Matteo Renzi ospite di Porta a Porta (LaPresse)

Renzi: “Così si riapre l'Italia”

Claudio Cerasa

Prevenire il collasso sociale del paese. Dare la possibilità di lavorare a chi è in sicurezza già prima di Pasqua. Difendere l’Europa dagli sciacalli. Riconoscere lo scenario da incubo per le dottrine populiste Chiacchierata con l’ex premier

Lo conferma? “Sì, lo confermo”. Conferma che è ora di riaprire? “Confermo che è ora di ripartire”. Lo conferma anche se studiosi, scienziati, virologi, esperti dicono che non è ancora ora di ripartire? “Certo. Io faccio politica e ho il compito di indicare una strada, non di gestire il giorno dopo giorno. Confermo dunque che è ora di ripensare alla ripartenza. Non so, onestamente, se l’Italia possa essere considerata un modello rispetto al modo in cui si è fatta trovare pronta di fronte all’arrivo del virus. In cuor mio penso proprio di no. So con certezza però che se l’Italia non comincerà a pensare già oggi a come ripartire i danni generati dalla distruzione della nostra economia potrebbero avere sull’Italia un impatto non meno devastante rispetto ai danni prodotti dal virus”. Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd, leader di Italia viva, conferma tutto e chiacchierando a lungo con il Foglio spiega in che senso l’Italia non può permettersi di restare a casa aspettando di trovare una cura definitiva per il virus. Ragiona su questo, Renzi, ma ragiona anche su altro. E concentra la sua attenzione non su quando tutto finirà, “perché nessuno sa quando tutto questo finirà”, ma su quando dovremo cominciare a vivere abituandoci al limbo, a questa zona grigia che potremmo definire come la stagione del “durante”.

 

E dunque, dice Renzi, non si tratta di essere irresponsabili, di voler essere al centro della scena, di voler far notizia a tutti i costi. Si tratta solo di avere il coraggio di dire le cose come stanno e di spiegare perché, dice il senatore, “non è necessario aspettare di arrivare a Pasqua per entrare in questa nuova stagione”. Durante. “Io penso che sia necessario ragionare intorno alla fase eccezionale che stiamo vivendo definendo tre categorie temporali. La prima categoria temporale è relativa a quello che è stato, ovvero al prima, e un paese che ha registrato un numero di morti così elevato come il nostro, diecimila e più, è un paese che ha il dovere, come minimo sindacale, di chiedere una commissione di inchiesta per capire cosa è andato storto tra gennaio e febbraio. Che cosa non ha funzionato, chi ha fallito”.

 

Una commissione di inchiesta? Un’altra? “Se non la fai quando ci sono diecimila morti, quando la fai? Non si tratta di trovare capri espiatori, anche se è innegabile che ci sono alcuni modelli come quello del Veneto che hanno dato risposte più efficaci di altri, ma si tratta di andare alla radice dei problemi per evitare che nel futuro possano essere commessi gli stessi errori compiuti in quelle settimane decisive, tra gennaio e febbraio, in cui gli esperti ci dicevano che il virus sarebbe arrivato presto da noi e in cui noi non abbiamo fatto, temo, tutto ciò che sarebbe stato necessario fare per non farci trovare del tutto impreparati. Le polemiche però vanno messe in quarantena, e non mi stancherò mai di ripeterlo, e per questo ciò di cui vorrei occuparmi oggi ha a che fare con una fase diversa in cui l’Italia potrebbe e dovrebbe diventare un modello: siamo entrati in crisi prima degli altri, possiamo uscire dalla crisi meglio degli altri”.

 

E come? “Io immagino la stagione in cui il mondo, e l’Italia, uscirà dall’incubo del coronavirus come una stagione importante, dinamica, ricca di energia. L’epoca era ovviamente diversa ma alla metà del XIV secolo, intorno al 1348, subito dopo l’arrivo della peste i fiorentini seppero ripartire costruendo il Rinascimento e penso che anche il nostro paese e il nostro continente quando tutto finirà potrà vivere una stagione di grande riscatto. Di grande fioritura. Ma a quella stagione occorre arrivarci e per quanto si possa essere ottimisti, e io lo sono, forse a volte fin troppo, oggi non riesco a essere così ottimista perché non vedo i presupposti per affrontare il presente, per prepararci al durante e arrivare al dopo. E allora lo dico in modo chiaro. Ogni giorno che terremo l’Italia chiusa più del dovuto è un giorno in più in cui rischiamo di condannare al declino il nostro paese”.

 

Il governo però non sembra avere ancora intenzione di riaprire. Si parla di ragionarne dopo Pasqua, dopo il 12 aprile, ma non ci sono certezze, i numeri dei nuovi contagiati sono lontani dalla soglia che tutti aspettiamo, un contagiato che contagia al massimo un’altra persona, e riaprire ora non si capisce che cosa voglia dire. Come si fa? “Il governo deve dare le date adesso. Gli italiani sono stati bravissimi ma i balconi rischiano di divenire forconi se non diamo un senso a questa clausura. Significa che bisogna iniziare a riaprire qualcosa già prima di Pasqua e lo dico perché esistono moltissime aziende che potrebbero lavorare seguendo le regole di sicurezza, mantenendo la distanza tra le persone, utilizzando le mascherine. E lo dico anche perché tenere chiuso ciò che potrebbe essere aperto è un modo come un altro non per preparare il dopo ma per far sì che nel dopo non ci sia un’economia con cui ridare benessere agli italiani. Lo dobbiamo fare sapendo che per molti mesi, forse per anni, non ci potremmo riabbracciare, che per molto tempo non potremmo più frequentare gli spazi affollati, che per molto tempo dovremmo rivedere completamente le nostre abitudini di vita, che dovremmo prepararci a fare test più veloci, tamponi più rapidi”. 

   

“Che dovremmo iniziare a capire per tempo, con un esame sierologico, se è vero oppure no che in Italia il 10 per cento delle persone il virus lo ha già contratto senza danni, e in tal caso permettere a queste persone di avere delle restrizioni inferiori rispetto alle altre. Dovremmo abituarci al fatto che così come negli Stati Uniti per accedere bisogna avere l’Esta per muoversi da un paese all’altro per un certo periodo di tempo sarà più semplice farlo con una sorta di ‘pass Covid’, che dia cioè un ingresso semplificato a chi il Covid lo ha avuto. Prepariamoci a convivere con questa bestia strana che è il virus. Dovremmo abituarci a utilizzare a fare tutto questo, a utilizzare con intelligenza anche lo smart working, a miscelare meglio i dati che abbiamo sui cittadini ma dovremmo anche fare altro e ragionare su un ritorno alla vita quasi normale, nella fase del durante, che preveda un ingresso scaglionato, e penso sia normale che chi ha vent’anni possa uscire di casa prima di chi ha l’età dei miei genitori o dei miei nonni. Penso che dovremmo abituarci a tutto questo ma penso anche che chi è in condizione di riaprire, insisto, lo debba fare. Aspettare troppo onestamente non ha senso”.

 

Sì ma come? “Occorre avere le protezioni, occorre avere autorità in grado di certificare chi ha i requisiti per riaprire e chi no e occorre rendersi conto che il rinascimento un giorno forse potrà esserci ma se prima l’Italia eviterà di fare quello che rischia di fare chiudendo tutto troppo a lungo: ovverosia, rompersi l’osso del collo”. Renzi è convinto che la fase del durante potrebbe durare non mesi ma anche anni e teme che continuare a ragionare con la formula del day by day rischi di esporre l’Italia “a una devastazione economica senza precedenti”. Ma nel dire questo suggerisce anche ai suoi colleghi di non trasformare ancora una volta l’Europa in un capro espiatorio perché, dice Renzi, “l’Europa sta facendo tutto il possibile per aiutarci, il Patto di stabilità è stato di fatto sospeso nel giro di pochi giorni, la Bce ha corretto nel giro di pochi giorni una sua posizione per così dire maldestra, la Commissione europea ha compreso bene la necessità per un paese assediato di dover fare più debito pubblico nei prossimi anni”.

 

E dunque il problema dell’Italia non è cosa debba fare l’Europa per l’Italia, “sta facendo già molto”, ma è cosa debba fare l’Italia per salvare se stessa. “Il dopo e il durante vanno governati non immaginando che la situazione in cui viviamo oggi possa durare in eterno ma immaginando che sia possibile uscire gradualmente e con efficacia dal dramma che stiamo vivendo in questo momento. Dal punto di vista economico questo significa che ascoltare le proposte alla Beppe Grillo o alla Gunter Pauli – e ragionare cioè su una sorta di reddito di esistenza da destinare a tutti a tempo indeterminato – significhi condannare l’Italia alla non esistenza. Mario Draghi, nella sua bellissima lettera al Financial Times, lo ha detto con chiarezza: la priorità non deve essere solo offrire un reddito di base a chi perde il lavoro; dobbiamo proteggere la gente dalla perdita del lavoro; e se non lo facciamo emergeremo dalla crisi con una permanente occupazione più bassa. Il punto è proprio questo. L’Italia, quando tutto finirà, sarà un paese che avrà un debito pubblico molto alto, se va bene sarà del 150 per cento sul pil se andrà male sarà del 180 per cento del pil, e sarà un paese che rischia di avere un crollo del pil che gli esperti stimano tra un meno 10 per cento e un 15 per cento. Questo significa una carneficina di posti di lavoro. Sono cose che un politico può prevedere e cercare di evitare, un virologo no. Ma sarà un paese che entrerà in una crisi ancora più profonda se non imparerà dai propri errori”.

 

E tra questi errori, secondo Renzi, ce n’è uno che riguarda non gli ultimi mesi ma gli ultimi anni. “Il coronavirus ha avuto un impatto devastante sulle nostre vite ma da un certo punto di vista lo ha avuto anche sulla nostra politica”. In che senso? “Nel senso che quando tutto finirà sarà finalmente chiaro che un competente non vale come un incompetente, che la scienza non vale come l’antiscienza, che gli esperti non valgono come i blogger, che uno non vale uno. L’ho detto in Senato mentre presiedeva la Taverna, quella che si faceva spiegare i vaccini dal cugino: servono i dottori, non i cugini. E servono i politici, non i populisti. Ma sarà finalmente chiaro che le politiche necessarie per affrontare una stagione da incubo non potranno più essere spacciate come politiche necessarie per affrontare una stagione da sogno. Voglio dire che in queste ore in modo drammatico si stanno rovesciando alcune idee di fondo della nostra politica. Voglio dire che chi voleva uscire dall’Europa oggi fa polemica perché l’Europa non sarebbe abbastanza unita e detto da quelli che la volevano distruggere fa sorridere. Voglio dire che chi sosteneva che sarebbe stato necessario chiudere Schengen per ridare benessere al nostro paese oggi si ritrova a dover ammettere che chiudere Schengen rischia di uccidere la nostra economia. Voglio dire che chi sosteneva che con la decrescita felice si sarebbero risollevate le sorti del mondo oggi non può che ragionare su cosa fare per combattere la decrescita infelice. Voglio dire che il mondo che i populisti ci avevano venduto come un mondo da sogno è un mondo che sta prendendo forma in uno scenario da incubo ed è un mondo che può essere guarito rinunciando alle peggiori tesi delle dottrine populiste. E a tutti coloro che oggi con un fare un po’ da sciacallo cercano di dimostrare che i paesi non democratici sono quelli che riescono a dare le migliori risposte per uscire dalla crisi dico due cose: non fatevi accecare dalla propaganda e ricordate che le democrazie liberali che in una stagione di crisi non riescono a dare risposte veloci sono democrazie che hanno scelto di essere più che molto democratiche semplicemente poco decidenti”.

 

Nella fase del durante, conclude Renzi, c’è poi qualcosa che si potrebbe fare per aiutare chi non può ancora riaprire, per sostenere chi vede ogni giorno la propria liquidità svuotarsi come un serbatoio di benzina rotto e per chi potrebbe tentare di rimettere in moto il paese trasformando il blocco dell’Italia in una piccola opportunità per l’economia. “Ho detto al bravo ministro Gualtieri che per risolvere le emergenze di liquidità non è sufficiente ragionare sulla Cassa integrazione ma occorre fare qualcosa in più. E in questo caso occorrerebbe copiare da altri paesi come la Svizzera che hanno architettato un modo credo giusto per aiutare le aziende in difficoltà: una garanzia dello stato che viene data alle banche per offrire alle aziende in difficoltà una linea di credito immediata pari al venti per cento (in Svizzera è il 10, ma in Italia servirebbe il 20) del fatturato incassato l’anno precedente dalla singola azienda. Non è molto ma è qualcosa per permettere a chi rischia di chiudere di andare avanti e di prepararsi a ritornare alla nuova normalità. Sento poi parlare spesso dell’opzione Morandi per ridare energia all’Italia e io penso che il sistema scelto a Genova per l’assegnazione degli appalti e la velocizzazione della burocrazia debba essere adottato subito e non domani su due fronti. Il primo fronte riguarda le scuole e se le scuole resteranno chiuse ancora a lungo credo sia il momento giusto per rimettere in sesto e in sicurezza tutte le strutture scolastiche d’Italia. Avevano messo in piedi una task force che aveva tutti i dati: riprendiamoli. Il secondo fronte riguarda le strade italiane. Io sono strafavorevole all’accordo fatto dal governo con l’Anci, con i comuni italiani, ai quali sono stati destinati 400 milioni di euro per far fronte all’emergenza alimentare. Ma se posso permettermi accanto a questi 400 milioni andrebbe stanziato anche un miliardo non solo con l’Anci ma anche con l’Ance, con l’Associazione dei costruttori italiani, per sfruttare questo momento di stop dell’Italia per rifare, riasfaltare e riassestare, le strade del paese e dei nostri comuni. Immaginate che sogno: dare cento milioni a Roma per rifare le strade e fare qualcosa in più per mettere al sicuro le vite dei cittadini. Ve lo dico con il cuore e con sincerità. Non sono in cerca di visibilità. Non mi interessano i sondaggi. Non mi interessa il consenso. E’ solo che da ex presidente del Consiglio sento il dovere di proporre soluzioni per affrontare un problema importante e che oggi mi pare sottovalutato: accanto all’emergenza sanitaria grave che abbiamo visto in questi giorni rischia di esserci un’emergenza sociale di gravità inaudita che potrebbe fare danni non inferiori. Le mie proposte e le mie idee, come si dice, sono open source, sono aperte a tutti. Fate finta che non siano di Renzi, se Renzi non vi sta simpatico, ma fatele vostre e fate qualcosa. Non lo dico per me, lo dico per l’Italia”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.