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Così la fuga di Fioramonti scombina la mappa della stabilità parlamentare

Valerio Valentini

Una decina i transfughi, che guardano a sinistra e a Pizzarotti. La rabbia di Conte: “Se si frantuma il M5s, s’indebolisce il governo”. L’ipotesi di un sostituto tecnico

Roma. Forse bisognerebbe davvero liquidarlo come “nulla di più di un opportunista”, attenendoci alla versione fornita ieri da Paola Taverna ai suoi colleghi parlamentari del M5s, e chiuderla lì. E invece, nel caos inconcludente in cui la politica italiana resta avviluppata perfino nel giorno di Natale, più che a un personaggio in cerca di autore Lorenzo Fioramonti finisce con l’assomigliare a un’altra maschera pirandelliana, quella signora Ponza che di sé diceva: “Sono colei che mi si crede”. E insomma perfino un improbabile figurante come l’ex professore di Pretoria – teorico anti-pil proposto come fantaministro dello Sviluppo economico poi dirottato a Viale Trastevere, neofita del grillismo che però urla al tradimento dei valori originari del Movimento, comparsa telecomandata da Casalino durante la campagna elettorale che ora si lamenta contro l’ingerenza della Casaleggio Associati – riesce ad apparire come un astuto manovratore in grado di tessere la tela parlamentare. “Volente o nolente, sarà l’avamposto del partito di Conte, attrarrà anche gente da Forza Italia”, prova a divinare Gianfranco Rotondi, con una previsione che, lui stesso lo riconosce, “forse è più un auspicio che una convinzione”. E però pare condivisa, a giudicare dalle reazioni di più di un deputato che, dietro le dimissioni di Fioramonti, ci vede appunto lo zampino del premier, pronto a farsi una sua truppa di riserva. “Ma che credibilità avrebbe una simile operazione?”, sospira un altro centrista, Bruno Tabacci, che con Conte s’è confrontato di recente: “E lui è il primo a sapere che l’equilibrio è così fragile che qualsiasi scossa lo farebbe crollare”.

   

E in effetti da Palazzo Chigi non filtra affatto entusiasmo, per questa fuga in avanti, e nell’irresponsabilità, di Fioramonti. Del resto, è il senso dello sfogo di Conte, “non si può essere contenti se si frantuma un gruppo di maggioranza: non fa bene al governo”. Il premier aveva anzi tentato di dissuaderlo, poi gli aveva quantomeno chiesto di concordare una linea comunicativa congiunta, per gestire la transizione. Macché: la sceneggiatura fioramontana, già pronta da mesi, non ammetteva variazioni. E allora ecco le contrattazioni dell’ultim’ora. L’epicentro dello scossone, il bacino da cui il ministro dimissionario dovrebbe attingere, sarebbe proprio la commissione Cultura della Camera, quella che più di altre ha avuto a che fare col Miur: i campani Flora Frate e Nicola Acunzo, il judoka romano Felice Mariani. E poi, in ordine sparso, i sardi Andrea Vallascas e Mara Lapia, i marchigiani Roberto Rossini e Rachele Silvestri, il laziale Max De Toma. Quasi tutti, peraltro, in ritardo con le restituzioni: stigma che spesso affratella, nella gheenna dei reietti a cinque stelle. Un manipolo di insoddisfatti, cui si aggiungerebbero anche altri eletti negli uninominali, come Gianluca Rospi o Nunzio Angiola, pronti a saltare sulla scialuppa di Fioramonti senza sapere bene la meta d’approdo.

 

Il fronte di Pizzarotti

E infatti se da un lato si guarda all’ex ministro, dall’altro si vagheggia anche un’altra potenziale leadership, quella del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, che osserva con sguardo non proprio disinteressato le manovre di questi giorni e che s’affida al suo luogotenente nel Palazzo, l’aretino Massimo Artini, ex grillino espulso dal M5s e non rieletto che però ha continuato a tenere rapporti con vari deputati, e che ancora lunedì scorso, 23 dicembre, a sera tarda s’aggirava in Transatlantico provando a tirare le somme di un’operazione che presenta ancora molte incognite. “Alcuni fatti stanno accadendo, vediamo come procedono”, ripete a chi gli chiede a che punto sia la notte. E certo a volere vedere, prima di decidere, sono in parecchi. “Io prima di valutare un’eventuale adesione, devo capire di cosa si tratta”, spiega un altro ex grillino, il deputato Andrea Cecconi, tentato proprio da Rossini (quindi da Artini) sulla via del nuovo gruppo. E anche l’ex +Europa Alessandro Fusacchia, che a Fioramonti ha rinnovato di recente la sua stima e che con Pizzarotti ha condiviso la campagna delle europee di maggio, e che dunque potrebbe fungere da anello di congiunzione tra i due mondi, si mostra prudente: “Se questa cosa si risolve in una scissione nel M5s, non m’interessa. Se invece le dimissioni di Fioramonti serviranno a rilanciare l’azione del governo su alcuni temi concreti a partire dall’istruzione, chissà: non poniamo limiti alla provvidenza”.

 

Le cui vie sono del resto così imperscrutabili che, oltre al leader dei “moderati per Conte”, oltre al rianimatore dei grillini scontenti, c’è pure chi vede in Fioramonti il catalizzatore di una cosa “ancora più a sinistra del Pd”. E non a caso Stefano Fassina, monade sovranista nell’universo di Leu, si produce in un salamelecco per il ministro ribelle che lascia interdetti pure i suoi compagni di partito, e richiesto di un commento si fa ritroso e allusivo: “C’è qualcosa in movimento, vediamo che succede”. Una cosa rossa, dunque, e anche un po’ verde, a giudicare dall’attivismo di Rossella Muroni, capofila della componente ecologista dentro Leu. Come che sia, alla Camera bisognerà arrivare a venti per creare un nuovo gruppo, e non sembra facile. Al Senato meno che mai, nonostante il possibile interessamento degli ex grillini nel Misto (“Fioramonti è stata la parte migliore del governo”, dice Paola Nugnes, in sintonia con Gregorio De Falco).

 

Trovare subito un sostituto

Sempre che poi tutta questa frenesia porti a qualcosa. O non sia piuttosto da condividere il pensiero dell’europarlamentare Ignazio Corrao, membro della segreteria politica del M5s, secondo cui Fioramonti “è un altro che ha approfittato del carro su cui è stato fatto accomodare e si sta giocando la sua partita personale”, a meno che, beninteso, “non si dimetta da deputato e non si metta in regola con le restituzioni”. Non farà né l’una né l’altra cosa, a quanto pare. Anzi: a giorni lascerà il M5s, provando a portarsi dietro una manciata di colleghi. Poi valuterà il da farsi. In ogni caso, Di Maio ha già messo in conto, da giorni, la sua dipartita, cercando solo di capire, dai suoi emissari alle Camere, quanto sia vasto il fronte della possibile valanga parlamentare. Ma il sostituto, d’accordo con Conte e col Pd (disposto a lasciare la casella del Miur a un profilo grillino), arriverà a breve. Forse già prima del brindisi di fine anno. E non è escluso che a spuntarla sia un nome “tecnico”, il primo ministro davvero “contiano”.