Woody Allen e Diane Keaton in una scena del film "Il Dormiglione" del 1973

La seduzione e la fine del mondo. Il sesso è un'apocalisse

Simonetta Sciandivasci

Credevamo che sarebbe stato il #MeToo a estinguere il desiderio. E invece sarà l’ambientalismo. Inventeranno qualcosa per farci amare, godere e sopravvivere nel luogo più sicuro e oscuro di tutti

Fregatevene di come mangia, cosa pensa, cosa vota (se vota), che aspetto ha, quante lauree ha preso, quanto trattabili sono i suoi genitori e i suoi amici, da chi s’è fatto spezzare il cuore e in quante parti. L’apocalisse potrebbe essere alle porte e l’unica cosa che conta è avere accanto qualcuno dotato di spiccate capacità di problem solving, talento nel cogliere l’attimo, prontezza, tendenza a sdrammatizzare, che come canta Gazzelle “è sempre meglio che amare, che è sempre meglio di odiare”.

 

La fine del mondo potrebbe essere alle porte e la sola cosa che conta è avere accanto uno dotato di capacità di problem solving

Non sarà più il piumaggio sfarzoso a premiare il pavone. Corteggiamento e seduzione finiranno nel novero delle vecchie, affascinanti, elitiste bizzarrie novecentesche. Don Juan de Marco, che a ventun anni aveva fatto l’amore con più di mille donne essendo per lui l’amore ciò che più contava al mondo, verrà (è stato già) spazzato via dalla storia, dal #metoo, da “Cat Person”, dal femminismo di quarta ondata non soltanto perché come ogni grande amatore maschio agiva da cacciatore anziché da guardiano del protocollo del consenso, ma pure perché la chiave per entrare in relazione con l’altro non sarà più il sesso, e men che meno lo sarà l’amore, che ha già smesso di essere l’obiettivo di una relazione, e il legame che, più di tutti, tiene unite le persone. Crediamo ancora negli incontri, naturalmente, e nel fatto che possano svilupparsi e crescere in molti modi, tutti corrispondenti alle esigenze che abbiamo di adattamento alla realtà, una realtà che alcuni di noi credono in accelerata mutazione e altri, invece, in corsa verso l’estinzione. L’apocalisse, appunto. 

 

Su Tinder, gli utenti si incontrano dopo aver giocato a “come trascorreresti le ultime ore sul pianeta terra?”

Tinder, l’app di dating tra le più usate al mondo, lo ha capito e per arginare la fuga di utenti che non si sentono più rappresentati dalla breve bio con foto filtrata, perché sanno che serve a procurarsi solo sesso e vita di coppia, ha creato un programma di incontro, una specie di videogioco, Swipe Night, che sulla base delle scelte che fanno i partecipanti su come si comporterebbero nell’imminenza di una catastrofe, li mette insieme e li fa “giocare alle ultime ore sul nostro pianeta”. Naturalmente, nell’idearlo, Tinder ha pensato “agli utenti più giovani, che sono molto sensibili alle problematiche ambientali” e il problema della fine del mondo se lo pongono davvero (a guidare il team c’è Karena Evans, che ha diretto molti video di Drake e soprattutto ha ventitré anni). Ha scritto Wired Usa che Swipe Night consente di capire ciò che più conta per le persone, e per le persone del futuro, coloro che erediteranno la terra e adesso scendono in piazza per i ghiacciai, gli orsi polari, i rinoceronti bianchi, l’Amazzonia che brucia, l’Atlantico soffocato dalla plastica, l’inverno surriscaldato, il sesso non conterà quanto ha contato per noi, che lo revisioniamo, riduciamo, imbavagliamo, processiamo, storicizziamo e de-storicizziamo, sacralizziamo e de-sacralizziamo, senza renderci conto che più probabilmente, in futuro, non sarà una priorità per nessuno. I millennial scopano, amano, si sposano molto meno di chi li ha preceduti, ma di sesso, amore e relazioni non hanno mai perso la voglia: hanno complicato il modo di ottenere tutte e tre le cose fino a rinunciarci, per la troppa fatica, per la frustrazione, per lo smarrimento, e inventando un milione di traumi che giustificassero l’abbandono della nave, che tuttavia continuano a guardare, desiderandola con un ardore tutto imploso. La generazione successiva, gli ecologisti della Generation Z, invece, più verosimilmente non si porranno neppure il problema. Se saranno adolescenti turbolenti, erotomani, incontrollabili, costantemente sobillati dai mostri degli ormoni – come in Big Mouth, la serie Netflix che racconta l’incontenibilità dell’impulso sessuale a quindici anni – è difficile dirlo, e forse dipende da quello in cui decideremo di credere: se il sesso è più antropologico che biologico, e se quindi se ne possono rideterminare i modi, le conseguenze, gli impatti, o viceversa è una forza della natura, indomabile e imprevedibile, che non possiamo sperare di addomesticare se non in piccola parte. 

 

 

Mentre i millennial si scervellano su come flirtare e far coincidere genere e identità sessuale, ai GenX frega soltanto del pianeta

Le coppie che si formeranno grazie a Swipe Night finiranno a letto o in piazza a manifestare di venerdì o (auspicabile) entrambe le cose? Che idea di mondo scopriranno di condividere e, quindi, di voler concretizzare collaborando, unendosi, in fidanzamenti magari poligamici, e genderfluid? Noi qui a far fruttare due anni di #metoo interrogandoci su come insegnare ai maschi, specie a quelli di domani, la maniera più rispettosa di avvicinare una donna, corteggiarla, sedurla, toccarla senza infrangerne il safe space, la dignità, la vulnerabilità, l’equilibrio post traumatico (un tempo avevamo tutti un blues da piangere, adesso al posto del blues c’è un trauma), senza dubitare minimamente che il problema potrebbe non porsi o, meglio, porsi in maniera del tutto differente, perché differente sarà la nostra prospettiva di vita, e il suo senso. Se resteremo dei piccoli isolazionisti, individualisti, antropocentrici avremo il tempo, la voglia, la capa fresca per fare e disfare nevrosi, rieducare gli istinti, ripensare le sovrastrutture, decentrare il sesso e spogliare il genere del suo valore identitario. Se, invece, diventeremo un’umanità in lotta per la sopravvivenza della specie e delle specie, potrebbero accadere cose che, per ora, immaginiamo solamente nelle peggiori distopie (o migliori utopie, dipende dai punti di vista).

 

Cosa deve essere reciso e cosa deve essere legato affinché la multispecie che abbonda nel mondo possa non estinguersi?

“Bisogna essere presenti nel mondo in quanto creature mortali interconnesse in una miriade di configurazioni aperte fatte di luoghi, epoche, questioni e significati. Cosa deve essere reciso e cosa deve essere legato affinché la multispecie che abbonda sulla Terra, e che include gli esseri umani, possa avere una chance?”. Scrive così Donna Haraway nel suo “Chthulucene – Sopravvivere su un pianeta infetto” (Nero edizioni), che è un libro più pazzo del titolo, e molto fedele al sottotitolo, e ragiona, dati (e forse pure un po’ di allucinogeni) alla mano, su una bizzarra proposta per garantire non semplicemente la sopravvivenza del pianeta, ma una sua vita nuova, rinnovata, più libera, più felice. Come? Facendo parenti, non figli. Make kin, not babies. Presa alla lettera, e senza ricorrere al “femminismo speculativo” a cui Haraway si richiama, e senza tenere presente che lei stessa è consapevole di immaginare “presenti poco plausibili ma reali”, quest’idea non sembra che il delirio di un ubriaco. Invece, alcune suggestioni sono interessanti, se partiamo dal presupposto che per parentela Haraway intende un legame che si genera attraverso delle connessioni inventive, nessuna delle quali (o quasi) prevede il sesso per nascere e germogliare. Esistono, a grandi linee, due modi di pensare una difesa e una reazione ai disastri demografici e democratici che l’Antropocene e il Capitalocene hanno prodotto. Uno è quello di chi si fida della capacità riparatrice della tecnologia, ritenendo che ci tirerà fuori dal guado, dall’apocalisse, dal fatto che nel 2100 saremo undici miliardi e forse per sfamarci non basteranno tutte le cimici fritte del pianeta. L’altro è quello di chi ritiene che il disastro sia irreversibile e che niente serva a niente, se non a sollevarci la coscienza (è più o meno quello che sostiene Franzen ne “La fine della fine della terra”: bello, bellissimo questo ecologismo nuevo, peccato arrivi in ritardo, bacioni). Haraway, però, non ci sta a “soccombere a una futuribilità astratta, con la sua inclinazione alla disperazione suprema e le sue politiche di estrema diffidenza”, e quindi dice che dovremmo prepararci ad “aprirci a collaborazioni e combinazioni inaspettate, essere pronti a far parte di cumuli di compost”. Sta dicendo che dobbiamo allenarci a diventare immondizia compostabile e poi terriccio per basilico sulle terrazze delle palafitte dove i gretini abiteranno? No. Sta dicendo qualcosa di peggiore e cioè che dovremmo (dovremo?) essere disposti a elaborare una “libertà riproduttiva femminista”, che ci consenta di accoppiarci con altre specie. Dovremo andare a cena con i tonni rossi, e poi farci l’amore, e poi farci dei figli? Non esattamente. Innanzitutto, scordatevi l’amore: nel post Antropocene, cioè il Chthulucene, “come pratica per generare parentele nel corso della vita viene elaborata e celebrata l’amicizia”. E scordatevi il sesso: i “bambini del compost” s’ottengono iniettando “materiali cellulari” di un animale in fase di trasformazione, per esempio una farfalla durante la schiusa, in un essere umano, anch’esso in una fase particolarmente ricettiva e pronta al cambiamento, come lo sviluppo fetale, l’allattamento o l’adolescenza. E così s’ottiene il simbionte, l’umano non soltanto umano e l’insetto non soltanto insetto, che popoleranno un favoloso mondo di interspecie, alla faccia delle apocalittiche, cupe visioni del post umanesimo. Vi fa rabbrividire, naturalmente. Tuttavia, questi simbionti non avranno il problema delle molestie, del confine tra sì e no, della bellezza, della bruttezza, della fertilità, dell’orologio biologico, della denatalità, del genere sessuale, dell’identità sessuale, della genitorialità, della genitalità insomma di tutto quello che, in questo momento, rappresenta per noi un’enorme, probabilmente indistricabile matassa di guai, debolezze e responsabilità. 

 

Costruire parentele generate da connessioni inventive anziché far figli è la proposta utopica/distopica del femminismo speculativo

Immaginiamo questi due ragazzetti, magari non proprio adolescenti, magari appena laureati, che mangiano un gelato insieme, per la prima volta uno di fronte all’altra, dopo aver giocato su Tinder alla fine del mondo insieme per diverse settimane. Il gelato finisce, lui non le conta i capelli per vedere se ci si può fidare e non si sente morire guardandola e pensando a quant’è bella, perché la bellezza sarà forse diventata trascurabile, e le dice che ha molto apprezzato quella volta che il suo avatar ha organizzato un assalto al Palazzo d’Inverno, perché anche lui ha sempre pensato che, prima di morire, avrebbe tanto voluto farlo. Lei gli risponde che, da parte sua, è rimasta molto impressionata quella volta che mancavano cinque minuti a una collisione letale con un gigantesco meteorite e lui ha preso a cantare “La sera dei miracoli”, quella canzone di Camilla Musso di “X-Factor”, ah no, scusami, era di Lucio Dalla, ma siamo sicuri, aspetta, googliamo.

 

I simbionti non avranno il problema delle molestie, del consenso, della bellezza, della seduzione, della genitorialità

Così andranno i flirt, così cercheremo la donna della vita o l’uomo della morte. Woody Allen, in fondo, lo aveva previsto: ricorderete senz’altro quella scena di “Io e Annie” quando, nella teoria di idioti che Diane Keaton frequenta prima di incontrare lui, spunta fuori uno molto bello con la camicia bianca stropicciata, un Massimo Ciavarro bohémien, che le domanda: “E tu, come vorresti morire?”. Lei ride, abbassa gli occhi, dice che lo sa, gli chiede, e tu? Lui, che naturalmente non vede l’ora di dirglielo, chissà quanto ci ha messo a studiare la risposta perfetta, sibila uno “sbranato da un branco di leoni feroci”. Era il 1977 e ne abbiamo riso fino a ieri. Domani ci potrebbe capitare di finire a cena con uno così, uno con cui la cosa più pericolosa che può capitarci è che ci faccia quella domanda lì, e sarà bene studiare una risposta avventurosa. Non usciremo mai più di casa senza sapere come vogliamo morire, né senza il piano perfetto su come trascorrere al meglio le ultime quattro ore della nostra vita sulla terra.

 

E se non dovessimo riuscire a scegliere, a pensare, perché immaginarci dead man walking ci terrorizza, ci blocca, ci manda ai matti, possiamo ricorrere a una dominatrice. Questa settimana il Guardian ha raccontato che sempre più persone lo fanno e non per soddisfare perversioni sessuali di cui non osano neppure parlare con compagni, amici, amanti, come è stato finora, bensì per farsi dire cosa fare, cosa decidere. “Ho capito a un certo punto che non avevo bisogno di qualcuno che sapesse cosa stavo facendo, ma qualcuno che mi dicesse esattamente cosa avrei dovuto fare: ho piantato la psicoterapeuta, che a un certo punto mi sono accorto di sforzarmi di intrattenere perché non avevamo quasi niente da dirci, e ho assunto una dominatrice. Ero in un periodo di forte stress lavorativo, e la prima cosa che mi ha ordinato di fare è stata smettere di rispondere alle telefonate di mia madre”, ha raccontato sul Guardian Sofia Barrett-Ibarria. Esistono uomini che pagano donne molto spietate, inamovibili, severissime, per farsi picchiare, calpestare la faccia con un paio di Louboutin, gonfiare palloncini sullo sterno, farsi dire come spendere tutto lo stipendio del mese in una settimana (è una consolidatissima pratica feticista, si chiama Money Slave) e, adesso, esistono anche uomini e donne che pagano una dominatrice per avere un servizio di life coaching, con tanto di punizioni corporali e/o psicologiche in caso di negligenza. “A differenza di tutti i miei psicoterapeuti, la mia life coach dominatrix non ha paura di ferire i miei sentimenti e non ha alcuna pietà né tempo per i miei errori, è brutalmente onesta. Sono felice di pagarla per avere la sua attenzione, il suo incoraggiamento e il suo castigo”. Persino dalla strumentalizzazione del sesso è scomparso il sesso: è l’ennesimo taglio, nel tempo in cui tagliare è risolvere ed eliminare è agevolarsi, perché il mondo non si affronta, ma si sopporta, quindi quanto più si sta leggeri tanto meglio è. Le complicazioni del sesso e della seduzione sono diventate un fardello enorme che, in due anni esatti di #metoo, non possiamo non dire di aver fatto di tutto per appesantire e se sarebbe scorretto dire che le istanze del sesso ecologista apocalittico sono un modo per alleggerirlo, non sarebbe altrettanto scorretto dire che, della stanchezza conseguente, porta almeno il segno.

 

Un’umanità liberata dal sesso, dal genere, dal numero, dalla coppia, dalla famiglia, sarà effettivamente un’umanità più risolta e, quindi, più lucida nell’affrontare il futuro, e più responsabile nel vivere il presente? Una seduzione liberata dal telos della riproduzione ci consentirà davvero di esplorare e praticare un modo molto fantasy e però efficace di popolare il mondo? Il patriarcato detronizzato eliminerà la violenza sui corpi? Le mentalizzazione e medicalizzazione delle pulsioni sessuali ci spingerà a cercare altre fonti per soddisfarle o finirà con il diventare l’eutanasia dell’edonismo? Una delle distopie possibili, assai prima dell’accoppiamento con farfalle e piccioni a mezzo “mescolanza di cellule” ipotizzato da Haraway, è che le sole a poter godere siano le donne. Nel suo sketch per il Saturday Night Live della scorsa settimana, Phoebe Waller-Bridge, autrice e attrice di Fleabag, racconta con grande soddisfazione che è un momento fortunato per la disinibizione sessuale, a patto che si sia donna: se sei maschio e hai più di una fantasia erotica e, per giunta, osi anche dirlo pubblicamente, tutti penseranno di te che sei un maniaco criminale, rischierai la gogna perpetua e, in fondo, meriterai il rogo. E’ successo questo, soprattutto, in questi due anni: la ridiscussione della rivoluzione sessuale, la denuncia della molestia come mezzo del potere che governa il lavoro e quindi il mondo, l’addossamento delle colpe di tutto o quasi tutto alla struttura patriarcale della società ha diviso l’umanità in donne da liberare senza se e senza ma, meritevoli di fiducia in quanto donne, e quindi congenitamente dotate di impulsi vitali e sessuali sempre e soltanto positivi, e uomini che devono ritrarsi, rivedersi, riscoprirsi, analizzarsi, disintossicarsi, curarsi, pentirsi, disimparare tutto quello che hanno sempre creduto di sapere sul sesso e ascoltare quello che finalmente osano dire le donne: dove vogliono essere toccate e quanto e come e perché, quanto vogliono essere amate, coccolate, viziate, lasciate in pace, di che dimensioni è il loro spazio di sicurezza e cosa rischia chi s’azzarda a violarlo. Le nuove regole, questo codice di condotta sessuale a tutela della sensibilità femminile e delle sue scoperte e delle sue voglie e delle sue fragilità e del suo riscatto, valgono a letto e fuori dal letto, in ufficio e sul set, mentre si cucina e mentre si dipinge, mentre si chiacchiera e mentre si scrive un romanzo. Non esiste uno spazio di libertà dal codice, specie per gli uomini. Faceva notare qualche mese fa il Guardian che l’erotismo sta scomparendo dai film, a meno che non siano film erotici o pornografici: succede perché è diventato così facile turbare il pubblico, scatenare l’indignazione collettiva per aver cavalcato uno o più stereotipi che avallano il macismo suprematista bianco che i registi, pur di evitare guai, s’astengono dal girare hot scenes. Non che nel porno sia tutto concesso. Anzi. In questi giorni James Franco è stato accusato, per la seconda volta, di aver molestato alcune studentesse della scuola di recitazione che lui stesso ha fondato, durante il corso sulle scene di sesso: a detta delle ragazze, con la scusa di spronarle alla performance perfetta, sentita, calda, lui avrebbe abusato di loro, calpestato il loro “safe space”. L’avvocato dell’attore, che respinge tutte le accuse, ha già reso nota quale sarà la sostanza della sua linea difensiva: non c’è modo di tutelarsi dall’imbarazzo, dalla goffaggine, dal terrore, quando si recita, specie se nudi, in una scena di sesso. Un regista ha il compito di far superare quell’imbarazzo ai propri attori e un attore di non sentirsi, per questo, abusato. Naturalmente, capite bene che la questione pone un enorme problema di confini, sfumature, sì, no, estetica, etica, talmente enorme da essere irrisolvibile in un dibattimento pubblico e men che meno in un processo. Se c’è una cosa che dobbiamo riconoscere al #metoo è che ha reso palpabile la complessità della definizione della molestia e dell’abuso, sebbene con il risvolto puritano e ossessivo che abbiamo ormai imparato a riconoscere, e probabilmente anche a mettere tra parentesi per non lasciare che infici l’obiettività delle valutazioni.

 

Nel post Antropocene, cioè il Chtulucene, la pratica per “generare parentele nel corso della vita è l’amicizia”

Sempre il Guardian scriveva ad aprile scorso che il successo di “La La La Land” è stato dovuto soprattutto al fatto che ha raccontato una storia d’amore dove nessuno prende il sopravvento, e l’attrazione non è mai scomposta, fatale, eruttiva: resta una tensione e in questo modo non turba nessun parametro etico-morale di questo nuovo conservatorismo riparatore. Sui set cinematografici esistono ormai precise figure che controllano che agli attori non venga chiesto niente di più di quello che viene pattuito per contratto, e questo sì che rischia di compromettere l’espressione artistica. Per fortuna, almeno per un altro po’, avremo sempre la disintermediazione e i peggiori di noi potranno sempre godersi un porno non filtrato su YouPorn.

 

Noialtre che quando eravamo selvatiche altro che l’America (cantavano i Negrita anni fa), potremo continuare a esserlo ancora e di più, accompagnate o sole, raffinate o animalesche, belle per noi e non per chi vuole adescarci, libere d’essere tutto, anche brutte, soprattutto brutte: il body positive è e sarà il nostro imbattibile avvocato. Non ci sarà sempre “una donna che ti aspetta, sdraiata sul cofano dell’autosalone”, e non dirà “prendimi maschiaccio libidinoso coglione non più a gas ma a cherosene”. Rino Gaetano si sbagliava, specie per il cherosene, e anche per il maschio. Ameremo il sembionte, preparate come siamo dal grande spettacolo delle deformità a cui, in questi anni, abbiamo dovuto assistere senza poter voltare la testa, fingendo d’accettare con entusiasmo l’idea che deformità e bruttezza siano mezza bellezza. E figurarsi se ci schiferà limonare con un uomo piccione.

Di più su questi argomenti: