Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il potere rivoluzionato dal virus

Claudio Cerasa

Leader deboli che diventano forti. Leader forti che diventano deboli. Leader distanti che si scoprono vicini. Salvini, Renzi, Zingaretti, Conte, Draghi. In una fase straordinaria, l’ordinario è diventato un bene rifugio. Una guida al futuro

Le leadership al tempo del coronavirus sono una strana bestia da dominare e la gestione di una fase straordinaria come quella che stiamo vivendo oggi ha introdotto nella grammatica della politica alcune novità che sarebbe stato difficile immaginare appena qualche mese fa. La prima novità riguarda l’ex leader forte della politica italiana, ovvero Matteo Salvini, che da settimane brancola nel buio, intrappolato in una condizione che si trova a metà strada tra un profilo politico incompatibile con la stagione vissuta in questi giorni dal paese, quello del trucissimo citofonatore seriale, e tra un altro profilo incompatibile con la natura stessa del salvinismo, ovvero quello del leader responsabile disposto a mettere la salvaguardia del paese su un piedistallo più alto rispetto alla salvaguardia del consenso. Il salvinismo oggi si trova stretto in un imbuto ed è interessante notare che per uscire fuori da quell’imbuto il leader della Lega sia disposto, come ha fatto ieri, a invocare l’arrivo in Italia di un leader che si trova agli antipodi del salvinismo, ovvero Mario Draghi. L’ex ministro ha speso parole di elogio per l’ex governatore della Banca centrale europea e per le sue proposte contenute nell’articolo pubblicato sul Financial Times, dicendosi fiducioso rispetto a “quello che potrà nascere da questa intervista” (non era un’intervista).

 

Salvini al momento non ha altra strategia se non quella, a proposito di leadership, di sbarazzarsi di Giuseppe Conte, la cui popolarità nei giorni della gestione della più grandi crisi mai vissuta dall’Italia dal Dopoguerra a oggi è schizzata alle stelle, più del 70 per cento di gradimento, e se però la strategia seguita da Salvini coincide con la strategia già immaginata mesi fa da un altro Matteo, nel senso di Renzi, per vaccinare l’Italia contro il trucismo salviniano, ovvero un governo Draghi, significa che c’è qualcosa che non va, se per vincere una partita devi entrare in campo vestendo la maglia della squadra avversaria. Si parla di leadership, dunque, e la popolarità della leadership di Conte, che ieri ha rotto l’unità in Consiglio Ue per ottenere dall’Europa ciò che ancora non è riuscito a ottenere, non è detto che sia una garanzia sul suo futuro, chi si paragona a Churchill dovrebbe sapere che fine fece Churchill quando finì la guerra, ed è anzi possibile che la sua popolarità possa diventare un pretesto per mettere i suoi nemici, da Renzi a Salvini passando per Di Maio, sullo stesso fronte quando il lockdown finirà. Le leadership al tempo del coronavirus hanno trasformato in leader deboli i leader forti ma hanno avuto anche l’effetto di trasformare leadership apparentemente deboli in leadership particolarmente forti. Vale per la leadership del M5s, che non è mai sembrata così solida da quando il M5s ha scelto di fatto di non avere un leader. E vale anche per il Pd, i cui sondaggi, da settimane, tendono a essere particolarmente generosi con un leader come Nicola Zingaretti che forse più di altri è riuscito a incarnare perfettamente lo spirito del tempo: polemiche zero, pieni poteri al presidente del Consiglio e silenzio quasi assoluto. Il Pd guidato da Zingaretti, che secondo un sondaggio Ixè si trova a soli 3,5 punti percentuali di distanza rispetto alla Lega (26,5 contro 22,9), è stato il partito più colpito dal contagio del coronavirus, circostanza sfortunata ma che ha fatalmente avvicinato in modo inusuale il partito alle principali paure del paese.

 

In una stagione straordinaria le leadership ordinarie diventano per tutti come dei beni rifugio, eccezion fatta forse per Vincenzo De Luca, la cui leadership non ordinaria, pur non piacendo molto ai residenti del rione Monti, ha tutte le caratteristiche per essere quella adatta a una fase non ordinaria, specie in una regione come la Campania dove avere contagi come quelli della Lombardia potrebbe essere un’ecatombe di dimensioni colossali. E per la stessa ragione, i leader politici che riescono a ottenere più risultati sono quelli che tendono a rivolgersi agli elettori proponendo meno capri espiatori e più soluzioni. Vale, per esempio, per il governatore del Veneto Luca Zaia, che topi a parte è riuscito a mettere su una notevole squadra anche di super esperti grazie alla quale è stato in grado di trasformare il Veneto in un modello di gestione della crisi più efficace rispetto al modello lombardo. E vale in una misura diversa anche per Matteo Renzi. L’ex presidente del Consiglio non gode di una buona popolarità, ma in questi mesi ha dimostrato di essere uno dei pochi in Parlamento ad avere soluzioni strategiche per il futuro di questa legislatura. Lo ha fatto sei mesi fa quando ha contribuito a far nascere un governo europeista al posto di uno antieuropeista. E non è detto che lo stesso schema non gli possa riuscire nei prossimi mesi, quando l’Italia, dovendo affrontare una fase eccezionale della sua storia, potrebbe avere bisogno di quello che Renzi suggerisce da tempo, ovvero una leadership eccezionale come quella di Draghi. Per il momento forza e coraggio. E per il domani poi chissà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.