(foto LaPresse)

La necessità del parlamento in un momento di libertà compresse

Carmelo Caruso

Il costituzionalista Massimo Luciani ci spiega perché per fronteggiare un'emergenza lunga e faticosa c'è bisogno di norme precise, che non possono essere discusse solo dal governo

“Siamo di fronte a un’emergenza indiscutibile e di fronte all’emergenza anche il diritto non può che essere flessibile”. E forse anche il diritto deve essere "diritto d’emergenza". Ne parliamo con il costituzionalista Massimo Luciani, ordinario dell’università La Sapienza, che come tutti sperimenta la libertà sospesa, la reclusione di necessità che “sarà lunga, faticosa e per questo non può che essere regolata con norme precise”.

 

Dall’inizio dell’epidemia, che poi è diventata pandemia, si è legiferato per decreti, cosi come imponeva l’eccezionalità. Si sta proseguendo ancora. A essere sospesi sono diritti fondamentali, certo nulla di superiore al diritto alla salute, e però la domanda è ora lecita: si può gestire ancora la pandemia con i dpcm e non teme il continuo appello all’uso della forza, dell’esercito, “qui servono i militari”? “Penso che l’intervento dei militari non debba preoccupare, così come nessuno può avanzare dubbi sulla fedeltà delle nostre forze armate alla Repubblica. Non sono già presenti sulle nostre strade per garantire sicurezza? Non ci aiutano in alluvioni e terremoti? Semmai si deve ragionare sulla tenuta del decreto legge del 23 febbraio, il cui primo articolo definisce i presupposti dei provvedimenti emergenziali in modo che non poteva non essere vago in un primo momento, ma ora merita un approfondimento”. Luciani si riferisce al decreto che tutti gli italiani ormai conoscono e che si trova affisso sulle saracinesche abbassate. È quello che permette alle autorità competenti di adottare “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Per alcuni studiosi della materia si tratta quasi di una ‘norma in bianco’, il passaporto per qualsiasi azione di contenimento.

 

Senza disturbare chi crede che queste siano prove di “stato di polizia”, a Luciani si può chiedere se siano atti al limite. “Parlare di norme in bianco è probabilmente eccessivo, ma di certo adesso hanno bisogno di più cura. Si deve evitare la vaghezza. È chiaro che l’epidemia ha avuto come caratteristica quella di essere proteiforme. Il modo in cui si è presentata è mutato e continuerà a mutare. Non avevamo precedenti che potessero aiutarci, ma ormai è trascorso quasi un mese dall’esplosione. Oggi occorre una normazione più precisa e - soprattutto - non può più mancare l’intervento del parlamento. Le libertà si possono comprimere, ma le misure non possono più essere solo governative. Il parlamento deve tornare a fare il suo mestiere. Se restano aperti i negozi di alimentari, non può non rimanere aperto il Parlamento, che è il negozio più importante dove far spesa di democrazia”.

 

Non ha chiuso, ma in pratica è come se fosse paralizzato. I voti d’aula si tengono solo di mercoledì, per ridurre al massimo le possibilità di contagio, e tiene ancora banco la possibilità del voto telematico, anche se il presidente della Camera, Roberto Fico, ha chiuso alla possibilità. Anche questa è una novità: il nuovo che difende la tradizione. “Lo so anche io che il parlamento sta facendo i conti con questa emergenza che non risparmia nessuno. E so che si continua a fare l’esempio del parlamento europeo per spingere ad adottare il voto a distanza, ma il parlamento europeo non ha gli stessi poteri di quello italiano e, poi, là c’è un problema di mobilità transfrontaliera che noi non abbiamo. Ha notato che non si parla di voto a distanza per il Governo? Forse non ci sono analoghi problemi di sicurezza? Chi propone il voto parlamentare a distanza, senza accorgersene, alimenta l’idea che il governo sia essenziale e il parlamento no”.

 

Perché è così severo con questa pratica? “Perché viviamo tempi di antiparlamentarismo spinto, alimentato da non poche forze politiche e sociali e, a volte, forse troppe volte, anche dai giornali. Io al parlamento ci tengo. Si mettano in atto tutte le precauzioni possibili, si assicurino le condizioni di sicurezza. Ma non si chieda più il voto a distanza. Io scorgo in questa richiesta un pregiudizio antiparlamentare”. Le regioni chiedono di fare da sé. E poi, in Campania, c’è Vincenzo De Luca che è terapeutico: serve il lanciafiamme. È accettabile avere disposizioni diverse? “Sono il primo a credere nelle autonomie regionali, ma serve più rigore perché non ci possiamo permettere misure strampalate. Il quadro deve essere uniforme e rigoroso. Così non si mortificano le regioni, tutt’altro. Anzi, solo così le si aiuta”. Sensibile al tema delle libertà costituzionali, il premier Giuseppe Conte si muove inseguendo le regioni. Recalcitra a misure più stringenti, pesa e valuta, anche perché si teme l’animo di un paese che guarda lacerti di vita da “finestra sul cortile”. “Conte fa bene a usare prudenza. Le misure rigorose tanto più si capiranno quanto più si comprenderà che il rischio è la vita stessa. Mi sembra che gli italiani lo stiano percependo. Voglio ricordare che gli inglesi hanno sopportato cinque anni di guerra, a Berlino sono rimasti un anno intero chiusi sotto terra. È in queste occasioni che esce la tempra vera di una nazione, ed è sempre in queste prove che risulta evidente che i diritti non sono mai delle conquiste irreversibili. E che non sono le corti, le carte o i parlamenti i soli garanti dei diritti dei cittadini. Alla fine, lo sono i cittadini stessi con le loro azioni responsabili”.

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