(foto LaPresse)

Perché il Mes può essere la soluzione migliore per rifinanziare il nostro debito pubblico

Luigi Marattin*

Più che scommettere sugli eurobond, dovremmo sfruttare tutta la flessibilità garantita dal trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità. Ci scrive il deputato di Italia Viva

Al direttore - Come ha ricordato Mario Draghi sul Financial Times, abbiamo ormai una certezza: il debito pubblico dovrà passare come un gigantesco aspirapolvere a pulire tutte le scorie di questo enorme choc. Ma la vera questione – su cui sono possibili diversi scenari – è a quale costo potremo continuare a emettere debito sui mercati internazionali dei capitali. Lo scenario “migliore” è quello auspicato – strana la vita eh – sia dai paesi più rigoristi del nord Europa (Olanda, paesi scandinavi, forse Germania) sia dai loro acerrimi nemici, i sovranisti di casa nostra. E cioè che le attuali condizioni di rifinanziamento del nostro debito pubblico (circa 1,5 per cento sulla scadenza decennale) permangano non solo a fronte degli altri 300 miliardi che, a politiche invariate, da qui a dicembre dobbiamo prendere a prestito, ma a fronte di una cifra parecchio superiore. Al fine di reperire “da soli” sui mercati le risorse che ci servono. Il fronte rigorista nordeuropeo sembra essere convinto che le misure fin qui introdotte dalla Bce col Pandemic Emergency Purchase Programme (Peep), intervenendo sul mercato secondario dei titoli di stato per un ammontare di poco superiore ai mille miliardi di euro da qui a fine anno, sia sufficiente a tenere basso il costo di rifinanziamento di tutti gli stati membri.

 

I sovranisti di casa nostra invece semplicemente se ne fregano: o perché pensano che la gente presti indifferentemente a chi ha un debito del 60 per cento e chi del 200 per cento, o perché sognano che la “Bce diventi come tutte le altre banche centrali del mondo e compri il nostro debito in asta!”, ignorando il fatto che in realtà nessuna Banca centrale al mondo compra i titoli in asta. Con l’eccezione di quella del Venezuela, non a caso paese-modello secondo alcuni statisti nostrani. Lo scenario “peggiore” è invece molto semplice: che lo scenario “migliore” sia solo un’illusione. E che quindi il costo di rifinanziamento del nostro debito – presto o tardi – cominci a salire. O perché i mercati giudicano insufficiente il Peep o semplicemente perché la crescente avversione al rischio sul mercato dei capitali comincerà a differenziare seriamente tra i debitori sovrani, trattandoli diversamente a seconda dell’ammontare del debito e della loro capacità strutturale a ripagarlo nel tempo. Non è chiaro al momento tra le forze politiche italiane quale sia il “contingency plan” in caso di scenario peggiore. Oppure nel caso in cui lo scenario migliore – che tutti auspichiamo – possa nel tempo evolversi in quello peggiore, perché purtroppo siamo costretti a considerare tutte le variabili in perenne e non prevedibile evoluzione.

 

In molti sognano gli Eurobond, ma come ha spiegato magistralmente Lorenzo Bini Smaghi il 24 marzo su questo giornale, questa opzione può realizzarsi solo in presenza di un deciso (e da molti di noi auspicato) avanzamento del processo di integrazione economica europeo, comprensivo non solo di una non banale cessione di sovranità dal piano nazionale a quello Ue ma anche di una radicale riforma dei Trattati. Tutti noi, almeno noi europeisti, speriamo che, come già altre volte nella storia dell’integrazione del nostro continente, da questa crisi nasca una nuova accelerazione del processo federativo, che porti non solo agli Eurobond e a un bilancio unico, ma anche a una “more perfect Union”. Ma anche se così fosse, i tempi di realizzazione non coincidono con quelli della risposta alla crisi: abbiamo bisogno di molte risorse, e in tempi maledettamente brevi. E allora rimane una sola soluzione: utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), sfruttando tutta la flessibilità presente nel Trattato istitutivo per adeguarlo alla situazione in atto. In particolare, si tratta di attivare una linea di credito rafforzata – già disponibile dal 2012 – con due modifiche: rendere nei fatti “formale” la Debt Sustainability Analysis (Dsa) implementandola simultaneamente per tutti i paesi Ue senza renderla ostativa per l’attivazione del credito, e ridurre al minimo le condizionalità contenute nel Memorandum of Understanding. Su quest’ultimo punto, quello più delicato, molti vorrebbero la totale assenza di condizionalità. Ma se esse fossero formulate semplicemente in termini di utilizzo delle risorse per spese una tantum legate all’emergenza (e non in termini di impegno a implementare “riforme strutturali”, per le quali adesso davvero non è aria), penso che difficilmente ci si possa opporre. Soprattutto perché su questo il “fronte del nord”, come già accennato, non sembra essere particolarmente ben disposto. E ogni accordo in questo senso richiede l’unanimità. L’opposizione sovranista (Lega e Fratelli d’Italia) ha espresso chiaramente la loro posizione: non si deve parlare del Mes, in nessun modo e in nessuna forma, pena essere accusati di alto tradimento di fronte al sovrano tribunale dei social. A questa posizione sembrano essersi accodati molti esponenti del M5s, sia con una lettera dei componenti della commissione Finanze, che con una delirante dichiarazione dell’eurodeputato Piernicola Pedicini pubblicata qualche giorno fa su questo giornale.

 

Luigi Di Maio, in un’intervista al Corriere della Sera ieri, sembra aver messo il sigillo ufficiale a questa posizione, dicendosi contrario al Mes in quanto “farebbe nuovo debito” e auspicando invece i “Coronabond”. Che evidentemente, in questa mirabolante evoluzione della teoria economica, per il ministro degli Esteri non sarebbero debito. Così come, sempre secondo questa peculiare visione, non sarebbero nuovo debito i 25 miliardi emessi per finanziare il Dl “Cura Italia”. Non è quindi chiaro quale sia la ricetta suggerita dall’opposizione sovranista (e a questo punto dal M5s) in caso si verificasse ora o più avanti lo scenario “peggiore”. Finora si è parlato di ulteriore potenziamento del Qe, ad esempio essendo più espliciti sulla rimozione della capital key per la proporzionalità degli acquisti (di fatto già annunciata, tra l’altro). Ma, come già spiegato nei giorni scorsi, questa soluzione dimentica che per quanto forte sia il Qe, esso non fornisce direttamente liquidità alle casse dello stato. E per quanto possa abbassare il costo marginale del debito, non può essere un’assicurazione perenne contro il default. A meno di non confondere una Banca centrale con la fatina dagli occhi blu, che ti permette con un tocco di bacchetta magica di fare sempre, comunque e dovunque quello che accidenti ti pare. Questa crisi, ci ripetiamo spesso in questi giorni, deve renderci più forti e solidi di prima. Giusto. Speriamo valga non solo per la nostra economia, ma pure per la classe politica. 

 

*Luigi Marattin è deputato di Italia Viva

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