Beppe Grillo a Roma, nel febbraio 2019 (foto LaPresse)

Qui Liguria

La campagna che Grillo non vuole fare

Valerio Valentini

Sansa senza senso. Ora è il Pd di Orlando l'unico a difendere la candidatura del giornalista del Fatto. Il vertice decisivo, il blitz dei parlamentari del M5s per chiudere la trattativa alle spalle di Crimi e Di Maio. E ora?

La versione ufficiale, accreditata dal giro dei fedelissimi di Luigi Di Maio, è che il messaggio dell'Elevato sarebbe stato recapitato a un senatore, e da lì diramato alle truppe. "Ragazzi, Beppe è arrabbiatissimo: dice che per Sansa non si spenderà, non farà campagna elettorale". Storia di vecchie ruggini, a quanto raccontano i pettegolezzi genovesi, di vicinato molesto: una recinzione contesa tra le ville contigue, sulla collina di Sant'Ilario, un litigio per una piscina che il comico avrebbe costruito non proprio a norma, con conseguente minaccia di denunce ed esposti in procura, gli sguardi torvi che rimbalzavano tra una finestra e l'altra dei dirimpettai. Robe da folklore paesano, da fantozziane liti di condominio: e poi ovviamente la durezza di quegli articoli con cui Sansa, commentatore irreprensibile sul Fatto Quotidiano, denunciava l'obbrobrio antidemocratico del 2017, quando Grillo invalidò per un suo capriccio le consultazioni online che avevano promosso Marika Cassimatis candidata sindaco a Genova, per individuare un portavoce più gradito dal Beppone, e cioè Luca Pirondini. Sansa ci andò giù duro, prese le parti dei grillini dissidenti che facevano capo alla Cassimatis e a Paolo Putti, altro attivista duro e puro poi messo alla porta dal M5s ligure, forse anche memore di quando, tre anni prima, Grillo lo aveva già stoppato una prima volta, quando il suo nome era stato acclamato dalla base grillina di Genova e dintorni come candidato per le regionali. Non se ne fece niente. 

 

Il vertice decisivo. Il blitz alle spalle di Grillo e Crimi

E allora si spiega perché stavolta i portavoce grillini, evidentemente desiderosi di allearsi col Pd, abbiano scelto di agire nell'ombra. E la candidatura di Sansa è stata confermata, per paradossale che possa sembrare, alle spalle di Beppe Grillo e dei vertici del M5s. Vito Crimi, d'altronde, era stato perentorio con Ettore Rosato, stratega renziano alla Camera, la scorsa settimana: "Chiudiamo su Paolo Bandiera", aveva sentenziato il reggente per caso del M5s, confermando le indiscrezioni su quell'avvocato 51enne, romano di nascita ma genovese di adozione, direttore degli Affari Generali dell'Associazione italiana sclerosi multipla. Poi, però, due giorni fa, il vertice decisivo. Erano le otto di sera, quando i dirigenti liguri di tutta la variegata galassia del centrosinistra e del M5s si sono dati appuntamento in videocall. Ad aprire la trattativa è stato Giovanni Lunardon, capogruppo del Pd in regione: "Per noi Bandiera è un ottimo nome". Ma a quel punto, ecco che Luca Pirondini, consigliere comunale a Genova del M5s, ha sparigliato le carte: "No, noi vogliamo Sansa". Raffaella Paita, esponente di Italia viva in Liguria, a quel punto ha dato in escandescenza: "Non erano questi i patti. Io me ne vado a cena". E allora Simone Farello, segretario regionale dem, ha chiuso i giochi: "Ci dispiace per chi non ci sarà. Ma a noi Sansa va benissimo. Da domani tutti al lavoro per la campagna elettorale".

 

E non credeva, evidentemente, che l'indomani a piantar grane non sarebbe stato Matteo Renzi (che, del resto, l'idea di andare da solo in Liguria non l'aveva mai accantonata davvero), ma il M5s. Dove è subito partito il processo interno ai responsabili della trattativa: il deputato Marco Rizzone, il sottosegretario ai Trasporti Roberto Traversi, il consigliere regionale Andrea Melis e lo stesso Pirondini. Chi ha dato loro mandato per chiudere su Sansa? Di certo non Crimi, che si sente scavalcato. E neppure Luigi Di Maio, che il suo veto sul giornalista del Fatto Quotidiano lo aveva espresso, riservatamente ma non troppo, già da tempo. Quindi il messaggio di Grillo, a dare corpo e risonanza alla rabbia di chi, pur essendo il padre nobile del M5s, si sente d'improvviso esautorato. 

 

La scelta di Sansa, i sondaggi che hanno convinto Orlando

E insomma, in questa commedia degli equivoci un po' grottesca, alla fine succede che a restare arroccato a difesa di un giornalista del Fatto c'è solo il Pd: quel partito, cioè, a cui Sansa ha raccontato per anni come un accolita di cementificatori responsabili dei peggiori abomini della Liguria. Andrea Orlando, che di tutta questa trattativa è stato un po' il dominus occulto, dalla sua La Spezia per giorni ha dovuto spiegare ai suoi uomini in regione, e non solo a quelli, il senso dell'operazione: e allora raccontava dei sondaggi commissionati per mesi, in cui Sansa comunque risultava un candidato apprezzato dal 44 per cento degli intervistati, e di gran lunga il più conosciuto e riconoscibile dei civici passati al vaglio. Esclusi Anna Maria Furlan e Maurizio Mannoni, rimasti per settimane il mezzo al guado dei retroscena e poi trangugiati dal tritacarne mediatico, restava Aristide Massardo, l'ex preside del dipartimento di Ingegneria dell'Università di Genova. Troppo moderato, però, troppo centrista: avrebbe aperto un'emorragia a sinistra, con la formazione di un polo radicale attestato intorno all'8 per cento. Un po' lo stesso film andato in onda cinque anni fa, quando la candidatura del cofferatiano Luca Pastorino di Sel tolse alla Paita quel dieci per cento che le avrebbe permesso di battere Giovanni Toti. Il quale, in tutta questa vicenda, è l'unico che osserva divertito, coi pop corn in mano. Lui, e forse anche Di Maio, che da quando ha mollato la guida del M5s assiste al caos interno con un vago, inafferrabile ghigno di soddisfazione. 

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