(foto LaPresse)

Ecco perché il successore di Fioramonti potrebbe essere un tecnico

Luca Roberto

Morra, Azzolina e Giuliano: tutti i candidati interni al M5s subiscono il fuoco amico. Di Maio con le spalle al muro prova a lavarsene le mani e Conte cerca un ministro davvero "contiano"

E' la sommatoria degli ostracismi incrociati, più che una profonda condivisione nella scelta del metodo, a suggerire che l'incarico lasciato vacante da Lorenzo Fioramonti al ministero dell'Istruzione possa essere riassegnato a una figura tecnica, lontana dalle logiche correntizie, individuata dallo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte e a lui assimilabile per rispettabilità e riconoscimento istituzionale. Lo prova l'attendismo del capo politico Luigi Di Maio, fattosi d'un tratto guardingo, ponderante, che a chiunque gli chieda conto dei prossimi passi oppone un insolito silenzio prudenziale. Ma pure, a guardare bene, il madrigale di mugugni liberato ogni qualvolta si accosti questo piuttosto che quell'altro nome.

 

Per dire, nelle ore immediatamente successive alle dimissioni di Fioramonti, il profilo cui tutti guardavano per la successione naturale a viale Trastevere era il senatore Nicola Morra. Sono però bastate pure considerazioni di pragmatismo parlamentare – unite a una personale ritrosia nell'accettazione dell'incarico –, per ridimensionare questa pista, non completamente accantonata ma insomma molto pericolante. Non sarebbe così facile, si sono detti internamente al movimento, sostituire Morra alla presidenza della commissione parlamentare Antimafia, incarico che spetta a un grillino ma per la cui sostituzione servirebbe un accordo di coalizione difficilmente contraibile attorno alla figura di Mario Giarrusso, principale sconfitto nella corsa alla presidenza di quella commissione e quindi primo della lista dei papabili subentranti. Lo stesso senatore catanese, nel frattempo diventato uno dei più rumorosi oppositori a Di Maio e a Conte, di fatti, viene considerato un azzardo in un ruolo così rilevante, visto che negli scorsi mesi era arrivato a sostenere che il governo rosso-giallo non stia facendo abbastanza per combattere la criminalità organizzata, oltre a essersi mostrato fin troppo aperturista nei confronti delle istanze dei cosiddetti grillini dissidenti coagulatisi attorno alla carta di Firenze, che chiedeva un ridimensionamento del capo politico del movimento appena lo scorso ottobre.

 

Uno sbarramento endogeno che rischia di azzoppare, insospettabilmente, anche le ambizioni di Lucia Azzolina, attuale sottosegretario all'Istruzione, molto apprezzata per la formazione specifica in ambito scolastico e già usa a muoversi all'interno della macchina ministeriale. Sulla sua figura, però, riferiscono fonti riconducibili ai gruppi parlamentari, peserebbe la vittoria del concorso per dirigente scolastico quando, l'anno scorso, era già stata nominata all'interno della commissione Cultura (che ricomprende l'Istruzione) alla Camera. Una presunta inopportunità politica – agitata da quelli che meno la stimano –, che per i colleghi di partito, va da sé, scavalcherebbe qualsiasi valutazione sulle competenze e sul profilo della deputata siciliana. Questo sempre sottacendo il malcontento di alcune sigle sindacali che, in caso di promozione, dovrebbero interfacciarsi con una strenua oppositrice del modello di stabilizzazione dei precari, tramite concorso semplificato, previsto dall'ex ministro Marco Bussetti. La Azzolina ha sempre chiesto una selezione qualificata e più rigorosa.

 

Per Salvatore Giuliano, invece, le rimostranze sarebbero ancor più peculiari. Anche lui, come la Azzolina (e come lo stesso Fioramonti) completerebbe il percorso di ascesi da sottosegretario a ministro nello stesso dicastero (Giuliano ha fatto parte della squadra di sotto governo nel primo esecutivo Conte ma non è stato rinnovato nella nuova compagine e con la nuova maggioranza). La nomina del dirigente scolastico pugliese, indicato da Di Maio come futuribile ministro dell'Istruzione nella squadra di governo presentata prima delle elezioni del 4 marzo 2018, oltre a scontare l'ambiguo e solo in parte smentito sostegno alla riforma della “buona scuola” renziana (dai cinque stelle considerata al pari di un'emanazione luciferina), scatenerebbe le apposite rivendicazioni di meritocrazia violata che tanto si confanno alla retorica pentastellata. Questo perché una delle cause per la mancata riconferma come sottosegretario sarebbe stato il lavoro considerato al di sotto delle aspettative: in una serie di test condotti dallo stesso gruppo parlamentare cinque stelle il dirigente scolastico si sarebbe dimostrato impreparato. Se subentrasse ora, alla luce di un'intercorsa bocciatura, la decisione verrebbe letta come una sconfessione delle dinamiche cui tutti hanno scelto di soggiacere pur di far progredire una qualche forma di “classe dirigente”. Inaccettabile, a parere di molti.

 

E quindi? Se per ogni personalità individuata in queste ore all'interno del movimento sembrano avanzare in parallelo le motivazioni (o i pretesti) per disfarsene, tanto vale puntare su una figura che sia espressione di un processo di selezione guidato dall'arbitrio delle preferenze personali, in questo caso di chi quella delega deve decidere come adoperarla e maneggiarla, e cioè, per l'appunto, il presidente del Consiglio. Motivo per cui Massimo Bray ed Enrico Giovannini, ex ministri rispettivamente della Cultura e del Lavoro nel governo di Enrico Letta, sono più di una suggestione.

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