(foto LaPresse)

Nell'Aula vuota i deputati chiedono il telelavoro contro l'antipolitica

David Allegranti

Alla Camera, che si riunisce a scartamento ridotto per la prima volta dopo due settimane, ci si commuove sotto le mascherine

Roma. Deputati ridotti a un sesto, con mascherine e guanti, idem i commessi della Camera. A due settimane dall’ultima seduta, l’assemblea è tornata a riunirsi oggi dopo le regole stabilite dalla conferenza dei capigruppo (ore 15 question time “rafforzato”, due interrogazioni per gruppo e più tempo per l’illustrazione). Stefano Ceccanti del Pd dice al Foglio che lavorare così non ha senso e che è un regalo all’antipolitica: “Il costo per non prendere la via maestra degli altri Parlamenti, a cominciare da quello europeo e quello spagnolo, di consentire videoconferenza e voto a distanza, è enormemente più pesante di quello che si paga con espedienti come l’autoriduzione degli eletti in Aula che lasciano le regole formali intatte ma che sono meno comprensibili. Mentre nuove regole adatte all’emergenza si possono ben spiegare all’opinione pubblica, gli espedienti rischiano di gonfiare l’antipolitica. Dietro gli espedienti stanno buone intenzioni, ma sono meglio le buone regole delle buone intenzioni”.

 

La questione è inevitabilmente sentita e viene ribadita anche dal deputato eletto con +Europa Alessandro Fusacchia in Aula: “Non possiamo permetterci un Parlamento a scartamento ridotto, dobbiamo lavorare anche e sopratutto da remoto, la tecnologia c’è”. Anche perché chissà cosa penserà la gente là fuori, nel mondo reale: davvero i parlamentari non possono riunirsi in sicurezza? Non esiste il telelavoro per deputati e senatori? “Per disposizione della Presidenza della Camera oggi in aula siamo solo 20 del Pd”, twitta Andrea Romano. “Ma rappresentiamo tutti i deputati e le deputate del Pd (che ogni giorno lavorano con ancora maggiore impegno)”. Nell’Aula a scartamento ridotto ci si commuove sotto le mascherine. “Bergamo sta perdendo i suoi nonni”, dice con le lacrime agli occhi il deputato leghista Daniele Belotti. “Il virus è entrato nelle residenze per anziani”, dice Belotti che ringrazia “di cuore chi non si ferma mai”. Federico d’Incà, ministro per i rapporti con il Parlamento, legge il bollettino dei deceduti in Lombardia: 4.178 al 24 marzo 2020, la stragrande maggioranza, precisa, “aveva patologie pregresse”. Anche Cristian Invernizzi, altro leghista, ha la voce rotta. Mascherine, guanti e lacrime: il virus ha sterminato “un’intera generazione di nonni, padri e madri. In alcuni casi muoiono a casa”, dice Invernizzi, originario di Treviglio. E’ venuto in macchina da Bergamo a Roma, spiega che durante il tragitto ha incrociato tre carri funebri e quattro ambulanze. “A Bergamo c’è silenzio”. Il silenzio del dolore e della morte. Si contano i morti, i numeri sono numeri “ma dietro i numeri ci sono le persone”. Come i 144 medici di famiglia ammalati su 600, dice Invernizzi. “Ci sarà modo di capire cos’è successo”, aggiunge.

 

Segue Roberto Giachetti, senza guanti e senza mascherina, per il quale c’è stata una evidente “assenza di cabina di regia” e molte domande sono tutt’oggi inevase da parte delle istituzioni. Poi parla Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia, che offre una mano al governo “non per stima nei vostri confronti ma per amore verso gli italiani”, con corollario di bordate contro quelli che, nel Pd, facevano aperitivi e invitavano ad “abbracciare un cinese”. Addirittura, ricorda Donzelli, “c’è chi ha dato del fascioleghista al virologo Burioni”. In un paio d’ore gli argomenti scivolano, ma il problema però torna: come si fa a tenere un Parlamento mezzo chiuso? Persino il M5s retrocede rispetto ad antiche posizioni direttiste e si lancia in un appello a tutela della democrazia parlamentare. Quella per il coronavirus è “una crisi delicatissima, sanitaria e economica, e non vorrei si trasformasse anche in una crisi democratica”, dice Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari Costituzionali. “Bisogna prestare massima attenzione a questo aspetto, bisogna convocare la Giunta per il regolamento” per procedere “con il lavoro in video conferenza e anche con il voto a distanza che diano la possibilità a tutti di partecipare ai lavori”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.