David Sassoli (foto LaPresse)

Far lavorare il Parlamento da casa: bravo Sassoli. Tv e virus: anche i cialtroni a casa, grazie

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Promesso, non scherziamo più sul Milleproroghe

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Al di là della decisione di chiudere le chiese – a Roma poi parzialmente rientrata, ciò che ha consentito a molti fedeli (tra cui il sottoscritto) di poter accedere regolarmente alla comunione sacramentale grazie allo zelo di quei parroci che sanno dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio – l’aspetto di gran lunga più preoccupante in questa vicenda resta l’assordante silenzio, la quasi totale assenza di una voce profetica su ciò che stiamo vivendo. Ma come. C’è una pandemia in corso, migliaia di morti, decine di migliaia i contagiati, paura e inquietudine, i nostri stili di vita radicalmente cambiati in pochissimo tempo, le nostre città che rimandano scene spettrali; e in questo frangente la chiesa non ha nulla da dire, fatta salva qualche lodevole eccezione (si vedano ad esempio gli interventi di mons. Camisasca e mons. Crepaldi)? Non una parola sul senso e sul significato di ciò che sta accadendo, alla luce di quel fatto sconvolgente senza il quale, come dice l’Apostolo, è vana la nostra fede ossia la Resurrezione? D’accordo che bisogna fare il proprio dovere di cittadini e che mai come in queste situazioni è bene ascoltare la voce della scienza e degli esperti. Ma c’è un ma. Tutto ciò ha a che fare con le normali procedure di gestione di un’emergenza (in gergo aziendale si chiama “crisis management”), ossia in ultima analisi sul come affrontare una situazione di crisi. Che va bene, intendiamoci. Ma qui si sta parlando d’altro. Qui si sta parlando del perché delle cose. Può dunque la chiesa sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda del pensare e dell’agire umano, e basta? Ovvio che no. O cessa di essere chiesa. Va bene la preghiera, va bene la solidarietà e la carità verso i più deboli, va bene tutto. Ma da quando si è scatenato questo flagello del Covid-19, poco o nulla si è sentito o letto di realmente, autenticamente cattolico. Tranne quando, ma lì sì che era meglio tacere, si è trattato di prendere le distanze da certe interpretazioni del fenomeno giudicate addirittura pagane (sic!). Il punto qui è la dimensione oramai quasi del tutto orizzontale di buona parte dei discorsi (per tacere di certa omiletica) che si sentono in ambito ecclesiale. Siamo passati dall’uomo a una dimensione di Marcuse alla chiesa a una dimensione (di Rahner & Co.). Una chiesa che vola rasoterra come se le cose di quaggiù fossero più importanti di quelle di lassù. Intendiamoci: occuparsi delle cose di lassù implica occuparsi anche delle cose di quaggiù, ci mancherebbe. Ma nel giusto ordine. Prima il cielo, poi la terra. Anche perché se c’è una cosa che distingue (sì, distingue) i cristiani, è proprio il modo di leggere e interpretare la storia. Pensare secondo Dio, non secondo gli uomini: a questo è chiamata la chiesa. E magari tornando anche a dire, oltreché pensare, qualcosa di cattolico. E’ un caso che questa epidemia sia scoppiata in Italia nel bel mezzo della Quaresima? E perché in modo così virulento proprio da noi? E come mai tanti laici, gente che magari fino all’altro ieri se ne fregava altamente di Dio, ora si interrogano, riflettono e chiedono conforto ai credenti? E Dio, cosa sta dicendo Dio al mondo intero? Mai come oggi è necessario che la chiesa torni a essere segno di contraddizione e voce profetica in un mondo che vive “etsi Deus non daretur”, salvo poi intrupparsi al seguito di santoni guru astrologhi e leoni da tastiera a vario titolo che ammorbano i cosiddetti social. Altrimenti presto o tardi vedremo di nuovo le chiese chiuse in Italia, come tante, troppe chiese hanno già chiuso i battenti altrove in Europa e nel mondo. E stavolta non per un virus.

Luca Del Pozzo

 

Al direttore - La sacrosanta reclusione a casa ci ha liberato, purtroppo solo in parte, di alcuni urlatori professionali che su ingaggio hanno infestato i talk-show televisivi. Tuttavia, anche in queste ore ci imbattiamo nei programmi tv sul virus in personaggi che portano a spasso le loro non richieste mediocri opinioni, in parlamentari senza alcuna responsabilità che mostrano il loro vuoto pneumatico, in pseudo-intellettuali pronti a discettare d’ogni cosa, e in signore la cui legittimazione deriva solo da uno stucchevole bilanciamento di generi. Ogni giorno ammiriamo medici, infermieri e personale addetto alla nostra salute in ospedali che meritano il nostro sostegno non solo verbale; e ascoltiamo con la dovuta attenzione i pareri di ricercatori, virologi, epidemiologi e simili che dimostrano come l’Italia disponga di una notevole riserva di eccellenti figure professionali dall’alto profilo “civile”. Purtroppo, però, agli interventi dei competenti specie nelle trasmissioni “forti” e “populiste” si alternano vecchi clientes, uomini e donne, del puro cazzeggio che fa tanto “gente comune”. Una parola sui politici. Da apprezzare la semplicità e stringatezza del ministro della Salute Speranza che non deborda mai per presenzialismo dalla sua pesante responsabilità. Tracimazione della vanità che invece contraddistingue il banalpiccolo ministro degli Esteri che non perde occasione per farsi riprendere in qualche spedizione narcisistica per esaltare la “grande Cina”, magari piegandosi con le mani giunte di fronte a tale Thomas Miao della Huawei. Lui capo del M5s che condusse in Parlamento un forsennato attacco diffamatorio, di conserva con alcuni magistrati e giornalisti, contro l’on. Ilaria Capua che fu sospinta a dimettersi e ad abbandonare l’Italia, lei ricercatrice internazionale il cui parere ora attendiamo quotidianamente dalla Florida per capire a che punto siamo. Un saluto.

Massimo Teodori

Ci sarebbero molte cose da dire su questo punto ma una forse andrebbe detta prima delle altre: per quale ragione alcuni programmi importanti, sapete quali, continuano a invitare nelle loro arene televisive il signor Panzironi, in questo momento a processo giustamente per esercizio abusivo della professione medica, per parlare di coronavirus e denunciare gli errori di fondo della medicina dogmatica? Più serietà, meno cialtronismo, grazie. E per quello che conta, bene ha fatto ieri l'Agcom a inviare una lettera di richiamo alla rete che nel mese di marzo, sulle poltrone di Massimo Giletti, per due volte ha ospitato il Sig. Panzironi.

 

Al direttore - L’articolo di Maurizio Crippa “La ‘riforma costituzionale’” dell’ospedale in Fiera” tocca, tra gli altri, un punto nevralgico che a Milano – e in Lombardia – è più che mai presente nella mente dei professionisti e che, oggi, con la drammatica emergenza coronavirus diventa ancora più prioritario. La necessità di sburocratizzare il più possibile le procedure e arrivare in brevissimo tempo a poter “fare”. Che non vuol dire meno controlli. Tutt’altro. In questi momenti è invece riconosciuta da tutti la necessità di semplificare al fine di eliminare rallentamenti e ostacoli. Ora, in piena emergenza, tutti devono fare la loro parte. Un esempio: Infrastrutture Lombarde ha avanzato una richiesta al nostro Ordine degli ingegneri di Milano per il collaudo del nuovo ospedale in Fiera a Milano; la questione è stata risolta in pochissimi minuti e il team di professionisti volontari e a prestazione gratuita è pronto. E’ questo lo spirito giusto con il quale muoversi. Rispettosi delle norme e delle regole, ma senza quegli impedimenti burocratici che normalmente ci bloccano per giorni, mesi e anni e che in questo momento gridano solo vendetta e che soprattutto non possiamo più assolutamente permetterci.

Bruno Finzi, presidente ordine ingegneri provincia di Milano

 

Al direttore - Vedo che il Parlamento europeo per consenso unanime ammette il voto a distanza, seguendo di poco il Senato spagnolo e anticipando la Camera spagnola. Possibile che noi dobbiamo solo insegnare e mai imparare in una sorta di sovranismo parlamentare che confonde la fedeltà ai princìpi con la conservazione dei mezzi?

Stefano Ceccanti

Ha ragione, caro Ceccanti, e penso che oggi sia semplicemente populistico dire che il Parlamento italiano non debba chiudere, consentendo agli eletti di lavorare a distanza, solo per non dare l’impressione di essere una casta di privilegiati. Il Parlamento è meglio averlo in funzione da remoto piuttosto che correre il rischio di averlo aperto ma senza parlamentari.

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