Giuseppe Conte e Salvatore Margiotta (foto LaPresse)

“La soluzione non è più stato nell'economia”, ci dice Margiotta (Pd)

Valerio Valentini

Il sottosegretario al Mit invoca un dibattito “serio e coraggioso” sulle infrastrutture: “Non si resta al governo a tutti i costi”

Roma. “A gennaio o mai più”, dice. La perentorietà dei toni tradisce evidentemente una certa ansia. “I governi non vivono a tutti i costi”, spiega Salvatore Margiotta, “e la paura del voto non basta a tenerli in vita. Ora è necessario un cambio di passo, e le dimissioni del ministro Fioramonti stanno lì a confermarlo”. Però non allude a un rimpasto, garantisce il sottosegretario ai Trasporti, senatore lucano del Pd. “Serve un dibattito serio, coraggioso, che definisca una visione comune su alcuni temi centrali della società italiana, argomenti che suscitino l’entusiasmo dei cittadini. Ma andando al cuore delle questioni urgenti, senza tatticismi. E, per stare al merito dei problemi: non credo che la soluzione sia mettere più stato nell’economia, come ha affermato il ministro Gualtieri”.

 

Tema delicato, quello dello statalismo, per chi dalla trincea del Mit si troverà a dover gestire, tra le altre, la rogna delle autostrade. Al che Margiotta allarga le braccia, nel leggere la nota di Luigi Di Maio (“Nel 2020 la priorità sarà la revoca delle concessioni ad Aspi, con l’affidamento ad Anas”), e aggiunge: “Sto a quanto scritto nell’accordo di programma di governo, dove si riconosce la necessità di una revisione degli accordi in essere. Per il resto, come ha spiegato la ministra De Micheli, nelle prossime settimane si troverà una soluzione condivisa da tutte le forze di maggioranza, senza forzature e nell’interesse dei cittadini. Del resto, ci sono alcuni fatti certi. Il ponte Morandi crollato, innanzitutto. Poi, l’allarme della Corte dei Conti sugli eccessi guadagni dei concessionari. In terzo luogo, le risultanze di indagini penali che hanno portato perfino i Benetton a prendere le distanze da certe scelte del management di Aspi. E infine, però, c’è la relazione stilata dai tecnici dell’allora ministro Toninelli”. Quella che, di fatto, sconsiglia soluzioni drastiche e unilaterali. “Tenendo conto di tutto ciò, troveremo un’intesa condivisa”. Sulle concessioni, e anche sul resto della politica infrastrutturale? “Su questo tema le distanze siano minori che, ad esempio, sulla giustizia. Mi stupirebbe se l’urgenza di riaprire i cantieri, a partire da quelli al Sud, non fosse condivisa”.

 

Eppure il Pd, stretto com’è tra un Renzi che lancia il suo “piano shock” e un M5s ancora succube della cultura del No, rischia di restare schiacciato. “Un rischio reale, non solo su questi argomenti. Noi, come forza responsabile, passiamo talvolta per rinunciatari. Ma di quei 120 miliardi indicati da Renzi, almeno 80 possono essere davvero sbloccati in tempi rapidi: parliamo di un contributo all’economia che solo la politica infrastrutturale può dare. E su questo il Pd può e deve essere risoluto, pretendendo anche un piano straordinario per la messa in sicurezza di infrastrutture provinciali e regionali”. Possibile farlo con le leggi ordinarie? “Quando arrivò lo sblocca-cantieri al Senato, fui io a battermi perché si inserisse il vaglio del Parlamento sull’elenco delle opere da commissariare: non ci si può arrendere alla logica emergenziale. Ma proprio perché ormai esiste una legge che disciplina i commissariamenti, laddove è utile farvi ricorso, ben venga. Dopodiché, credo sia prioritario anche ridurre le stazioni appaltanti, che in Italia sono troppe. Anche questo serve per attrarre investimenti stranieri, così com’è opportuno, allo stesso fine, riscoprire il valore della stabilità di azione dei governi. Cambiare le regole del gioco in corso d’opera non aiuta: Ilva ce lo dimostra”. E il monito pare estendersi anche all’affaire Autostrade. “Ma questo io non l’ho detto”, sorride Margiotta.

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