Conte a Palazzo Chigi in videoconferenza con i leader europei

Sbloccare le trattative

Pier Carlo Padoan

Un’idea: utilizzare il Mes e la Bei per emettere coronabond finalizzati alla spesa sanitaria e senza condizionalità

Con l’espandersi della pandemia si moltiplicano le misure messe in campo dai paesi per sostenere i sistemi economici. I pacchetti di misure sono assai simili. In effetti sembrano seguire uno schema comune. Le misure riguardano nell’ordine: misure per il rafforzamento dei sistemi sanitari, misure per sostenere la liquidità delle imprese e delle banche sia tramite agevolazioni fiscali sia garanzie pubbliche, misure per il sostegno al reddito dei lavoratori. Sono misure di breve termine, utili a tamponare le conseguenze del duplice choc di offerta e di domanda e a evitare che i danni provocati dallo choc iniziale diventino permanenti. Sono comunque misure importanti che dovranno essere applicate con la massima velocità e semplicità possibile. Purtroppo in molti paesi gli ostacoli della burocrazia saranno duri da superare. Chissà, forse la gravità della crisi potrebbe essere la strada per una “riforma forzata” delle pubbliche amministrazioni. Confrontando i pacchetti dei vari paesi ci si rende conto però che sono fatti di misure simili ma non identiche, soprattutto nella dimensione. Riflettono la diversità dello spazio fiscale che i paesi hanno a disposizione. E paradossalmente i paesi che ne hanno più bisogno rischiano di poterne disporre di meno. L’Europa ha in parte ovviato a questo problema con la sospensione delle regole fiscali e con l’allentamento delle norme sugli aiuti di stato. Decisioni significative per poter gestire le inevitabili crisi aziendali che ci porterà l’inevitabile recessione.

 

L’Europa ha anche risposto con lo strumento monetario, mobilitando cifre ingenti per il Quantitative easing e con la disponibilità della Bce ad andare oltre quanto già deciso. Ma l’Europa si è fermata un momento prima di fare un passo fondamentale e introdurre nuove misure comuni. Al Consiglio europeo di giovedì la cosiddetta Europa del nord si è opposta alla adozione di nuovi strumenti. E si tratta, non a caso, di quella parte di Europa che ne avrebbe meno bisogno. Mi riferisco a forme di mutualizzazione come gli Eurobond o soprattutto i così detti Coronabond, titoli destinati a finanziare investimenti nel settore sanitario per rafforzare l’offensiva contro il virus. L’ostilità dei paesi del nord Europa a misure di mutualizzazione (di “condivisione del rischio”) è cosa nota e ha rappresentato una caratteristica costante del dibattito in sede europea nei mesi e anni passati. Dibattito che ha di fatto portato allo stallo nel progresso della riforma dell’Eurozona. Ma oggi viviamo in un mondo diverso, completamente diverso. Il coronavirus è una minaccia per tutti i paesi europei (e non solo), nessuno è immune, nessuno può illudersi di batterlo da solo. E’ un “male pubblico” (così come la salute di una collettività è un bene pubblico) e come tale dovrebbe essere combattuto da “tutti”.

  

Combattere assieme la crisi sanitaria e quella economica che ne è la conseguenza significa due cose.

1) Coordinare le politiche nazionali in modo da massimizzarne l’impatto (una semplice regola economica: quando occorre produrre beni pubblici – come la salute – cooperare è più efficiente che andare in ordine sparso;

2) Costruire meccanismi comuni che si aggiungono a quelli nazionali e ne rafforzano l’impatto. Per esempio, disporre di un meccanismo di assicurazione comune contro la disoccupazione rafforza l’impatto degli stabilizzatori nazionali. Oppure utilizzare il Mes e la Bei per emettere Coronabond finalizzati alla spesa sanitaria e senza condizionalità aggiuntive.

Per adesso però l’Europa è divisa e non trova accordi su nuove azioni comuni. Tutto è rinviato, ma nel frattempo il virus avanza.

  

Ma i problemi di un’Europa che si ferma troppo presto e resta al di qua del necessario salto di qualità non finiscono qui. Il paradosso del coronavirus e che sta dando nuova linfa vitale al sovranismo. I sovranisti hanno buon gioco a gridare che l’Europa si rifiuta di mostrare solidarietà (e che anzi la solidarietà viene da altri stati sovrani, che non sono membri dell’Unione europea). E che quindi l’Italia deve fare da sola. Lo choc da coronavirus è simmetrico perché colpisce tutti. Ciò che non è simmetrico, come ha fatto notare Giampaolo Galli, è la capacità di risposta dei paesi. Ed è questa la ragione per cui molti paesi non accettano di farsi carico di quelli che ritengono essere problemi degli altri. Ma se la risposta viene lasciata unicamente alle autorità nazionali, sarà inevitabilmente insufficiente. E allora avremo un doppio choc simmetrico. Quello della pandemia e quello della crisi economica generalizzata che ne seguirà.

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