienti, li sento al telefono in questi giorni. Si lavora benissimo in questi giorni. Il pigiama sarà l’uniforme ufficiale del lombardoveneto.

 

AM: Ma che ne sarà adesso invece di tutti questi grattacieli che continuano a costruire?

 

MM: E’ un problema. Se Milano e l’Italia scoprono lo smart working tutti a casa felicemente, niente traffico, niente smog. Abbiamo risolto. Più pigiami, meno polveri sottili. A Roma, invece, dove la popolazione è più anziana, saltano un sacco di conferenze stampa, convegni eventi, e cene, perché si teme l’infezione fatale. Dunque un sacco di tempo libero. In fondo, si sa, le più belle parole della lingua italiana, per dirla alla Woody Allen, non sono “ti amo!”, ma “è annullato!”.

 

AM: Come il modello Atac. Corsa annullata. Grande precursore dello smart working.

 

MM: Lì è più drastico. Un bello sciopero dei mezzi a Roma. Che però coi continui incendi sono già certamente sterili, per cauterizzazione. A Milano invece tram e metro già lindi vengono ripuliti e tirati a lucido. Ma chi invece non vuole proprio saperne di lavorare a casa (nostra) sono quelli che fanno le pulizie. Messaggi su whatsapp, “ci aggiorniamo”, non si fidano se ne stanno a casa (loro). Rumene e moldave e insomma quelle che tengono in piedi le nostre “società signorili di massa” (cit.) non vengono. Anche qua, la nemesi. Non si fidano. Tutta una disdetta che corre su whatsapp. Siamo soli, noi e le nostre amuchine. Invece mi dicono di ditte di pulizie che praticano subito sovrapprezzi per detergenti speciali causa Coronavirus.

 

AM: “Le associazioni di volontariato ci stanno segnalando tentativi di truffa da parte di finti volontari che telefonicamente o porta a porta propongono test domiciliari”, come recita il dispaccio della Protezione Civile di qualche giorno fa. A Montecitorio pare sia sparita tutta l’Amuchina che era sui lavandini all’ingresso dei bagni (Onestà! Onestà!), e poi l’anziano al supermercato di Desiano che starnutisce alla cassa e scappa via con la spesa (ed è subito “Soliti ignoti”, con Gassman finto medico e Capanelle che “sta ai domiciliari cor Coronavirus”). Con tali materiali gli sceneggiatori in pigiama potrebbero mettersi a produrre un po’ di Pil. Anche qui grandi opportunità.

 

MM: Si torna sempre alla commedia. Anche il fatidico trentottenne di Codogno è in fondo puro Alberto Sordi. “A me m’ha rovinato er coronavirus”. Descritto come sportivo, corridore, giocatore di calcio, non si sa come abbia fatto a infettare tutti. Lui è il “Paziente 1”. L’amico suo che doveva essere il paziente zero è sano come un pesce. Potrebbero essere Sordi e Franco Fabrizi in “Una vita difficile”. Dove stavi mentre scoppiava il contagio? A prendere un cappuccino. Il paziente 1, sportivo, corridore, ricercatore, insomma un paziente 1 come ci si aspetta dal lombardoveneto, aspetta anche un figlio (diventerà quindi anche genitore 1). Il genitore 2, la moglie, sta bene, la gravidanza va avanti senza intoppi, lei è “positiva al coronavirus ma asintomatica”. Il trentottenne di Codogno è poi assai infettivo: secondo il TgCom sei compagni di squadra del “Picchio Calcio” in cui gioca sono positivi (ma non gravi, verranno trattati a casa). Insomma non si capisce chi l’ha infettato, questo trentottenne di Codogno. Un utente commenta il TgCom: “spero che in futuro invece di andare in giro a fare l’Ape Maia stia a casa dalla famiglia”, dove l’Ape Maia forse insinua quello che nessuno dice ma tanti italianamente pensano; che cioè il fatidico contagio possa esser avvenuto non in Cina ma in territorio sovrano Lombardoveneto, sia pur per mano cinese, forse mano prezzolata (la notizia circola su vari giornali, oltre che negli spogliatoi della palestra collettiva, chissà). Lui per adesso non dice, non sa, non ricorda.

 

AM: “Lo smemorato di Codogno”, altro film da fare con Valsecchi.

 

  

MM: A Napoli, intanto – siamo chiaramente in un film a episodi già pronto – alcuni turisti dal chiaro “accento lombardoveneto” vengono aggrediti dalla popolazione al molo Beverello. Interviene la Polizia. Ritardi. Identificazioni. Partivano per Ischia, l’isola che ha bandito i Lombardoveneti (con ordinanza dei sindaci, subito annullata dal Prefetto). E pensare che l’isola era luogo sacro ai milanesi. Angelone Rizzoli aka “il cumenda” vi aveva terme e residenza fiscale, e l’hotel Regina Isabella. Proprietario del Corriere e produttore, lanciò Ischia coi suoi film, con lui arrivarono Charlie Chaplin, Ava Gardner, Liz Taylor e Richard Burton che vi girarono scene di Cleopatra. Fondò anche un ospedale, l’Anna Rizzoli, tuttora in attività: chissà se ci fanno i tamponi.

  

AM: Adesso invece Ischia proclama l’indipendenza. E’ il grande ritorno delle Repubbliche Marinare ma nella splendida cornice del Tar del Lazio. Il sindaco che vieta lo sbarco, il prefetto che annulla tutto, l’amministrazione impazzita, le decisioni che si contraddicono. Come nella trattativa Stato-Marche. Il coronavirus ci ricorda il gran casino amministrativo in cui viviamo con gran fatica ogni giorno, anche senza il “vairus”. Basta anche dover rifare la patente. L’eterna lotta di competenze, circoscrizioni, enti, ordinanze, permessi, licenze, ricorsi, i matrimoni e i funerali a porte chiuse a Vercelli ma non a Alessandria, le udienze con le finestre aperte a Bari vecchia ma non a Bari nuova, una gran fantasia di provvedimenti, come le nostre paste “acqua e farina” che cambiano denominazione tra un borgo e l’altro sulla stessa strada provinciale (almeno i formaggi dei francesi sono in effetti assai diversi). Intanto la Finanza piomba nelle sedi di Amazon e eBay per una bella indagine sul rialzo dei prezzi dell’Amuchina e una nuova, più calzante, “Mani pulite”. Molto bella anche la polemica per l’instant book di Burioni (con Rizzoli), scatenatissimi i detrattori soprattutto dopo la battuta sulla “maggica” (“Se mi danno pieni poteri per prima cosa sciolgo la Roma”), perché se po’ scherza’ su tutto, ma non sul campionato.

  

MM: Già, infatti l’ultimo motivo di scandalo è stato il fatto che un virologo abbia scritto un libro di virologia su un tema di virologia che interessa a tutti, proprio nel momento in cui interessa a tutti. Dove andremo a finire di questo passo? Faremo addirittura dei profitti? E le librerie storiche? Signora mia. Qua ci vorrebbe ovviamente il parere della Casalinga di Voghera, ma in sua mancanza c’è la “Commessa di Voghera”, la commessa quarantaquattrenne “paziente 1” della cittadina pavese, che lavora al centro commerciale e che è stata prontamente infettata e ricoverata. Se lo sapeva, i rischi che correva, avrebbe fatto anche lei lo smart working.

Di più su questi argomenti: