(foto LaPresse)

Come funziona "il modello Calenda" per riaprire l'Italia (a tappe)

Luca Roberto

Un coordinamento con le amministrazioni locali e le opposizioni. Un cronoprogramma da sottoporre a test. L'ex ministro spiega al Foglio cosa bisognerebbe fare per uscire dall'emergenza. "Ma adesso sparare una data non ha alcun senso"

Riaprire il paese, a partire dalle fabbriche, già prima di Pasqua, per evitare che “i balconi si trasformino in forconi”. Era questa la richiesta che Matteo Renzi ha formulato un paio di giorni fa in un’intervista ad Avvenire. E che subito gli ha attirato gli strali di gran parte della comunità scientifica, a partire dal presidente del Consiglio superiore della Sanità, Franco Locatelli, secondo cui i dati del rallentamento del contagio dimostrano che “le misure di isolamento stanno funzionando” e per cui dovrebbe essere scontata la proroga per almeno altre due settimane. “Diciamo che quella sparata da Renzi è una data che non tiene conto di tutta una serie di cose che andrebbero fatte nel frattempo per garantire alle aziende di aprire in condizioni di sicurezza”, dice al Foglio Carlo Calenda, che nel pomeriggio di oggi ha proposto uno schema organizzativo che si occupi di studiare nel dettaglio un cronoprogramma di apertura a tappe del paese

 

  

“Per prima cosa devi capire cosa ti serve per riaprire. Se fai una scelta selettiva, ad esempio favorendo il termine della quarantena per i più giovani, poi ti devi assicurare di avere un sistema che serva le persone anziane che rimangono a casa. Così come se vuoi far ripartire le fabbriche, devi avere il modo di rifornire le aziende di mascherine, di tamponi, e sapere come e quando processarli” dice Calenda. Il modello proposto dall’europarlamentare prevede l’istituzione di una cabina di regia di cui, oltre ai rappresentanti di regione e dei comuni, dovrebbero far parte anche le opposizioni, “altrimenti finirebbero per fare campagna elettorale per mesi”. Quest’organo verrebbe coinvolto in fase consultiva, il passaggio successivo sarebbe appannaggio di un coordinamento organizzativo “gestito da un manager, Giovanni Cagnoli di Bain & Company e Vittorio Colao andrebbero benissimo”, e di uno sanitario, per cui Calenda ha proposto Walter Ricciardi.

 

Il piano prevede che si lavori secondo scaglioni predeterminati. “Nei primi sette giorni dovrebbero essere stabiliti, tramite dei cantieri tematici, quali sono gli obiettivi per poter riaprire: costruire una filiera logistica che ti permetta di distribuire le mascherine, implementare una strategia di apertura selettiva sia territoriale che anagrafica”. A questo punto in 14 giorni la macchina dovrebbe essere in grado di allestirne le condizioni, al termine dei quali si potrebbe, dice Calenda, “partire con dei test. In questo modo avresti la possibilità, in caso di esiti positivi, di replicare il modello d’intervento su scala più ampia o in territori colpiti dal virus in modo speculare”. 

  

Secondo l’ex ministro dello Sviluppo economico così facendo la discussione diverrebbe maggiormente focalizzata su problemi che altrimenti corrono il rischio di rimanere troppo astratti. “La restrizione della privacy, l’utilizzo di applicazioni che ci permettano di tracciare i contatti delle persone, sono discorsi molto complessi. Se non li affronti da subito e non ti dai delle scadenze precise rischi che le settimane passino senza sapere come uscirne. Anche perché costringere la gente a restare a casa è facile: basta fare un decreto. E’ quando bisogna lavorare proattivamente che vengono fuori le lacune del sistema italiano: una mancanza totale di capacità gestionale”.

 

Lavorare per ritornare cautamente e con criterio a condizioni di semi-normalità, quindi, ma “senza imporre delle date che non hanno alcun senso. Quello che Renzi, ma anche altri, non hanno capito, è che il tempo di riapertura dipende da quello che fai. Anche perché se non sei stato in grado di rispettare gli obiettivi che ti sei dato per riaprire paese, rischi di doverlo richiudere dopo qualche settimana”.