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Restituiteci il Parlamento

Enrico Bucci

Va bene ascoltare scienziati e ricercatori, ma ciò cui stiamo assistendo è la totale esautorazione di Camera e Senato in favore di un dialogo serrato ed esclusivo tra esperti scelti dal governo e governo stesso

Con il pretesto di norme e regolamenti che per un’interpretazione troppo restrittiva prevederebbero la presenza fisica in aula dei parlamentari, in Italia (ma anche in Europa) il dibattito parlamentare è sospeso a causa dell’emergenza coronavirus.

  

Proprio nel momento in cui il paese è in emergenza, quando cioè sarebbe ancora più importante una discussione pubblica e aperta dei rappresentanti eletti sulle misure da prendere, sullo stato del paese, sull’andamento dell’economia, ciò cui stiamo assistendo è la totale esautorazione di Camera e Senato in favore di un dialogo serrato ed esclusivo tra esperti scelti dal governo e governo stesso, con anticipazione sui social media dei decreti che continuamente vengono proposti all’inseguimento del virus, senza nessun orizzonte chiaro e senza nessuna pianificazione nemmeno di medio periodo per sapere cosa ne sarà del nostro Paese tra un mese.

 

L’emergenza schiaccia nel presente, questo è vero; ma da nessuna parte è scritto che si debba agire con decreti continui, comunicazioni sui social, assenza completa dei nostri rappresentanti eletti.

 

Si badi bene: io sono il primo a osservare che, dopo una lunga latenza, la competenza scientifica è tornata di moda, e sono il primo a essere favorevole a un peso maggiore dell’evidenza e della comunità scientifica nelle decisioni di governo, tanto a livello nazionale che a livello locale.

  

Ritengo tuttavia che il ruolo della comunità scientifica debba essere quello dell’espressione di linee guida, della formulazione di proposte e della prospettazione di scenari, non quello di sottogoverno in assenza di dibattito parlamentare.

 

Del resto, sono ben noti i danni che un apparentamento troppo stretto tra governo ed esperti selezionati è in grado di produrre; e anche nella situazione attuale, destano preoccupazione le pressioni dirette di governo nazionale e locale sulle istituzioni scientifiche come AIFA, che non sempre appaiono prendere decisioni in autonomia e indipendenza come per loro mandato e compito preciso.

  

Sfruttando la vanità e la voglia di cambiare per il meglio le cose di singoli scienziati, è sempre possibile arruolarli in posizioni di rafforzamento dell’esecutivo, in modo che l’azione di governo ne tragga legittimazione; tuttavia, il provvedere esperti con funzione esecutiva dovrebbe essere un compito solo limitato e secondario della comunità scientifica, che non ha mandato per vicariare il dibattito parlamentare o per sostituire chi è stato eletto dai cittadini in appoggio al governo che, ricordiamolo, è appunto espressione della maggioranza parlamentare ed al parlamento deve rendere conto, non agli esperti.

 

Forse queste parole, che esprimono il disagio non solo mio, ma di molti ricercatori, suoneranno strane a chi auspica il “governo degli esperti”; voglio ricordare, tuttavia, che una democrazia imperfetta è meglio di una perfetta oligarchia, anche per gli scienziati e i ricercatori.

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